Jacopo Marzano (1999) ha conseguito la laurea triennale in Scienze Politiche per la Sicurezza Internazionale ed è laureando magistrale in Scienze Politiche per l'Investigazione, Criminalità e Sicurezza Internazionale sempre presso l’Università degli Studi Internazionali di Roma (UNINT). Si occupa di minacce ibride, guerre economiche, cognitive e geopolitica delle migrazioni, con particolare focus sulle dinamiche in Medioriente e Nordafrica, prediligendo la ricerca e l’analisi sul campo.

Ad ogni epoca storica appartengono le proprie dimensioni belliche: la forma della guerra, le sue modalità e regole definiscono l’identità politica e tecnologica di chi le combatte. Dalle geometrie difensive di Carl von Clausewitz al ripensamento asiatico dell’efficacia bellica, tra la “guerra senza limiti” cinese e la dottrina russa Gerasimov, le guerre e le strategie dietro ad esse hanno sempre, o quasi, provocato il mutamento degli scenari geopolitici, alterato lo status quo internazionale. In estrema sintesi: escogitare nuovi mezzi bellici capaci di causare eventi geopolitici che generano, a loro volta, mutamenti nel modo in cui funziona il sistema delle relazioni internazionali.

Quali mezzi

La competizione egemonica e le forme di revisionismo e revanscismo all’interno dello scacchiere internazionale si affermano oggi attraverso una triplice esigenza: competizione per il mantenimento della sovranità interna degli Stati, competizione regionale e competizione egemonica per il sovvertimento dello status quo internazionale, privilegiando forme di mini-lateralismo e l’utilizzo di proxy-state o attori non statali per il perseguimento delle proprie finalità.

Rispetto alle guerre convenzionali, che vedevano le potenze affermarsi in uno o più domini bellici, acquisendo il ruolo di potenza aerea, marittima o terrestre, assistiamo oggi ad una realtà bellica multidimensionale, multipolare e multi-dominio, possibile grazie all’ibridazione delle modalità belliche e ad una ulteriore e conseguente ibridazione dei suoi stessi attori. L’ibridazione delle minacce e della dimensione bellica è frutto di un’attività di sintesi concettuale ed operativa: combinazione di più azioni inerenti ad una pluralità di domini tramite l’utilizzo di una grande diversità ed eterogeneità di attori. L’elasticità e l’apparente neutralità delle operazioni ibride sono in realtà vere e proprie operazioni di sabotaggio, non immediate e progettate, delle vulnerabilità sistemiche degli apparati democratici statali e comunitari rintracciabili, in qualsiasi dominio fisico, cognitivo, cibernetico, sociale e politico. È l’interconnessione settoriale (diplomatica, economica, militare, umana, tecnologica), unitamente all’utilizzo di metodi convenzionali e non convenzionali, simmetrici ed asimmetrici e al coordinamento di più dominii, che rendono le minacce ibride particolarmente insidiose.

L’ambiguità concettuale del termine “ibrido” pone, da subito, una prima difficoltà per una tassonomia necessaria all’identificazione delle caratteristiche delle minacce da comprendere e contrastare. Mosse da attori statali o non statali, le minacce ibride sono attività coercitive e sovversive volte ad ostacolare, sovvertire e disturbare l’assetto valoriale e politico di uno Stato bersaglio. Le minacce ibride sono attività dannose, pianificate per avere effetti a lungo termine e svolte attraverso la bellicizzazione di ogni cosa: psyops (psychological operations; operazioni o manovre psicologiche) e campagne di guerra cognitiva o disinformazione, attacchi cibernetici, guerra economica, sabotaggio di infrastrutture strategiche e strumentalizzazione dei flussi migratori. Tutto è, o può essere, conflitto per la guerra moderna, in una convergenza bellica totale.

La guerra è, da sempre, una questione profondamente e fortemente emotiva ed emozionale: lo stato di conflitto genera ansia, confusione, spaesamento. L’ibridazione delle minacce viene progettata precisamente per creare paura, angoscia e seminare tra la popolazione sfiducia nei confronti delle autorità o generarla all’interno delle stesse istituzioni, alimentando tensioni interne e contestazioni incrociate, manipolando l’opinione pubblica e sfruttandola come vulnerabilità dei sistemi democratici di governo. La padronanza conoscitiva delle informazioni sull’ambiente circostante determina, in tempi di pace, la differenza tra il perseguimento di un obiettivo ed il fallimento. In tempi di guerra, la differenza tra sopravvivere e soccombere.

Le minacce ibride descrivono una vasta gamma di attività dannose con obiettivi diversi, che mirano a limitare il margine di manovra politico da parte degli Stati che sono bersaglio, minandone la qualità, l’integrità e l’accuratezza delle informazioni a disposizione per agire. Se il campo di battaglia è totale e le modalità totalizzanti, gli obiettivi degli Stati avranno una duplice valenza strategica, difensiva e offensiva, per la solidità delle proprie capacità di sicurezza e per l’accrescimento della propria potenza.

Per quali fini

Qual è il bottino? La bellicizzazione del tutto, ovvero il veicolare o provocare fenomeni naturali, sociali, tecnologici come vettori ostili nei confronti di uno o più bersagli, equivale all’armare elementi di ogni provenienza e composizione, anche neutri, finalizzandoli come minacce e per un conflitto perpetuo, latente e spesso ben nascosto. La volontà di potenza degli Stati, basato sull’espansione della propria sfera di influenza a livello “nazionale – regionale – globale”, si proietta oggi nel sistema internazionale come un obbligo: l’interconnessione geoeconomica, tecnologica, politica e militare e l’interdipendenza dei domini bellici creano le condizioni per cui, all’interno dello status quo globale, l’inazione di uno o più Stati condanna questi all’irrilevanza geopolitica, alla perdita di autorità, credibilità, potere diplomatico e partnership strategiche.

Tra vincoli capacitivi ed imperativi d’azione, lo scacchiere internazionale è oggi terreno di scontro per l’accaparramento di terre rare (indispensabili per il settore tecnologico, medico e della difesa), per l’anticipazione degli effetti che il cambiamento climatico avrà sulle rotte commerciali, spostando il focus dalla rotta africana – disturbata anche dall’attività di proxy war affidata agli Houthi nel canale di Suez – verso la rotta artica,  per lo sviluppo del proprio apparato tecnologico e per l’acquisizione sempre maggiore di dati e informazioni, che vede coinvolte molte delle applicazioni e dei social network lanciati in rete, all’apparenza di natura neutra ma con risvolti geopolitici strategici.

La posta in gioco, inoltre, riguarda anche la modernizzazione e la padronanza delle tecnologie avanzate e di ultima generazione: le strategie di sicurezza nazionale, fisica e cibernetica, si concentrano sull’integrazione delle tecnologie informatiche e dell’intelligenza artificiale nei sistemi d’arma e di riconoscimento, nelle reti di comunicazione e di coordinamento logistico, sia nei teatri operativi che all’interno dei confini nazionali. Risorse e dati permettono l’accrescimento delle conoscenze e competenze degli Stati, che potranno così formulare nuove e più efficaci strategie di sviluppo ed analisi previsionali, ieri fondamentali in tempi di guerra, oggi imprescindibili per il mantenimento della sicurezza.

Conclusioni

L’ibridazione delle minacce e degli attori all’interno delle dinamiche internazionali suggerisce una analisi dinamica, mutevole e multilivello: approcci multidisciplinari e visione strategica complessiva. La crescita degli attacchi cibernetici ed informatici, così come le campagne di infowar e guerre cognitive condotte attraverso i vecchi e nuovi media rappresentano scenari nuovi ed in continua evoluzione, richiedendo costante aggiornamento e sviluppo. La sicurezza fisica, così come gli strumenti di human intelligence, devono però rimanere un punto saldo e non trascurabile onde evitare, sviluppando il proprio apparto tecnico, di essere colpiti attraverso modalità erroneamente considerate obsolete o meno efficaci. La bellicizzazione totale richiede preparazione interdisciplinare e cooperazione settoriale: dalla difesa cognitiva a quella fisica, dalle strategie di resilienza cibernetica allo sviluppo dei sistemi d’arma, fino alla diversificazione energetica ed economica.

In conclusione, nelle guerre moderne il vincitore non è chi che avanza sul territorio, ma chi controlla le informazioni, affidando ai comparti di intelligence la responsabilità della difesa, raccolta e verifica delle informazioni e del loro utilizzo ai fini dell’integrità, della longevità e della sicurezza del sistema Paese.

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