Francesco Paolella (1978) ha studiato filosofia a Bologna e a Parma. Si occupa di storia della psichiatria. Fa parte del Comitato tecnico-scientifico del Centro di storia della psichiatria di Reggio Emilia.È membro di Clionet, Associazione di ricerca storica e promozione culturale. È redattore della "Rivista Sperimentale di Freniatria" e scrive per TYSM.

Recensione a: G. M. Gallerani, Roland Barthes. Dalla vita al testo, Carocci, Roma 2024, pp. 250, € 27,00.

Questa biografia intellettuale di Roland Barthes, a firma di Guido Mattina Gallerani dell’Università di Bologna, ha, fra gli altri, il merito di mostrarci al contempo la centralità della figura dell’intellettuale francese per la storia culturale del Novecento europeo e la sua irriducibile eccentricità. Barthes viene raccontato qui attraverso la sua scrittura, i libri, gli articoli, tutti i frammenti che hanno composto un’opera unica e sempre in divenire, fino alla sua improvvisa scomparsa nel 1980 Se ne ricava l’immagine di un uomo votato alla critica e alla continua revisione degli “attrezzi” a disposizione per mettere in crisi tutti gli stereotipi, le ideologie e i “sistemi di pensiero” che governano i discorsi umani e, in particolare, la lingua di scrittori, pensatori, artisti. I libri di Barthes – a qualsiasi fase del suo percorso essi appartengano (dall’epoca dell’impegno a quello della semiologia o, ancora, all’ultimo segnato dalla ricerca sull’immaginario e sull’immaginazione) hanno la capacità di mostrare al lettore che un sovvertimento (un mix di analisi e di utopia) sia sempre possibile.

Roland Barthes è stato un uomo del Novecento dunque, che ha vissuto il proprio secolo cercando di demistificare i miti culturali imperanti ma, allo stesso tempo, ha sempre avuto la acuta consapevolezza di essere fuori del proprio tempo, sempre un po’ in ritardo, restando ai margini. Già la sua stessa, lunga malattia giovanile (la tisi) ha orientato irrimediabilmente tutta la sua formazione e la sua carriera. Barthes, almeno fino alla consacrazione con l’ammissione al Collège de France, ha vissuto ai margini del mondo accademico (da studente prima, da aspirante ricercatore poi), rivelandosi poi invece un magnifico e immaginifico insegnante, che ha anche sapientemente “usato” i propri seminari alla École pratique des hautes études come laboratorio per la propria scrittura.

Il ruolo di Barthes come critico della società di massa (delle comunicazioni, delle ideologie, delle merci – pensiamo solo al bellissimo Sistema della moda, per non dire de I miti d’oggi, forse il suo lavoro più attuale) lo rende tuttora un punto di riferimento indispensabile per chi voglia studiare il conformismo sociale in ogni sua forma. Ad esempio, appunto a proposito del Sistema della moda:

[la moda] imprigiona le donne in immagini predefinite, in ruoli da interpretare attraverso l’adozione arbitraria di vestiti, scelti da un gusto che si rinnova di anno in anno, senza però mutare la propria visione del genere: un’essenza femminile sprovvista di autonomia e responsabilità. Riproduce a livello del vestire la situazione mitica della donna nella civiltà occidentale: “sublime e infantile a un tempo” (p. 120).

Barthes ha saputo saggiare tante forme di comunicazione (dal cinema alla grafica, dalla fotografia al disegno) ma è indubbio che, soprattutto nella seconda metà della sua esistenza, abbia concentrato sulla letteratura (e sul romanzo in particolare) la propria attenzione e, in un certo senso, la propria nostalgia. Se André Gide è stato (assieme a Sartre e Brecht) il vero riferimento del giovane Barthes, è stata la grande ricerca letteraria di Marcel Proust ad aver “pesato” più di ogni altra sul Barthes maturo. Anzi, proprio rifacendosi a Proust, Barthes a un certo punto sondò anche la possibilità di compiere finalmente il salto da critico (ruolo che gli stava sempre più stretto) a romanziere, ma invano:

Nell’ultima lezione del 23 febbraio 1980, Barthes alza bandiera bianca e ammette di non poter “tirar fuori alcuna Opera dal [suo] cappello, e senza ombra di dubbio sicuramente non questo Romanzo di cui ha voluto analizzare la Preparazione”. Egli sembra essere tornato al punto di partenza: fantasticare il romanzo, ma non riuscire a declinarlo in un tipo preciso di scrittura (p. 209).

Tutto il percorso di Barthes, fin dall’epoca della sua adesione al marxismo e al tentativo di leggere, da intellettuale engagé, il posto della scrittura letteraria nel progredire storico e nella lotta sociale, è stato in sintesi caratterizzato da un costante bisogno di rileggersi e, ogni tanto, di abiurare. Il suo cammino lo ha portato indubbiamente verso una minore combattività contro le oppressioni ideologiche e linguistiche della società borghese, ma non è mai venuto meno in lui il desiderio della liberazione, anzitutto appunto dello sguardo dell’uomo lettore e osservatore della vita sociale. La grande ambizione di Barthes è stata forse quella di aprire il mondo delle lettere il più possibile, portandolo fuori dai mausolei degli specialisti laureati. In questo senso, questo volume suscita anche l’auspicio che gli scritti e le lezioni di Barthes continuino a circolare e ad essere ristampati, oltre ai “classici” come Frammenti di un discorso amoroso.

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