Gianfranco Andorno (1937), da bambino ha vissuto a Genova i tragici eventi della guerra, che ricorda intensamente. Giovanissimo vanta articoli su “Il Borghese” di Leo Longanesi. Conserva una lettera di Gianna Preda che si complimenta e lo incoraggia.  Poi si adegua ai dettami delle avanguardie e partecipa al “funerale” della parola scritta. Opta per le immagini che ritiene più immediate: la fotografia (Popular Photografy ecc.) e la pittura (Flash Art). Mostre a Milano 1998, Art Innsbruck 1999. Infine, ha un ripensamento e ritorna alla scrittura. Con il primo libro Le stagioni dell’inganno raccoglie il Fiorino d’Oro a Firenze. Altri libri premiati: Prima che il buio(Cinque Terre Golfo dei Poeti); Il falò dell’io (terzo premio Lord Byron Porto Venere 2022). Il suo slogan è: “Scrivo storie che non sono storie”.

 

Nel gennaio del 1857 presso il Tribunale della Senna si svolge il processo contro Gustave Flaubert e Madame Emma Bovary. L’accusa è di oltraggio alla morale pubblica e religiosa. Nella Sesta Camera Correzionale l’aria è greve. L’accusatore Ernest Pinard è molto severo. In coda c’è anche Baudelaire con i suoi fiori del male. Sei poesie saranno condannate!

La vicenda è arcinota grazie ai pettegolezzi che serpeggiano nel paese Yonville-l’Abbaye, che non esiste. Emma tradisce il marito Charles, un medico di provincia. È vedovo quindi uno sposo usato, ama Emma ma a lei questo non basta. Lo vede sciatto, la sua conversazione è piatta come “un marciapiede”. Non sa nuotare, tirar di scherma, adoperare la pistola. Gli eroi della fantasia di Emma sono avvezzi a questi ruoli picareschi e ridono di lui. Emma aspira ad una vita di eleganza e lusso che non ha, è infelice. Prova astio per il marito che l’ammira ebete, la infastidisce con quell’amore rugginoso, ai suoi baci: “Mi sciupi il vestito!”. Non si accorge del suo stato, non si accorge neanche quando lei sarà adultera: “Ma lui dorme!”. Gli amanti, Rodolphe e Léon, purtroppo non sono i paladini sognati, agognati. Amplessi focosi e null’altro. E quando chiederà loro una mercede per colmare i debiti saranno latitanti.

Nel processo la difesa difende l’opera come altamente morale, non immorale. Il racconto mostra le conseguenze deleterie a quel modo di vivere. Un metter in guardia da quelle illusioni. Emma è pentita e si suicida. Naturalmente per finta, come a teatro, Flaubert non avrebbe potuto avvelenarla.  Ha dichiarato solennemente: “Madame Bovary, c’est moi!”. Non può suicidarsi, chi avrebbe scritto l’Educazione Sentimentale? Ma al momento della pantomima dell’avvelenamento prova in bocca il sapore amaro dell’arsenico e comprende la simbiosi. In verità Emma più che pentita ricorre a quella tragica soluzione perché sommersa dai debiti con l’usuraio Lheureux.

Il verdetto è di assoluzione, si riconosce il valore letterario, l’intento morale, sebbene alcune descrizioni siano volgari. Il processo fa da megafono, aumenta la vendita delle copie. Un successo commerciale a spese di lei, povera Emma. Su di lei una diarrea di commenti dai critici letterari, doveva usare l’ombrello anche con il sole.

Jules de Gaultier conia il bovarismo: ti ritieni diverso da chi sei. Immagini di essere uno che sta meglio di te con pericolose ricadute, atterraggi disastrosi. Flaubert strepita: Il suo letame sono le letture romantiche!! Diarrea, letame? È realismo!

Flaubert è contro l’evasione dal vero. Odia i romantici, la loro realtà è falsata dalle emozioni ma dirà che la storia è inventata. Quando bara? Flaubert crea Emma in cinque anni, nel tempo nasce un rapporto quasi fisico tra loro, lui si innamora di lei. C’è un’assiduità ossessiva, una persecuzione del personaggio nei confronti dell’autore che ricorda quella di Pinocchio col Collodi.

Lo scrittore inzuppa la pagnotta della fantasia nei piatti che gli passano vicino, portati dai camerieri. Questi sono le persone che vivono nell’entourage dello scrittore e diventeranno i personaggi, i vivandieri della trama. Flaubert dove ha preso Emma? Ecco le sue donne. Louise Colet, poetessa, è sposata e annovera amanti eminenti. Gustave e Louise hanno un legame travolgente che si svolge in diverse tappe. È sempre lui a rompere intontito dall’ardente passione di lei. Quel suo non essere mai sazia, quell’isteria, si riversa in Emma. Ha una figlia di paternità incerta che usa come accessorio o la ignora, come Emma.

L’altra donna è la madre di Gustave: Caroline Fleuriot. Carolina è imperiosa, efficiente, laboriosa, sembra difficile trovarci Emma. I critici invece hanno rinvenuto i tratti compositivi. Sono: il contesto borghese, la malinconia di inappagamento, il contrasto tra le due donne, anch’esso può essere costruttivo. È la regista celata, sua la sensibilità infusa nel figlio che ha poi trasfuso nel personaggio.

Flaubert è monarchico e viene ricordato per un suo giudizio folgorante: “Il sogno della democrazia è di elevare il proletario al livello di stupidità del borghese”. Critica la Comune con l’amica George Sand e questo gli provoca i rimbrotti di Sartre. Questi gli dedica un saggio incompiuto intitolato: L’idiote de la famille. Afferma che Flaubert scrive per mettere a tacere le sue nevrosi. Lo salva solo per l’acuta critica sociale alla borghesia, alla sua mediocrità, ai suoi ideali.

La Colet nel 1859/1860 ha un’intensa presenza in Italia. A Milano frequenta Manzoni, con l’appoggio di Cavour a Napoli incontra Garibaldi. Si improvvisa infermiera per i garibaldini feriti. L’importante per noi è che asserisce: “Io sono Emma, sono la vera Emma”. Svelato il mistero! O un tentativo di abbindolare Gustave? Inutile, Gustave ha la Emma sua. Louise lascerà scritta questa confessione.

La storia non è dunque finita lì. Come potrebbe essere andata? Ce la immaginiamo così. Nel 1992 Flaubert porta Emma da un rinomato psicoanalista a Genova. Vanta clienti importanti tra i quali Re Lear. Chissà che non le dia requie, le faccia da bromuro. Dapprima il luminare li sorprende, si scaglia contro Emma. “Alleva corvi e ti caveranno gli occhi”, declama. E la signora è un corvo, ingorda di amore ha rovinato la famiglia. Poi l’analista sembra ravvedersi e corvo diventa Charles. Se la prende con Flaubert che lo ha definito un imbecille. “Indietreggiò davanti alle prove e la sua incerta gelosia si perse nell’immensità del dolore”, recita. Charles non è un imbecille. L’imbecille non ha bisogno di respingere o di negare, l’imbecille semplicemente non capisce. Insiste: l’autore ha riversato su lui la parte idiota, invece è un “masochista morale”. La cecità di Charles è la cecità di Edipo. Nella dotta requisitoria ci sono anche le madri-pellicano, quasi uno zoo. E per chiudere: il corvo cava gli occhi agli altri ma così facendo cava anche i suoi. Insomma escono frastornati e titubanti. Comunque Emma appare serena.

Flaubert coglie l’occasione per trasformare il viaggio medico in gita. Gironzolano per i vicoli, ammirano i tetti di ardesia cantati da Caproni. Evitano il sontuoso cimitero, potrebbe essere depressivo. Fanno una sosta nel parco di Nervi e lui si allontana qui a cercare un pisciatoio, “eh la prostata!”. Al ritorno la sorprende che incide una grossa erre sul tronco di una pianta esotica rara. La Erre di Rodolphe!! Devono fuggire, a rischio di verbali e contravvenzioni. I corvi hanno svolazzato invano, ammette amaramente Gustave.

Louise, rimasta vedova, cerca di riprendere i contatti con Gustave ma questi opta per una liaison epistolare. Un modo molto usato dagli scrittori di fare l’amore: per lettera. Si evitano scorni dannosi, Nietzsche per un diniego è impazzito. E scansare anche il “mal francese” molto diffuso nell’Ottocento. Il morbo che fa perdere la ragione e uccide Guy de Maupassant. Per lui è come un incidente sul lavoro.

Flaubert si isola a Croisset con la sua Emma. E negli anni si accorge di essere sempre più Charles. Il dottore di Genova lo ha insinuato, quanto c’è di Charles in lui? È proprio un impiccione, quello. Ha rovistato in alcuni suoi scritti giovanili forse ripudiati e ha trovato impulsi omosessuali e feticismo. Eccitazione per guanti e scarpe nel libro. Ha frugato nelle lettere. L’onanismo: “sono rimasto due anni senza vedere una donna”. A Louise ha scritto di non respingere quelli che la amano, l’eguale disponibilità del povero marito di Emma. “Vivo come un monaco”, e questo lo rende misogino. Lo strizzacervelli accenna persino alla sua presunta epilessia. La malata era Emma, non lui, protesta, si appunta il nome, Roberto Speziale-Bagliacca, per una diffida. Irritato: “Come si permette?”. Gustave non è più un amante ma l’insulso Charles, così meschino da perdonare i tradimenti. Una larva. Per colpa del marito della nipote subisce una rovina finanziaria, come Charles. “Un altro menagramo ha osservato che nei miei romanzi si mangia troppo. Devo metterli a dieta?”.

Dall’immaginato all’effettivamente accaduto. L’otto maggio del 1880 Gustave Flaubert muore a causa di una emorragia cerebrale. Al suo capezzale soltanto una Emma alquanto distratta. È assente, a chi pensa? Lei rimane.

Uno scrittore sperpera una vita a cercare un personaggio che gli dia il successo, lo renda famoso, e come lo trova questo gli prende la vita. E vivere è quell’entità di fantasia, non più lui, il suo creatore. Un avatar, esposto alle derive, all’empatia dei lettori.

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