Redattore

Nicolò Bindi (1991) si è laureato in Filologia Moderna all’Università degli studi di Pisa, discutendo una tesi su “Teoria e pratica del futurismo. Palazzeschi, Marinetti, Soffici”. Interessato principalmente agli aspetti stilistici, metrici e linguistici, sta concentrando le sue ricerche letterarie soprattutto sugli autori delle avanguardie storiche e del modernismo italiano ed europeo. Collabora con diverse associazioni culturali. È docente presso l'Istituto "Francesco Datini" di Prato.

L’amore come abbandono:

Perché taccia il rumor di mia catena

di lagrime, di speme, e di amor vivo,

e di silenzio; ché pietà mi affrena

se con lei parlo, o di lei penso e scrivo.

 

Tu sol mi ascolti, o solitario rivo,

ove ogni notte amor seco mi mena:

qui affido il pianto e i miei danni descrivo,

qui tutta verso del dolor la piena.

 

E narro come i grandi occhi ridenti

arsero d’immortal raggio il mio core,

come la rosea bocca, e i rilucenti

 

odorati capelli, ed il candore

delle divine membra, e i cari accenti

m’insegnarono alfin pianger d’amore.

Questo sonetto è presente sin dalla prima pubblicazione delle Poesie, avvenuta nel 1802 sul «Nuovo Giornale dei Letterati» di Pisa. A comporlo è un Foscolo non ancora travolto dall’estetica grecizzante, plastica, neoclassicheggiante che avrà il suo culmine nelle Grazie. A muovere la penna dello scrittore è ancora lo spunto intimo, sentimentale e introspettivo della prima stagione, legata ancora, in una certa misura, ai suoi ardori giovanili.

Questa lirica trova ispirazione nell’amore del poeta per Isabella Roncioni, nobile dama fiorentina, con cui il Foscolo aveva intrattenuto una relazione amorosa. Per ragioni economiche e sociali, la famiglia di lei osteggiò la relazione; non solo: combinò il matrimonio tra la giovane e il marchese Pietro Bartolomei, rendendo a tutti gli effetti l’amore di Foscolo e la relazione tra i due socialmente sconveniente. Da questo antefatto, estremamente romantico, procedono i versi del sonetto.

A discapito della grande passione che lo lega alla donna, il poeta decide di allontanarsi da lei, affinché le catene amorose che li legano assieme rimangano nascoste da occhi indiscreti, evitando così di destare scandalo in società. Questa decisione, per quanto dolorosa, è dovuta al sentimento di pietà che lei gli ispira, ogni qual volta che vi entra in contatto.

Ecco che l’innamorato, affranto, ricerca la solitudine, come prima istintiva reazione alla dissipazione dell’illusione amorosa. Personifica un torrente, e lo fa spettatore di appassionati monologhi, di pianti inconsolabili e di ricordi strazianti. Tra questi ultimi, sembrano meritarsi un posto di riguardo gli occhi, la bocca, i capelli, la pelle e la voce dell’amata. Sul modello petrarchesco, Foscolo non si attarda in descrizioni particolareggiate del corpo femminile; piuttosto, si limita a focalizzare il lettore su particolari precisi, non dandone però un’altrettanta precisa connotazione: gli occhi sono «ridenti», la bocca è «rosea», i capelli «rilucenti» e «odorati», le membra sono «divine», gli «accenti» della voce «cari». Questa scelta aggettivale non aiuta il lettore a delineare la figura della donna cantata, ma non per questo non ne stimola l’immaginazione. L’amata si ammanta di una vaga aura parimenti sensuale e mistica, grazie a richiami alla luce e al pallore, ai profumi emanati dai capelli e alla carnalità delle labbra. L’amore negato ispira dunque idealizzazione e desiderio: aspetti che insegnano al giovane poeta, ancora inesperto, il pianto della disperazione.

Quello affrontato da Foscolo è un esilio volontario, un allontanamento spontaneo dall’amata, dettato, come si è visto, dallo stesso legame che sembra unirli. Riconoscendo, infatti, il danno che potrebbe arrecarle, a livello sociale, solo attraverso la sua compagnia, intraprende la strada più difficile, ovvero abbandonare l’istinto del possesso che quasi sempre accompagna la passione. Come interpretare questo atteggiamento? Come una scelta ponderata, dettata dai pietosi sentimenti del poeta, o come un atto di resa nei confronti della contingenza, che ha reso solo ricordi e sogni i sentimenti dei due amanti?

Difficile, in effetti, trovare una risposta esatta a questa domanda, così come risulta impossibile sapere se la decisione sia stata o meno la migliore per entrambi. Non sono presenti, dunque, segni di accettazione, riflessioni sul futuro, giustificazioni o maledizioni al fato: resta un generico sentimento di abbandono, che porta verso la solitudine; resta un vago ricordo, il colore e l’odore di lei; restano le lacrime amare del sognatore che deve, suo malgrado, affrontare la realtà.

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