Giusy Capone insegna Lingua e cultura greca e Lingua e cultura latina dal 1998. Giornalista, è redattrice della Rivista culturale bilingue registrata "Orizzonti culturali italo-romeni"; si occupa delle pagine culturali di diversi portali dell'area Nord di Napoli; collabora con l'Istituto di Mediazione linguistica di Napoli; cura un blog letterario.

Recensione a: T. Ariemma, Filosofia del gaming. Da Talete alla PlayStation, Edizioni Tlon, Roma 2023, pp. 104, € 13,00.

Filosofia del gaming. Da Talete alla PlayStation è un’opera di “pop filosofia”, afferente, quindi, a quell’indirizzo di studi filosofici che punta ad adottare gli strumenti della tradizione speculativa ad ambiti e temi generalmente estranei a tali studi e, in particolare, alle polimorfe espressioni della cultura e dell’intrattenimento di massa. Superato il disorientamento che nasce dallo squilibrio fra l’oggetto studiato ed il mezzo usato nella sua analisi, performances critiche brillanti ed acute conducono ad affermare che la pop filosofia abbia scommesso e vinto: essa non è la filosofia veicolata attraverso televisione o social media né, ovviamente, la sua banalizzazione ma quell’esercizio della filosofia che usa strategicamente i fenomeni pop non solo come oggetto d’analisi ma anche come strumenti per filosofare.

Il “gaming” è un videogioco, ovvero un gioco gestito da un dispositivo elettronico che consente di interagire con le immagini di uno schermo. Essenziale è il prefisso “video”:

una traccia indelebile, un marchio che i videogame hanno ereditato dalla cultura greca… La nostra visione ricostruisce il mondo. Gli permette di essere, di restare. Abbiamo sempre vissuto, e ancora viviamo, non dentro una simulazione, ma grazie a una simulazione della realtà operata costantemente dalla nostra mente in contatto con le altre.

Il termine generalmente tende ad identificare un software, ma in alcuni casi può riferirsi anche a un dispositivo hardware dedicato ad uno specifico gioco.

Il gioco è nato con l’essere umano ed esiste ben prima della filosofia ma il videogame non è un semplice gioco. Può essere puro divertimento, narrazione complessa, esperienza estetica, laboratorio per dilemmi morali oppure tutte queste cose insieme. Non è certamente una casualità che le nostre vite quotidiane si siano gamificate progressivamente, senza che quasi ce ne rendessimo conto:

Ognuno di noi, oggi, anche chi non crede di farlo, sta prendendo parte ad un videogame. Nel momento in cui siamo felici (o meno) per il numero dei nostri like o dei nostri follower; nel momento in cui rispondiamo alla chat di un gruppo creato con uno scopo preciso; nel momento in cui relazioniamo a un’immagine digitale come a qualcosa con cui possiamo interagire, stiamo prendendo parte ad un videogame. Il linguaggio del videogame è il linguaggio del nostro mondo. Com’è accaduto?

Perché una Filosofia del Gaming? Tommaso Ariemma, docente di docente di Estetica e Sociologia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce, è convinto che il  gaming sia parte integrante della Filosofia stessa: tocca e rivela alcuni punti della sua storia e diversi aspetti dell’esistenza umana, ovvero il rapporto con le immagini, il rapporto con le macchine, il rapporto con ciò che è giusto e con ciò che è sbagliato, il rapporto tra la vita e la morte, il rapporto tra la realtà e l’illusione, il rapporto tra l’umano e l’inumano, il rapporto tra la scelta e la libertà, il rapporto tra la giustizia e la società ideale.

Il giocatore si trasforma sempre di più in un agente morale, se non in un vero e proprio sperimentatore morale, soprattutto dinanzi a videogame che offrono invece un design etico ‘chiuso’, costringendo di fatto il videogiocatore a prendere decisioni morali contro la propria volontà o a immedesimarsi in personaggi differenti all’interno del gioco, alcuni dei quali percepiti come avversari nelle prime ore di gaming.

Quindi il testo dedicato al  gaming non è solo una filosofia “del” gaming nel senso del genitivo oggettivo ma è anche una filosofia “del” gaming nel senso del genitivo soggettivo.

Il nesso tra gaming e filosofia semplifica la divulgazione della filosofia senza che ne perda in termini di serietà e rigore scientifico. Allontanando qualsiasi sospetto di banalizzazione del sapere filosofico, il gaming rende la filosofia “pop”: per tale ragione il videogioco può essere definito eracliteo, sofistico, platonico, aristotelico, spinoziano, kantiano, hegeliano, marxiano, nietzschiano. Il libro del professor Ariemma offre tutte queste correnti ed i rispettivi autori come modi del videogioco:

La nascita della filosofia è legata al desiderio di comprendere il mondo attraverso la sua ricostruzione mentale. Insomma, il sistema filosofico funziona come un videogioco: ordina la realtà in schemi specifici, e ne impacchetta la complessità in un’organizzazione coinvolgente. L’operazione di sistemare la realtà nei canoni della filosofia è la stessa che un game designer compie quando deve organizzare il mondo di gioco: Platone è allora il massimo game designer.

Ecco che il gaming diventa un utile strumento per filosofare.

D’altronde, Nietzsche porta l’agone al cuore della credenza nel “soggetto”, come ciò che può essere intimamente esperito e sempre più identificato. I videogame non sono macchine nietzcheane, cioè strumenti attraverso cui facciamo un esperimento di noi stessi?

Lo Übermensch è essenzialmente un Giocatore: i dispositivi che cambiano il nostro modo di giocare contribuiscono, pertanto, a trasformare il nostro modo di essere.

I videogame e la filosofia, pertanto, sembrano due mondi distanti. Ciononostante, a ben scrutare, senza la filosofia il videogame non sarebbe stato possibile.

Per la prima volta nella storia dell’umanità, è la filosofia a pensare simultaneamente “gioco” e “mondo”, ponendo così le fondamenta del videogame più maturo e facendo di quest’ultimo una delle realizzazioni più compiute della tradizione filosofica.

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