Giusy Capone insegna Lingua e cultura greca e Lingua e cultura latina dal 1998. Giornalista, è redattrice della Rivista culturale bilingue registrata "Orizzonti culturali italo-romeni"; si occupa delle pagine culturali di diversi portali dell'area Nord di Napoli; collabora con l'Istituto di Mediazione linguistica di Napoli; cura un blog letterario.
Πολύξενη, figlia di Priamo e di Ecuba, amata da Achille ed uccisa da Neottolemo, ignorata da Omero, echeggia la sua assenza nell’Iliade, è resa protagonista dell’Ecuba, dramma euripideo con struttura a dittico che dovrebbe risalire alla conclusione della fase archidamica della “Grande guerra”.
Guerra, schiavitù, furore di vendetta devastante: «Dov’è un dio o un demone che mi aiuti?», aveva implorato Ecuba. un grido inascoltato tra le grida echeggianti in un’Atene da dieci anni in assetto di guerra: «Basta con i morti!». Un’anziana procede faticosamente con passo esitante, oppressa dal tempo e dalle disgrazie, Ecuba s’inoltra retta dalle sodali di schiavitù, intonando la sua monodia: una lamentosa caduta dallo stato giulivo di regina all’afflizione per i troppi pianti e per un’inedita schiavitù.
Alla nitida coscienza del suo patimento si affianca l’inquietudine per le apparizioni notturne: Polidoro, creduto in salvo presso l’ospite tracio e la φοβερὰν ὄψιν di Polissena le fanno profetizzare che un μέλος γοερόν si aggiungerà ai suoi lamenti. Oltre i figli ha sognato, inoltre, una cerva sgozzata da un lupo e sottratta alle sue braccia, il fantasma di Achille che esige come γέρας una donna troiana.
Fitta acutissima per i mali subiti, disperazione e panico per la sinistra divinazione sono le emozioni che la monodia di Ecuba simboleggia.
Il coro di prigioniere troiane le avalla il responso di morte che il sogno aveva preavvisato: Achille, comparso armato sulla sua tomba, arrestando le navi achee allestite per salpare, ha reclamato di non abbandonare il suo sepolcro ἀγέραστος. Nella contesa che assurge tra i guerrieri avanza il rimando alla sfera dell’eros: Agamennone, per soddisfare il letto di Cassandra, desiderebbe graziare la ragazzina. La cui tomba di Achille, tuttavia, va dunque onorata con αἵματι χλωρῷ.
L’esercito si persuade ad immolare Polissena: la fermezza nell’immolare come vittima σφάγιον…δούλων σφαγίων οὕνεκ’, per un guerriero morto, una fanciulla; il parere di Agamennone che, per amore di un’altra fanciulla, vorrebbe accantonare il sacrificio. Sangue di vergine, con il suo carico di suggestione erotica, ed amore per una schiava di una guerra. Ciononostante la guerra degli uomini ha le sue leggi: Odisseo allontana, sostengono le prigioniere, la πῶλον dal seno della vecchia genitrice, un fiotto livido di sangue avvampa il collo della fanciulla di sangue regale, una vitella montana con la gola sgozzata.
Odisseo ed Ecuba, il vincitore e la vinta: si consiglia σοφόν τοι κἀν κακοῖς ἃ δεῖ φρονεῖν nelle sventure che ci sovrastano. Eppure, obietta la regina, non τὸ χρή impone un ἀνθρωποσφαγεῖν, laddove sarebbe stato più appropriato alle contingenze un βουθυτεῖν μᾶλλον πρέπει: offerta funebre prevista dal costume e dalla cultura greche. Che si eviti lo sgozzamento di un’innocente: Polissena οὐδὲν αὐτὸν ἥδε γ’ εἴργασται κακόν, non ha ha fatto alcunché di male. E d’altronde ella è altresì πόλις, τιθήνη, βάκτρον, ἡγεμὼν ὁδοῦ.
Lutto, desolazione, vuoto, perdita, sconfitta, incredulità narra Dante:
Ecuba trista, misera e cattiva,
poscia che vide Polissena morta,
e del suo Polidoro in su la riva
del mar si fu la dolorosa accorta,
forsennata latrò sì come cane;
tanto il dolor le fé la mente torta.
Che rammenti Odisseo οὐ τοὺς κρατοῦντας χρὴ κρατεῖν ἃ μὴ χρεών: la felicità mica dura per sempre… Polissena, schiava e vinta, mirabilmente sorprende: sceglie di morire, di emanciparsi dalla condizione di soggezione rispetto al vincitore, ripristinando assolutamente il suo status regale e, pertanto, ponendosi in un rapporto paritetico. Il suo martirio spontaneo, intenzionale, libero la salva dal rapporto di possesso e alla mortificazione della schiavitù. La morte come εὐτυχέστερος; non importa non godere di ἄνυμφος ἀνυμέναιος.
Si strappa la veste, si denuda il seno, si offre al coltello del sacrificatore: che la si colpisca al petto, come un eroe, o al collo, come una vittima sacrificale!
Non storno il pianto alla vita mia,
che più che sozzura e rovina non è:
ventura migliore la morte, per me.
Morte gratuita ed evitabile. Gli innocenti sono le vittime preferite delle guerre, in cui sentimenti come gratitudine o riconoscenza non hanno diritto di cittadinanza: in guerra non esistono bambini ma solo nemici, grugnisce Agamennone.