Lucano classe 1998, è laureato magistrale in "Master in European History" alla Université Paris Cité (ex Diderot) e allo University College Dublin. Dopo un doppio titolo di laurea triennale in archeologia e storia dell'arte - beni culturali, fra Matera e la Sorbona di Parigi, si è consacrato allo studio del processo di costruzione delle identità nazionali nella Francia postrivoluzionaria. Adotta un approccio internazionale e interdisciplinare, volto a studiare parallelamente le circolazioni intellettuali e l'influenza dei paradigmi ideologici sui discorsi storico-politici e sulle arti. Le sue ricerche storiche si inseriscono principalmente nella tradizione della storia delle idee e delle rappresentazioni.

Partendo dall’ultimo dei discorsi in termini cronologici qui considerati, si può notare che nel “St. Patrick Address” di De Valera del 1943[1] – mentre lo Stato Libero d’Irlanda teneva formalmente una posizione neutrale nella Seconda Guerra Mondiale – è racchiuso non solo un manifesto programmatico per una ideale Irlanda del futuro, ma anche il senso del legame che teneva insieme il repubblicanesimo à la De Valera e le elaborazioni culturali e politiche precedenti. Nel mezzo dello sfacelo generale rappresentato dal secondo conflitto mondiale, le parole di De Valera riecheggiano quasi come uno strenuo tentativo dell’allora Taoiseach (primo ministro) di proporre una “via irlandese” al futuro, anzitutto del proprio paese. Il discorso in questione presenta l’idea di un’Irlanda “felice, vigorosa, spirituale”, abitata da “persone soddisfatte con un benessere frugale che dedichino il proprio tempo libero alle cose dello spirito, […] la casa, in breve, di un popolo che viva la vita che Dio desidera che gli uomini vivano”. Questa visione – unita all’idea di una nazione industriosa ma non troppo industriale come l’Inghilterra, atletica e casta al contempo – si poneva per De Valera in continuità con il destino di quella che, fin dai tempi di San Patrizio nel V secolo, si era contraddistinta come la “terra di santi e studiosi”. Ma i suoi riferimenti erano anche e soprattutto più vicini nel tempo, dal momento che per lo statista, cento anni prima, il movimento nazionale ottocentesco denominato Young Ireland aveva rappresentato una spinta nazionale senza eguali, come non se ne erano viste “dalla età d’oro della civiltà gaelica”. Per De Valera, il perseguimento delle libertà politiche e religiose, unite al risveglio dello spirito nazionale presente soprattutto nella lingua gaelica, era stato merito successivamente della Gaelic League e degli Irish Volunteers, che fra la fine del secolo XIX e l’inizio del XX avevano posto le basi per una indipendenza irlandese da un punto di vista culturale, politico e militare. Questo patrimonio avrebbe dunque dovuto ispirare “le future generazioni” nella lotta per una Irlanda libera e, preme sottolinearlo, unita.

Proprio la Gaelic League, in effetti, fu l’associazione che più contribuì allo sviluppo di una cultura nazionale indipendente, che, attraverso il recupero della lingua e delle tradizioni (anche sportive) gaeliche, avrebbe fornito le basi per la riunificazione, poi amputata, dello stato-nazione. Douglas Hyde (1860-1949), accademico e poi uomo politico di famiglia anglicana, fu fra i principali animatori della Gaelic League, e fu proprio lui a pronunciare, nel 1892 davanti alla “National Literary Society” di Dublino, un discorso sulla “necessità di de-anglicizzare l’Irlanda[2]”, ispirando così molti attivisti culturali e politici del suo tempo. Il suo era espressamente un discorso volto non già a protestare contro “ciò che è migliore negli inglesi”, ma piuttosto a risvegliare ciò che di più originale e autentico v’era nella civiltà gaelica, partendo dalla lingua, e nella letteratura anglo-irlandese al fine di risvegliare le più originali forze vitali della nazione irlandese. Il suo discorso si pone quindi come un preludio agli sviluppi del nazionalismo culturale del tempo, senza pertanto sfociare nel nazionalismo etnico o politico, dal momento che il messaggio fu rivolto tanto agli unionisti quanto ai nazionalisti, senza uno scopo politico. In effetti, con la rapida escalation dovuta alla formazione dei volontari per l’Ulster unionista nel 1913, molti membri della Gaelic League furono chiamati alle armi da Eoin MacNeill – accademico e rivoluzionario irlandese che nel frattempo aveva avvicinato Sinn Féin e la Irish Republican Brotherhood – sotto la bandiera degli Irish Volunteers, e Hyde non tardò a farsi da parte, lasciando al professore di storia irlandese la presidenza della Gaelic League. In qualità di accademico e rivoluzionario al contempo, MacNeill vedeva nell’indipendenza irlandese un disegno storico preciso, radicato nella tradizione ancestrale dell’Irlanda[3], pervenendo per forza di cose a una “politica della storia”.

Altrettanto cosciente di ciò era Patrick Pearse, avvocato, poeta e patriota irlandese, leader degli Irish Volunteers e protagonista della celeberrima ribellione di Pasqua del 1916. Pearse, che era stato un dinamico attivista della Gaelic League nonché promotore di un’educazione gaelica nella St. Enda’s School da lui fondata nel 1908, riconobbe nel 1913 i limiti della Gaelic League, preludendo a una futura rivoluzione, dal tono politico e militaresco, nel testo The Coming Revolution[4]. Nel testo appena citato emerge effettivamente la consapevolezza di una futura lotta armata, e di una necessità a venire di dirigere gli sforzi degli stessi movimenti socialisti, oltre che repubblicani, verso una unica “Rivoluzione”. Eppure, Pearse annunciò la rivoluzione riconoscendo il contributo indispensabile della lega per la conoscenza del “volto” e dell’“accento” dell’Irlanda, e continuò la sua attività di poeta e scrittore fino a prima che le milizie della Corona lo giustiziassero nel 1916. Proprio nel 1916, egli scrisse un testo molto evocativo The Spiritual Nation, in cui elogiò i suoi predecessori rivoluzionari Tone e Thomas Davis (Young Irelander di famiglia protestante), attribuendo a quest’ultimo il merito di aver concepito compiutamente l’Irlanda come unità nazionale organica, viva, dal passato comune e dell’aspirazione indipendentista – ripudiando così le soluzioni federaliste nell’Ottocento, e la causa della Home Rule negli anni ’10 del Novecento. Conscio delle difficoltà operative di una soluzione rivoluzionaria e della necessità di aggregazione, Pearse incontrò presto sul suo percorso un altro leader del grande sollevamento del 1916, anche lui martire repubblicano, ovvero James Connolly, apparentemente molto diverso dal mistico e poetico Pearse, in quanto socialista e grande agitatore sindacale nella Dublino del primo Novecento.

Infatti, già nel 1897, pur apprezzando l’attività del revivalismo culturale gaelico, Connolly aveva espresso la necessità di unire a una rivoluzione culturale una rivoluzione politica ed economica di stampo socialista. Eppure, in Socialism and Nationalism, Connolly, nel profetizzare la repubblica socialista, pose fra le priorità la necessità di distruggere il “sistema di civiltà brutalmente materialistico” inglese, dal momento che, anche senza autorità politica, in tal caso l’Inghilterra avrebbe perpetrato il suo dominio tramite le sue istituzioni “capitaliste e individualiste”. All’alba della ribellione del 1916, e quindi della sua morte, Connolly espose alcune sue riflessioni programmatiche nell’articolo What Is A Free Nation?[5]. Nel testo in questione, egli sottolineò la necessità di un’Irlanda libera in Europa, e per libera egli la intendeva dotata di uno stato capace di controllare risorse e poteri, porti e infrastrutture, ma anche interventi statali quali le misure protezionistiche – rievocando le teorie à la List del fondatore stesso di Sinn Féin, Arthur Griffith. Al percorso di Connolly e dei socialisti irlandesi, riuniti nella Irish Citizen Army, era legato anche quello di Constance Markiewicz, donna illustre del movimento repubblicano femminile irlandese Cumann na mBan. Anche lei partecipò al sollevamento di Pasqua del 1916, venendo in seguito incarcerata. I suoi scritti sono intrisi di un ardore notevole per la causa della libertà nazionale, con un tono che riunisce religiosità, antimperialismo e devozione al movimento repubblicano.

Due figure, fra le innumerevoli altre, che si vogliono infine evocare nel presente testo sono W.B. Yeats e Michael Collins. Quanto al poeta W.B. Yeats, egli fu considerato dallo stesso T.S. Eliot come una figura imprescindibile per il suo tempo, oltre a esser stato uno dei massimi esponenti del revival gaelico. Eppure, W.B. Yeats è una delle figure più contraddittorie fra quelle finora menzionate, data anche la sua apertura al modernismo che lo portò a lavorare a stretto contatto con Ezra Pound fra il 1913 e il 1915. Di madre protestante, e lui stesso ammiratore dei migliori autori anglo-irlandesi oltre che dei “begli edifici del diciottesimo secolo”, egli fu un grande promotore della causa della nazionalità irlandese. I suoi componimenti sono pregni di riferimenti alla mitologia gaelica, all’eroe Cú Chulainn per esempio, ma anche a figure come Burke e Grattan. Decisamente meno sensibile al retaggio cattolico riscontrabile in molti nomi illustri della causa nazionale (Pearse, De Valera e Collins fra gli altri), W.B. Yeats dimostrò un’apertura anche alla mitologia indiana, all’occultismo e ai classici greco-romani, oltre che rinascimentali. Fu su questa convergenza di influenze e di paradossi, quindi su W.B. Yeats, che ricadde la responsabilità di rappresentare la cultura letteraria irlandese nel consesso mondiale dedicato alla razza irlandese nel gennaio del 1922 a Parigi, subito dopo la nascita dello Stato Libero.

Michael Collins, rivoluzionario irlandese fra i più noti nonché inviato nel momento della negoziazione del trattato anglo-irlandese nel 1921, espresse le sue idee sulla “Irlanda ideale”, fra gli altri testi, in The Path to Freedom[6], prima di finire vittima degli odi innescatisi con la guerra civile nel 1922. Un carattere presente nel testo, e che contraddistingue la maggior parte degli approcci dei nazionalisti irlandesi dell’epoca, è il carattere spirituale e culturale della nazione irlandese, in senso quasi herderiano. In effetti, per Collins, la via per la libertà consisteva proprio nel riscoprire i caratteri costituenti la civiltà gaelica, che già era stata capace di assorbire e assimilare nel suo seno altri popoli. Se quindi Collins era cosciente della sopravvivenza delle comunità gaeliche nei remoti villaggi dell’Irlanda dell’ovest, per lui era importante “diventare gaeli di nuovo” nel resto dell’Irlanda, costruendo “una nuova civiltà sulle fondazioni della vecchia”. E a questa nuova civiltà, Collins attribuiva una valenza spirituale, certo, ma anche dei caratteri più concreti quali: la democrazia in economia, intesa come un incentivo alla libera industria nel divieto però di concentrazioni monopolistiche; la preminenza e il supporto governativo della infine restaurata lingua gaelica per rinvigorire la nazione in aggiunta all’impulso agli sport tradizionali, senza che ciò si trasformasse in dirigismo o, peggio, in commercializzazione della linfa vitale del popolo.

Le derive confessionali dell’Irlanda degli anni ’30, denunciate e osteggiate da W.B. Yeats fra gli altri, rendono poco l’atmosfera che si respirava in Irlanda nel tempo dei centenari prima evocati, e che è rispecchiata piuttosto nel testo di proclamazione della Repubblica del 1916. Ancor meno si capirebbe lo spirito col quale molti dei personaggi finora menzionati andarono incontro alla morte tenendo in conto i paradigmi politici e culturali del nostro tempo. Nondimeno, nel suo carattere riassuntivo, questo testo ha voluto ricordare non solo l’eterogeneità del movimento nazionale irlandese, ma anche la forza delle idee di quanti, più di cent’anni fa, lottarono, con risorse economiche e demografiche limitate, contro uno dei più grandi imperi della storia.

NOTE

[1] “The Ireland That We Dreamed Of”, discorso di Éamon de Valera, 17 marzo 1943, RTÉ Archives, https://www.rte.ie/archives/exhibitions/eamon-de-valera/719124-address-by-mr-de-valera/ (consultato il 13 maggio 2023).

[2] D. Hyde, “The Necessity for De-Anglicising Ireland”, discorso del 25 novembre 1892.

[3] E. Johnston, “Eoin MacNeill the Historian”, in History Hub Special, UCD, 2013.

[4] P. PPearse, “The Coming Revolution”, 1913, CELT UCC, https://celt.ucc.ie/published/E900007-003/text001.html (consultato il 14 maggio 2023).

[5] J. Connolly, “What Is A Free Nation?”, 1916, Marxsists.org, https://www.marxists.org/archive/connolly/1916/02/whtfrnat.htm (consultato il 14 maggio 2023).

[6] M. Collins, The Path to Freedom, 1922, Mercier Press.

Loading