Redattore

Nicolò Bindi (1991) si è laureato in Filologia Moderna all’Università degli studi di Pisa, discutendo una tesi su “Teoria e pratica del futurismo. Palazzeschi, Marinetti, Soffici”. Interessato principalmente agli aspetti stilistici, metrici e linguistici, sta concentrando le sue ricerche letterarie soprattutto sugli autori delle avanguardie storiche e del modernismo italiano ed europeo. Collabora con diverse associazioni culturali. È docente presso l'Istituto "Francesco Datini" di Prato.

L’amore nell’assenza:

Varia imaginaciónque, en mil intentos,

a pesar gastas de tu triste dueño

la dulce munición del blando sueño

alimentando vanos pensamientos,

pues traeslos espíritus atentos

sólo a representarme el grave ceño

del rostro dulcemente zahareño

(glorios suspención de mis tormentos),

el sueño (autor del representaciones)

en su teatro, sobre el viento armado,

sombras suele vestir de bulto bello.

Síguele; mostraráte el rostro amado,

y engañarán un rato tus pasiones

dos bienes, que serán dormir y vello[1].

Il sonetto è stato composto da Luis de Góngora nel 1584. Il testo è appartenente alla produzione giovanile, ovvero al periodo in cui il poeta cordovese attingeva a piene mani al repertorio di Petrarca, Ariosto e Tasso, per l’ideazione e la costruzione dei suoi componimenti. Il sonetto scelto non fa certo eccezione, poiché il tema proposto è direttamente ripreso da Pensier che mentre di formarmi tenti di Torquato Tasso.

Il sonetto si articola in due periodi asimmetrici: il primo si estende dall’inizio fino alla prima terzina compresa; il secondo, invece, prende solo i versi dell’ultima terzina. Questa scelta stilistica è chiaramente dettata dalla volontà di distinguere due momenti diversi, presenti nel testo. La parte più ampia ha una funzione, potremo dire, espositiva: il poeta presenta e sviluppa il tema del sonetto, articolandolo come un conflitto tra due parti, e pone in evidenza i motivi dello scontro. Nella parte finale, più breve, si sviluppa l’inevitabile conclusione del conflitto, con tanto di esortazione a seguire le orme del vincitore. Si cercherà, adesso, di entrare più intimamente nel contenuto della lirica.

Il poeta attacca parlando direttamente con la personificazione della sua fantasia. Essa viene accusata di turbare il sonno del suo «triste dueño» (il triste proprietario), costringendolo a sforzi e congetture artificiose, con il solo intento di rievocare qualche vago tratto del volto dell’amata – in questo caso, un sopracciglio gravato dal dolce volto corrucciato della dama. Certo, la visione evocata concede un intervallo di dolcezza, al cuore tormentato dell’amante, ma è un traguardo ben misero, se rapportato con gli sforzi che ha richiesto. La fantasia, dunque, dovrebbe smetterla, di perpetrare questo insensato travaglio; piuttosto, dovrebbe permettere al suo proprietario di sgombrarsi la mente la mente e di abbandonarsi al sonno. Una volta fatto ciò, interverrà un’altra personificazione: il sogno, raffigurato come un grande rappresentante teatrale, potrà evocare senza sforzo alcuno le grazie della donna, allietando il poeta e allo stesso tempo, tramite l’incoscienza del sonno, alleviando il suo fardello. Per questo, l’autore esorta a seguire il sogno, a perdersi, almeno nel momento del sonno, nel suo dolce inganno, e ottenere un doppio vantaggio: poter vedere il volto amato, e allo stesso tempo riposarsi.

L’immagine del sogno come «autor del representaciones» è frutto tipico della temperie barocca, così come la tensione che ne consegue tra mondo reale e illusione. Concentrarsi solo su questo aspetto, però farebbe apparire il sonetto proposto come un po’ algido, poiché troppo concettuale. Quello a cui assistiamo, invece, è un gioco di prestigio del poeta, che pone l’attenzione del lettore sul conflitto fantasia/sogno per distrarlo dal vero motivo trainante tutto il componimento: l’assenza. L’amata non c’è, non è presente: ogni tipo di contatto e di piacere sensuale è negato. L’impossibilità di poter godere di un qualsiasi tipo di soddisfazione reale, concreta, carnale, provoca un senso di vuoto incolmabile, che causando tormento e volontà di fuga da una situazione tanto crudele. È il senso dell’assenza che stimola indebitamente la fantasia, che vuole colmare la vacanza evocando, come in una seduta spiritica, l’immagine di lei. Questo, però, non fa che aggravare ulteriormente la situazione: la fantasia tiene sveglio e ben presente ai suoi travagli il poeta. Ma cosa fare di più, se non ci è più dato di incidere significativamente sulla realtà che ci circonda? Al poeta non rimane che un’unica strada da percorrere: abbandonare i propri pensieri, cedere al sonno e trovare nell’altro mondo, quello onirico, quel sollievo e quel conforto che sono a lui negati in questo. Cosa cambia, infine, tra sogno e fantasia? Che la fuga dal reale è più duratura e credibile, che l’illusione può sospendere davvero, per l’arco di una notte, le sofferenze dell’abbandono.

NOTE

[1] Si propone la traduzione in italiano di Giulia Poggi: «Svariata fantasia che in mille modi / sciupi, ad onta del triste tuo padrone, / del sonno la soave munizione / inani congetture alimentando, // gli spiriti che porti essendo attenti / solo a raffigurarmi il grave ciglio / del volto dolcemente corrucciato / (intervallo glorioso al mio tormento), // il sogno, esperto in rappresentazioni, nel suo teatro sul vento allestito / ombre rivestirà di un bel fardello. // Seguilo: che ti mostri il volto amato / e che le tue passioni un poco inganni / duplice bene: dormire e vederlo.»

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