Gianfranco Andorno (1937), da bambino ha vissuto a Genova i tragici eventi della guerra, che ricorda intensamente. Giovanissimo vanta articoli su “Il Borghese” di Leo Longanesi. Conserva una lettera di Gianna Preda che si complimenta e lo incoraggia.  Poi si adegua ai dettami delle avanguardie e partecipa al “funerale” della parola scritta. Opta per le immagini che ritiene più immediate: la fotografia (Popular Photografy ecc.) e la pittura (Flash Art). Mostre a Milano 1998, Art Innsbruck 1999. Infine, ha un ripensamento e ritorna alla scrittura. Con il primo libro Le stagioni dell’inganno raccoglie il Fiorino d’Oro a Firenze. Altri libri premiati: Prima che il buio(Cinque Terre Golfo dei Poeti); Il falò dell’io (terzo premio Lord Byron Porto Venere 2022). Il suo slogan è: “Scrivo storie che non sono storie”.

 

Louise von Salomé, Lou, nasce nel 1861 a San Pietroburgo, è la figlia di un generale russo e  la sua residenza è accanto al Palazzo d’Inverno. In quell’anno lo zar Alessandro II proclama la liberazione dei servi della gleba, distribuisce la terra a milioni di contadini. Le campane della libertà suonano a distesa. Malgrado questo lo Zar subisce attentati dai nihilisti, questi giovani di buona famiglia che lasciano i libri per le bombe. La Russia vive ancora una stagione di aristocrazia lussuosa e splendida, l’infanzia di Lou è una favola. Vive in una bolla che la preserva dalle reali condizioni di miseria del paese. La sua famiglia è molto religiosa e pertanto Dio la condiziona ma ben presto ha con Lui un rapporto inquieto, conflittuale. Lo colpevolizza per la presenza di mendicanti, della folla cenciosa.

Nel 1873 arriva a Pietroburgo Hendrik Gillot, pastore della chiesa olandese riformata. È nominato precettore dei figli dello zar. Le sue prediche sono affollate, hanno un gran successo. Dal pulpito scandalizza e agita i parrocchiani citando frasi del Faust. Sposa la fede con la ragione, desta entusiasmo. Per Lou è l’uomo che entra nei suoi sogni. Il prelato bombarda la ragazzetta con Kant, Voltaire, Schopenhauer e resta sorpreso dalla sua intelligenza, dalla sua facilità nell’apprendere. Gillot cibava il bozzo con l’intesa di carpire la crisalide invece Lou sarebbe diventata farfalla e volata via. Lui sedotto e rifiutato.

Nel 1880 Lou e la madre Louise sono in viaggio; dapprima a Zurigo, frequenta per due anni l’università ma poi si ammala, non è adatta al clima. Ed ecco spalancarsi la travolgente, frenetica Roma. Alle spalle le due donne hanno  lasciato una Russia in subbuglio. L’anno dopo lo zar Alessandro II cadrà vittima del terzo attentato organizzato dai componenti di “Volontà del popolo”. Luise e Lou portano con loro il pesante lutto del marito e padre, Gustav, e di un impero.

Nel marzo del 1882 Lou conosce a Roma Paul Rée, un giovane filosofo tedesco, e fa con lui notturne passeggiate tra le rovine archeologiche. A loro presto si unisce Nietzsche, amico di Paul. I tre fondano una comunità, la santissima trinità, immortalata nella famosa fotografia con lei su un carretto che frusta, con un ramoscello di lillà, i due conducenti maschi. Lou ha un interesse unicamente culturale. Per lei sono tre alambicchi comunicanti di un laboratorio: trasferiscono i concetti, le idee dall’uno all’altro. I due uomini la fraintendono, si innamorano perdutamente, mentre lei li pretende fratelli.

Nietzsche le chiede invano, ripetutamente, di sposarlo. La sorella di lui, Elisabeth, è gelosa, avversa l’infatuazione del fratello e del marito! Questi, Bernard Forster, è un irriducibile antisemita e la cosa può suggerire le future implicazioni del cognato.  L’amore di Lou per Friedrich è muto, non così Zarathustra;  il saggio è composto da Nietzsche a Rapallo ma il germe sicuramente germogliato nel loro ritiro ascetico di Tautenburg, nei suoi boschi, rifugio senile di Goethe.  «Una donna non muore d’amore, ma se le manca si spegne», così Lou dissacrerà in parte quell’esperienza.

Nietzsche voleva tramutare il suo pensiero fango in pensiero d’oro e Lou sua vestale. Lei lo definiva un eroe religioso: l’odio di Dio è l’ultima eco dell’amore di Dio. Scoprono che Il dio morto di Nietzsche aveva avuto un’anticipazione luttuosa nell’infanzia di Lou, morendo in lei.

Com’è Lou? La descrivono alta, bionda, vestita in maniera molto sobria, un po’ androgina. Eppure vedono in lei la cara bambina, la figlia non avuta. Promette estasi che non mantiene. Accetta inviti in camere d’albergo di notte ma non ci sarà altro. Tutti la corteggiano, vanamente. Lei li compiange per quel loro desiderio: «Io vorrei esser stata nella pelle di tutti gli uomini». Un enigma, malignamente si sussurra di atrofia sessuale. Per Citati: la bambina mangiauomini; per la Tagliabue: la reginetta delle gattemorte, seduttrice seriale. Lei impavida voleva diventare se stessa.

Il triangolo si frantuma. Nel 1883 Lou vive a Berlino con Paul Rée, definito ironicamente la sua dama di compagnia. Costituiscono un simposio frenetico di intellettuali avidi di novità. Lou si tuffa in quella bohème letteraria, pubblica otto libri. È una fucina fiammeggiante di saggi, recensioni, articoli. Tre, quattro anni e arriva Friedrich Carl Andreas, uno studioso di lingue. Al consueto rifiuto di lei si conficca un pugnale nel petto e Lou cede, si arrende. A ventisei anni si sposa.  Il matrimonio accettato, per decisione di lei, sarà platonico. Un mariage blanc. Carl non crede a quell’imposizione sino a che lei per difendersi dai suoi assalti virili quasi lo strozza, allora si rassegna.  Carl ha 15 anni più di lei, forse lo vede come un padre. Avrà una relazione con una cameriera, la moglie consenziente, e nascerà Mariechen.

Nietzsche ha ripreso a vagabondare. Il diniego di Lou peggiora il suo stato mentale. Il teologo è disoccupato per l’uccisione nella Gaia Scienza del suo padrone. Forse è divorato dal rimorso dell’omicidio divino commesso. A Torino abbraccia un cavallo fustigato e stramazza a terra. La diagnosi descrive danni cerebrali per una caduta e neurosifilide. Questa contratta in un bordello a Colonia o Lipsia, o ancora in uno omosessuale di Genova. È dopato dall’oppio. Nell’agosto del 1900 muore in una clinica per malattie mentali a Weimar dove è ricoverato. Con un fidanzamento di Lou con Friedrich forse si sarebbe evitato il superuomo.

L’anno seguente Paul Rée si suicida in montagna. Si getta in un abisso di montagna, un abisso simile a quelli mentali da loro vaticinati. Un biglietto premonitore: «Sii pietosa. Non cercarmi». Ha compreso che Andreas lo sostituirà. Della blasfema trinità sopravvive solo una Lou addolorata.

Il 12 maggio 1897 nella casa di Wassermann, Monaco di Baviera, c’è l’incontro di Lou con Rainer Maria Rilke, un giovane poeta giunto da Praga. Lou ha 36 anni, è una matura signora, Rilke 22, acerbo, magro e pallido, etereo, con profondi occhi azzurri. Rilke assale Lou con astuzia. Cerca in lei l’istinto materno per farla sua e ci riesce. Esprime i suoi tormenti esagerandoli, le sue crisi di paura, di lesione al suo Io, affinché lei si senta la sua guaritrice. Isterico, si piange addosso. Le dà la caccia nel Quartiere Latino con le rose in mano. Non le dà requie. «Un bimbo che ritrova la madre perduta e poi amante imperioso», scrive Peters. Lou con René, Rilke, ha il suo primo amplesso. Finalmente! Con il plauso, seppure invidioso, di tutti i suoi sventurati ammiratori. Così sorpresa, lei stessa, da scriverci un libro, Erotismo. La dovuta analisi: il compiaciuto erotismo dell’Io ma anche la congiunzione dell’altro da sé.

La poetica di Rilke è in sviluppo; sarà un vivere nella morte, il frutto avvelenato che ci portiamo in grembo. Ripudia l’aldilà cristiano perché distrae dalla vita. Il suo Dio punisce chi lo ama. Il suo «un essere per la morte» sedurrà Heidegger. Lou lo aiuta nelle composizioni con suggerimenti preziosi. Lo convince ad essere meno criptico, più accessibile; ci sono: «correzioni con inchiostro nero».

Pasternak nell’estate del 1900 compie un viaggio in treno con loro e descrive Lou come una possibile madre, non una donna del poeta. Lou e Rilke si recano a Iasnaia Poliana per incontrare Tolstoj. Rilke racconta quanto accade. La moglie di Tolstoj li tratta male, li ignora, li affida al figlio. Lo scrittore compare e scompare. Riappare per portarli a passeggiare nel parco allo scopo di evitare il pranzo. Li tratta da sconosciuti, parla male di scrittori e poeti. Invita Rilke, poeta, a cercarsi un lavoro più utile. Era agitato e assente, lontano da loro. Quello che pregustavano come l’accostamento riverente a un mito  si rivela  un disastro.

Rilke è amico del pittore astrattista Paul Klee. Nei suoi tratti, le forme condannate alla metamorfosi, cerca la chiave al suo linguaggio simbolico. Il ponte che potrebbe unire i sensi con  lo spirito, l’esteriore e l’interiore.  Questi equivalgono al cerchio e alla linea retta. Le sue ninfe balzano fuori dalle cornici: «Si danzi l’arancio». Nelle elegie le stelle sono segni. L’impegno: «… forcé de signifier l’invisible». Il grembo è tutto ed è natura. Egon Schiele, il pittore delle tribolate conturbanti carni, chiede invano un suo scritto. Rilke e Klee baloccano con gli angeli.  Quelli del poeta sono esseri terribili, gli uccelli dell’anima. Quelli del pittore fragili, goffi, e incerti tra il cielo e la terra.

Il legame tra Lou e Rilke dura quattro anni anche se continuerà all’infinito. È lei a imporgli l’abbandono: «Vai incontro al tuo dio oscuro». Lui protesta: «Spegni i miei occhi: io ti vedrò lo stesso, sigilla le mie orecchie: io potrò udirti… io ti porterò nel flusso del mio sangue». Poi come uno scolaretto va a casa a fare i compiti assegnati dalla maestra. Sgorgano le Elegie duinesi, l’acme del suo lirismo. Anche per le innovazioni linguistiche usate. I critici: «la poesia è riscatto dell’uomo dalla fragilità dell’esistenza». Rolla: «Il suo spazio non è né vita né morte, ma una nuova cosa».

René chiede la mano alla scultrice Clara Westhoff. Lou tenta di dissuaderlo, il matrimonio potrebbe comportare depressione e suicidio. È stizzita.  Rilke si sposa nel marzo del 1901, nasce la figlia Ruth. Come previsto dagli amici il vincolo «si sciolse poco dopo».

Nel 1912 a Venezia si compie un rito magico. Rilke, ha 37 anni ed è sempre  un esile giunco, conosce Eleonora Duse. Lei ha 54 anni, precocemente aggredita dal tempo e infelice. Reduce dalle barbare vessazioni di D’Annunzio. René si invaghisce della Duse, è ammaliato da quel fascino seppure sfiorente. Se ne innamora. Immagina un poema dedicato a lei che lo reciterà: La Principessa bianca. Ma la Duse è irretita da una certa Lina Poletti, invadente, ambiguamente possessiva.  Rilke ne è angustiato, desiste. Si affida alla comparsa di un pavone per fuggire.

Il 29 dicembre 1926 Rilke muore nel sanatorio di Valmont in Svizzera, dove è ricoverato. Una lunga agonia di febbri, piaghe e dolori. La diagnosi propende per la leucemia. «Eppure. Gli inferni!», la sua ultima frase, così riporta Lou. È l’accettazione della sofferenza quale componente ineluttabile dell’esistenza esplicata nel suo gergo buio. La pietra tombale del poeta riporta l’iscrizione: «Rosa, contraddizione pura, piacere d’essere il sonno di nessuno sotto tante palpebre». Per questa dicitura si arrivò a fantasticare che la morte fosse dovuta alla puntura di una rosa.

Lou esaspera un incontro impossibile con l’amato René, lo ripete con lui già scomparso.  Afferma che il rimpianto non è interruzione con il defunto ma frequentazione. Cerca i motivi della loro unione, spirituale e fisica. Parla di sposalizio arcano, con lui si è aperta la dimensione del reale. Non erano metà che si univano ma un’entità inscindibile. «Così eravamo fratelli nel mito prima che l’incesto fosse sacrilegio». Il poeta aveva una sensibilità che lo faceva femmina. Questo l’artifizio per cui Lou non aveva subito l’umiliazione, l’abuso del maschio? L’onere.

Nel 1911 Lou conosce Sigmund Freud ad un congresso, in Vienna. Diventa sua allieva e poi psicoterapeuta. Frequenta Anna Freud, la quinta figlia, e stringe con lei una grande amicizia documentata da un folto epistolario.

Lou muore nel 1937 a Gottinga, si libera anche del corpo, l’insolente avversario di René. I suoi libri vengono confiscati dalla Gestapo in quanto cultrice della scienza ebrea, la psicanalisi, e amica di Freud. Avrebbe voluto le sue ceneri sparse nel giardino cosa non possibile per le leggi vigenti. Così riposa nella tomba del marito confermando quell’unione per lei irreale eppure reale.

E il mondo continua, continuerà il suo periglioso cammino obbediente all’invito di Rilke: «Lascia che tutto ti accada: bellezza e terrore».

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