Lucano classe 1998, è laureato magistrale in "Master in European History" alla Université Paris Cité (ex Diderot) e allo University College Dublin. Dopo un doppio titolo di laurea triennale in archeologia e storia dell'arte - beni culturali, fra Matera e la Sorbona di Parigi, si è consacrato allo studio del processo di costruzione delle identità nazionali nella Francia postrivoluzionaria. Adotta un approccio internazionale e interdisciplinare, volto a studiare parallelamente le circolazioni intellettuali e l'influenza dei paradigmi ideologici sui discorsi storico-politici e sulle arti. Le sue ricerche storiche si inseriscono principalmente nella tradizione della storia delle idee e delle rappresentazioni.

Recensione a: D. Ferriter, Between Two Hells. The Irish Civil War, Profile Books Ltd, London 2021, pp. 328, £ 20,00.

Le morti illustri del 1922 evocate da Ferriter, prima Cathal Brugha e Harry Boland dalla parte degli anti-Trattato, poi i pro-Trattato Arthur Griffith e Michael Collins – caduto nell’imboscata tesagli a Béal na Blá –, restituiscono il quadro complesso e instabile di una nazione che, all’inizio del suo operativo processo di state-building, fu privata di uno dei sui leader più carismatici, nonché del presidente del governo provvisorio.

I capitoli VI e VII costituiscono poi un acuto studio della progressiva costruzione militare e amministrativa dello Stato Libero e del suo esercito, prendendo in esame non solo l’estrazione sociale dei soldati e l’opacità legale della proprietà privata durante la guerra, ma anche fenomeni come l’alcolismo diffuso tra i soldati e la difficile integrazione nell’esercito “regolare” delle migliaia di matricole reclutate proprio in occasione della guerra. L’autore definisce sagacemente anche le modalità di censura applicate da entrambe le fazioni, con il governo provvisorio che volevasi “governo” e che definiva l’IRA “bande”, mentre tutte le informazioni sarebbero dovute passare da Dublino o Waterford. In questo contesto Kevin O’Higgins e Richard Mulcahy, ministri del governo Cosgrave, portarono avanti la linea dura, soprattutto quando, con la promulgazione del “Public Safety Bill”, a partire dal 17 novembre del 1922 furono giustiziate 77 persone. Nei capitoli centrali del libro trovano quindi voce anche le pagine più buie del conflitto, segnato da episodi tragici come la mina esplosa a Knocknagashel, le torture e i casi di abusi sulle donne. Un’attenzione speciale è poi dedicata dall’autore ai prigionieri sia militari sia civili, e in particolare alla figura femminile di Mary MacSwiney, sorella di quel sindaco di Cork che nel 1920 morì in seguito a uno sciopero della fame portato avanti per la causa irlandese. Repubblicana, anche lei manifestò, con lo sciopero della fame, la sua avversione al Trattato e a una Chiesa cattolica troppo remissiva, che quasi propendeva, secondo lei, per i “materialisti” durante la guerra civile, lei che si paragonava a Giovanna d’Arco (p. 80).

Ferriter è quindi attento nel segnalare le ambiguità della Chiesa cattolica nel supporto all’una o all’altra fazione, propendendo spesso più per il partito della stabilità che per i repubblicani anti-Trattato, che pure si volevano fedelissimi cattolici nonostante le scomuniche, come De Valera quando affermò che, nonostante tutto, essi erano ancora “misticamente e spiritualmente suoi figli” (p. 214).

Le fasi finali del conflitto avrebbero potuto trovare un ulteriore approfondimento nel libro, che comunque restituisce il progressivo indebolimento dell’IRA anti-Trattato, soprattutto dopo l’esecuzione di E. Childers, prima, e di Liam Lynch ad aprile del 1923. Furono proprio Frank Aiken e De Valera, poi detenuto fino al 1924, ad annunciare la fine del conflitto civile – senza però perdere l’ambizione repubblicana – alla fine di maggio del 1923.

Una intera parte del libro è dedicata al lascito della guerra e alle sue ripercussioni tanto nella sfera pubblica quanto in quella privata. Nell’opera sono infatti esplorate le vicende di alcuni uomini e donne che, alla fine della guerra, fecero domanda per le pensioni in quanto invalidi oppure danneggiati in qualche modo dalla guerra. Questa parte, che è meno scorrevole delle altre, si compone però di analisi brillanti e attente, dalle quali emergono sia la difficoltà amministrativa sia, talvolta, la “crudeltà burocratica” nell’attribuzione delle suddette pensioni, soprattutto nei casi di maggiore bisogno. Delle circa 82000 pensioni richieste, osserva Ferriter, nel 1960 soltanto intorno alle 18000 furono attribuite, sebbene molte delle famiglie richiedenti fossero indigenti, mentre tante famiglie beneficiarie dovevano accontentarsi delle fasce retributive più basse (p. 130). Se l’intellettuale O Faoláin aveva lamentato la mancanza di memoriali per i civili dopo la guerra, Ferriter si è impegnato a restituire le testimonianze di molti cittadini comuni come la famiglia O’Neill e le veterane di Cumann na mBan, che pure vissero traumaticamente e spesso con pochi aiuti statali il periodo postbellico, come nel caso di Marian Tobin e Mary McNicholl (pp. 182-185).

L’analisi dei problemi relativi alla stabilizzazione delle istituzioni e dell’esercito riguarda anche la fase postbellica, e Ferriter si sofferma in particolare sul tentato ammutinamento dell’esercito nazionale nel 1924, a seguito della consistente smobilitazione e del taglio budgetario sulla difesa, mentre molti soldati rimasti, quasi presiedessero la fortezza Bastiani, avevano anche il tempo di annoiarsi (p. 161). L’autore indaga in questa parte il tentativo di moralizzare, anche attraverso i preti cappellani, un esercito che sembrò ritrovare maggiore sintonia con il governo solo nel 1932 con il trionfo elettorale di Fianna Fáil e l’arrivo al ministero della difesa di F. Aiken.

I capitoli conclusivi sono in effetti fra i più appassionanti, giacché essi tracciano la continuità dei partiti nati dalla rottura di Sinn Féin durante la guerra civile, in particolare Cumann na nGaedheal (pro-Trattato, poi Fine Gael) e Fianna Fáil (anti-Trattato fondato da De Valera nel 1926), per dimostrare come quelle categorie politiche siano state determinanti nei decenni successivi, malgrado l’attenuazione della retorica bellica. Se gli anti-Trattato capeggiati da De Valera finirono per essere spesso associati al vero partito irlandese, rappresentativo di tutte le classi al punto da rendere vana la presenza laburista, i pro-Trattato, sovente associati al partito dei ricchi, segnarono comunque la dialettica politica. Così facendo, Ferriter mette in risalto anche i meriti di De Valera, spesso ombreggiato da Collins, nel mantenere la democrazia anche quando nel resto dell’Europa dilagavano i totalitarismi, pur adoperandosi per una serie di iniziative di welfare pubblico, piani immobiliari, riforme agrarie e per dare una nuova Costituzione, a tutti gli effetti sovrana e repubblicana, all’Irlanda. In particolare, Ferriter ha sottolineato che, nei momenti più difficili, quelli che una volta erano stati nemici seppero trovare l’unità, soprattutto quando De Valera dichiarò la neutralità dell’Irlanda nel secondo, tragico, conflitto mondiale. Se nel 1968 Séan Lemass, uomo di spicco di Fianna Fáil, ebbe a notare l’affievolirsi del “cameratismo” che in altri tempi lo aveva unito ai commilitoni dell’IRA (p. 232), nondimeno, nota Ferriter, l’identità politica generata dalla guerra civile si è protratta fino a oggi in Irlanda, anche quando si prova a rinnegarla. Se la giovane McHugh, del partito dei Verdi, aveva affermato nel 2019 che, col pianeta in rovina, non le interessava chi avesse fatto cosa durante la guerra (p. 243), il premier Martin continua a dimostrarsi sensibile nei confronti di una memoria fondamentale per molti nelle generazioni precedenti.

In conclusione, Diarmaid Ferriter, nel suo intento di sintesi e di riflessione poliedrica sulla guerra civile e sul suo lascito, ha dato alla luce un libro appassionante, sfaccettato, penetrante e attuale. Se è vero che una maggiore attenzione ai risvolti militari durante tutto il conflitto – magari con un supporto cartografico – avrebbe aiutato la comprensione delle dinamiche belliche, è altrettanto necessario notare che il libro si compone anche di una attenta analisi politica e della memoria della guerra civile. In particolare, Ferriter dà una lezione di storiografia quando, sgomberando le polemiche su un eventuale processo alle intenzioni degli attori della guerra civile, scrive:

Non è il dovere dello storico quello di “dare lezioni alle persone del passato su come avrebbero dovuto fare meglio” […] cosa contò per i partecipanti, e cosa dovrebbe contare per gli storici, è ciò che fu sentito in quel tempo (pp. 9 e 14).

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