Enrico Orsenigo (1992), psicologo iscritto all’Ordine degli Psicologi del Veneto, è Ph.D. Student in Learning Sciences and Digital Technologies all'Università degli studi di Modena e Reggio Emilia. Nei suoi articoli si occupa di psicologia clinica, psicologia dello sviluppo, psichiatria fenomenologica e filosofia della tecnica.

Recensione a: D. Xygalatas, Rituals. Storia dell’umanità tra natura e magia, Feltrinelli, Milano 2023, pp. 265, € 23,00.

Dimitris Xygalatas dirige il laboratorio di antropologia sperimentale dell’Università del Connecticut, anche se il suo lavoro si svolge perlopiù sul campo, ed ha come nucleo centrale della ricerca le ragioni evolutive del rito.

Questo libro nasce dall’interesse dell’Autore di ricostruire una storia dell’uomo tra natura e magia e dalle numerose esperienze a contatto con società dove i riti cosiddetti estremi (che richiedono livelli di sforzo straordinari, come il camminare a piedi nudi su tizzoni ardenti) hanno ancora il ruolo di collante sociale.

Nella prima parte del libro, vengono esposte le caratteristiche che determinano un rito e lo differenziano dall’abitudine, secondo le teorie classiche, tuttora valide; prima di tutto, i riti, sono opachi in termini di causa-effetto, nondimeno richiedono attenzione e concentrazione perché implicano l’apprendimento di sequenze rigide di comportamenti e di azioni simboliche, che vanno ricordate. A questo, si aggiungono le tre caratteristiche: rigidità, «perché le azioni rituali vanno eseguite sempre allo stesso modo (il modo giusto). La fedeltà è fondamentale, deviare dal copione inaccettabile». L’esempio principale è la preparazione del tè: solitamente, quel che serve, è qualche foglia di tè e e un recipiente che serve per far bollire l’acqua. Nella cerimonia del tè, invece, si segue una coreografia costituita da sequenze che formano l’ordine rituale: una sala da tè quadrata che presenta una nicchia all’estremità; un focolare e alla parete un rotolo con una composizione floreale; i padroni della casa sono vestiti con abiti speciali; ogni utensile va maneggiato con estrema cura, fino alla purificazione prima e dopo ogni utilizzo; gli ospiti tolgono le scarpe prima di entrare, si inchinano, fanno abluzioni, mantengono il silenzio; ogni fase viene comunicata attraverso il suono di una campanella; il tè viene servito sul pavimento e va sollevato con la mano destra, poi si appoggia sul palmo della sinistra, si gira due volte in senso orario e bisogna fare un inchino. Naturalmente, molto altro.

La seconda caratteristica è la ripetizione, e tra gli esempi principali troviamo la ripetizione dei mantra (108 volte); il segno della croce ripetuto tre volte dagli ortodossi; le cinque preghiere ogni giorno dei musulmani; l’issare e l’ammainare la bandiera, da parte dei soldati, nelle caserme.

L’ultima caratteristica è la ridondanza: «in altre parole, anche quando si può dire che le azioni rituali producono un effetto causale diretto, spesso esse superano e oltrepassano ciò che ci si potrebbe normalmente aspettare a fini pratici». Lavarsi le mani e la faccia limitandosi a qualche secondo può essere sufficiente: all’interno di un ordine rituale il processo può durare molte ore. L’autore racconta lo studio condotto da un collega, Fritz Saal, che ha documentato l’Agni, un rituale vedico della durata di dodici giorni, nei quali ottanta ore vengono impiegate per declamazioni e canti collettivi.

Le linee teoriche seguite in tutta l’opera vedono come capostipiti Bronislaw Malinowski, Émile Durkheim, Edward Evan Evans-Pritchard e Marshall Sahlins. Xygalatas costituisce la sua storia dell’umanità tra natura e magia in parte motivando le scelte teoriche, anche se non è possibile non sottolineare i mancati riferimenti a figure centrali che durante il novecento hanno segnato profondamente lo studio del magismo e dell’ordine rituale; tra queste, pensiamo a Ernesto de Martino, Clara Gallini, Alfred Métreaux.

Numerosi invece, e forse inaspettati, i riferimenti alle neuroscienze e alla psicologia cognitiva. Nel testo vengono raccontate diverse esperienze sul campo condotte dall’autore e dal suo gruppo di ricerca, che mescolano le tecniche di osservazione classiche dell’etnografia alle rilevazioni psicofisiologiche; tra gli esempi troviamo lo studio del Thaipusam Kavadi, a Mauritius. Celebrato dalla comunità Tamil, si tratta di una celebrazione di Muruga, divinità della guerra. L’obiettivo di Xygalatas era misurare gli effetti di quella esperienza sul benessere fisico e psicologico dei partecipanti, e per farlo decise di studiare il rito più doloroso ossia i piercing metallici praticati sui corpi. Per scoprire l’intensità l’autore descrive l’importanza di una certa strumentazione tecnologica che consente, ad esempio, di rilevare l’attività elettrodermica registrando la conduttanza cutanea.

La dimensione che salda tra di loro le caratteristiche che danno vita al rito, differenziandolo dall’abitudine, è evidentemente la temporalità: «da una parte, ci sono riti che vengono praticati con grande frequenza, ogni mese, ogni settimana o addirittura più volte al giorno. […] Dall’altra, ci sono quelle cerimonie che vengono celebrate con minore frequenza […] ma che risultano estremamente intense dal punto di vista emotivo e oltremodo stravaganti. Sembrano esistere due fattori di attrazione culturale diametralmente opposti: uno incentrato sulla ripetizione, l’altro sull’esaltazione». L’incorporazione di sequenze simboliche che diventano in seguito comportamenti agiti nel territorio, consente al soggetto di esperire il sentimento del flusso, un tipo di percezione ‘ottimale’ spesso definita autotelica: in questo stato di coscienza le azioni diventano un fine in sé. L’attenzione converge verso gli elementi che costituiscono la sequenza che deve essere agita per portare a termine il rituale; ma ancor più che l’obiettivo finale, è necessario conquistare la perfezione nell’esecuzione. Di più: i nessi tra le azioni rituali e i loro esiti non sono conoscibili, perché per loro natura sono caratterizzati da opacità causale: non c’è connessione causale evidente tra azioni che vengono compiute e raggiungimento dell’obiettivo finale; una cerimonia di purificazione può prevedere che si sparga del sale o si bruci dell’incenso, purtuttavia non ottenendo nulla o un risultato radicalmente diverso dal motivo storico e sociale che continua a muovere la data cerimonia; Xygalatas ritorna a più riprese su questo punto: l’opacità causale può sembrare un difetto, ma in realtà garantisce l’alone speciale e significativo del rito. C’è una differenza sostanziale tra una procedura puramente strumentale e una rituale: «il ricorso all’approccio strumentale è ciò che ci permette di riconoscere e interpretare le azioni che si affidano alla causalità fisica per raggiungere obiettivi specifici, per esempio usare una scopa per spazzare il pavimento […]. L’approccio rituale, invece, ci consente di riconoscere e assimilare le convenzioni culturali, per esempio bruciare dell’incenso per purificare una stanza». In questo senso il secondo approccio è più rigido del secondo perché nel primo il soggetto può utilizzare vari strumenti per la pulizia, senza vivere sentimenti di angoscia in relazione alla decisione di sostituire la scopa con un altro oggetto, e senza incorrere in violazioni di un qualche ordine rituale. Nel secondo caso, invece, non è possibile sostituire o modificare nessun punto della sequenza.

In definitiva, consideriamo il testo di Xygalatas un buon punto di partenza per approfondire la tematica dei rituali e per conoscere il lavoro specifico di questo Autore; tuttavia non riteniamo riuscito il tentativo di sviluppare per via scritta una storia dell’umanità tra natura e magia. La motivazione principale è naturalmente quella già evidenziata in precedenza, e che concerne la mancata considerazione di importanti linee teoriche sviluppate durante il secolo scorso e che hanno segnato definitivamente il modo di intendere e studiare questi fenomeni.

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