Lucano classe 1998, è laureato magistrale in "Master in European History" alla Université Paris Cité (ex Diderot) e allo University College Dublin. Dopo un doppio titolo di laurea triennale in archeologia e storia dell'arte - beni culturali, fra Matera e la Sorbona di Parigi, si è consacrato allo studio del processo di costruzione delle identità nazionali nella Francia postrivoluzionaria. Adotta un approccio internazionale e interdisciplinare, volto a studiare parallelamente le circolazioni intellettuali e l'influenza dei paradigmi ideologici sui discorsi storico-politici e sulle arti. Le sue ricerche storiche si inseriscono principalmente nella tradizione della storia delle idee e delle rappresentazioni.

Recensione a: D. Ferriter, Between Two Hells. The Irish Civil War, Profile Books Ltd, London 2021, pp. 328, £ 20,00.

A cento anni dalla fine – convenzionale – della guerra civile irlandese nel maggio del 1923, si sono  moltiplicate negli ultimi anni le iniziative e le pubblicazioni volte a riflettere criticamente sulle fondamenta dello Stato Libero d’Irlanda, prima, e della Repubblica irlandese poi.

Una delle pubblicazioni più importanti al riguardo è Between Two Hells (2021) di Diarmaid Ferriter, fra i maggiori storici contemporanei irlandesi. “Fra due inferni”, espressione utilizzata da un membro di Sinn Féin dell’epoca (p. 10), è il titolo scelto dallo storico per trattare della guerra civile irlandese a esattamente cento anni dalla firma del fatidico Trattato anglo-irlandese (1921), che, dopo la guerra d’indipendenza, provocò lo scoppio della guerra civile irlandese tra coloro che supportavano il Trattato e coloro che lo respingevano. Il libro, che si compone di 26 capitoli – quante sono le contee della Repubblica irlandese –, è diviso in due parti: la prima tratta delle ragioni e delle dinamiche della guerra civile irlandese, che convenzionalmente ebbe luogo tra giugno del 1922 e maggio del 1923; mentre una seconda parte affronta il tema del lascito della guerra. In effetti, se è vero che da un libro sulla guerra civile ci si sarebbe aspettati una trattazione sul biennio 1922-1923, è altrettanto necessario dare ragione all’autore quando dice che l’intero sistema politico irlandese contemporaneo è stato definito dall’era rivoluzionaria (p. 217). Da subito, l’autore nota che il bilancio di morti della guerra civile irlandese (tra i 1200 e i 4000 morti) fu di gran lunga inferiore a quello di paesi come l’Estonia, l’Ungheria e la Finlandia, dove furono combattute ben più sanguinose guerre civili. Nondimeno, le conseguenze della guerra civile irlandese sono state tali da determinare il campo elettorale e la dialettica politica per i decenni a seguire, fino ai giorni nostri. In più, il libro in questione si presenta come uno studio dell’anatomia della guerra civile, e, nonostante la estrema peculiarità del caso irlandese, la lettura aiuta a comprendere meglio le dinamiche generali della guerra civile, dall’alta politica alla quotidianità familiare. Se non altro, il caso irlandese costituisce un oggetto di studio ineludibile per indagare le dinamiche, le difficoltà e le ambiguità della lotta all’imperialismo, non solo da un punto di vista militare, ma anche sociale e giuridico.

Forte di accurate ricerche presso gli archivi nazionali, militari, universitari (UCD e NUI Galway), diocesani e di contea oltre che parlamentari, consultati tanto a Dublino quanto a Londra passando per Belfast e Cork, il libro presenta novità importanti, indagando anche le carte relative al servizio militare delle pensioni e i documenti relativi all’ammutinamento dell’esercito dello Stato Libero rischiato nel 1924, resi pubblici nel 2019. Supportato poi da un solido apparato critico e dalla consultazione di giornali sia nazionali sia di contea, il lavoro si presta bene a cogliere il problema della simultaneità nello studio degli eventi bellicosi e insurrezionali. Se non altro, gli approcci storiografici applicati nel libro concorrono con originalità e chiarezza a cogliere le grandi questioni tirate in ballo dalla guerra: innanzitutto quella della legittimità dello stato e del suo esercito in seguito alla spaccatura dell’IRA nei due fronti politici e militari; le implicazioni politiche e religiose del conflitto in un quadro di influenze incrociate tra Regno Unito, Stati Uniti e Santa Sede; il ruolo delle donne e in particolare del movimento filo-repubblicano Cumann na mBan nel conflitto; la memoria, il silenzio, i traumi, la miseria, le rivendicazioni di giustizia e l’emigrazione. La dichiarata missione dell’autore è pero anche quella di restituire le varie sfumature del pensiero e degli attori del tempo, evitando la dicotomica e troppo netta separazione in soli due blocchi, pur riconoscendo, senza troppi giri di parole, che di guerra civile si trattò (p. 5).

La trattazione s’apre con la divisione di Sinn Féin sul Trattato anglo-irlandese che, dopo la guerra d’indipendenza, si presentò, sul finire del 1921, come un modo per pacificare Inghilterra e Irlanda, riconoscendo a quest’ultima, sempre nell’ambito della Corona inglese e del Commonwealth, un parlamento proprio con sede a Dublino. De Valera, che frattanto era diventato il leader del movimento repubblicano, non partecipò ai negoziati, ai quali presero parte però, fra gli altri, Arthur Griffith e Michael Collins, in quota irlandese, Winston Churchill e Lloyd George per gli inglesi. Dalla delusione delle aspettative di De Valera, che avrebbe desiderato tutt’al più un’associazione esterna alla Corona e una riunificazione totale dell’Irlanda – la cui divisione tra le 26 contee del sud e le 6 del nord sarebbe stata confermata dal Trattato in attesa degli sviluppi in seno alla “Boundary Commission” – e non certo il mantenimento del giuramento alla Corona invece previsto dal Trattato, scaturì la drammatica frattura, che presto avrebbe portato parte dell’IRA, soprattutto nel Munster, a dichiararsi indipendente dal governo provvisorio già prima della discussione parlamentare del Trattato. L’autore presta quindi attenzione agli sviluppi del conflitto politico e religioso nell’Ulster, dove le violenze iniziarono prima che a Dublino, e dove, nel 1922, le organizzazioni repubblicane furono messe al bando in un atteggiamento di chiusura allo Stato Libero che pure era in grave difficoltà nella gestione dell’ordine pubblico, malgrado il passaggio nel Dáil del Trattato con 64 voti a favore e 57 contrari.

Pungenti e acute sono invece le critiche rivolte dall’autore a Winston Churchill, soprattutto nel momento in cui lui, allora segretario di Stato per le colonie per il Regno Unito, alimentò la tensione invocando la linea dura in occasione dello sgombero del Four Courts di Dublino, diventato nel frattempo quartier generale dei frangenti dell’IRA sfavorevoli al Trattato. Malgrado l’acuirsi della dialettica politica tra favorevoli e sfavorevoli al Trattato, infatti, nel maggio del 1922 si tentò di ristabilire la pace con una tregua fra le due fazioni. Tuttavia, con l’uccisione di Sir. Wilson a Londra da parte di membri dell’IRA e con l’adozione di una linea intransigente da parte di Churchill, l’ultimatum rivolto a fine giugno del 1922 agli occupanti del Four Courts di Dublino si tramutò presto nel primo, ufficiale, atto della guerra civile. La  considerazione da parte inglese dei repubblicani avversi al Trattato come “terroristi estremi” (p. 45) fu, per l’autore, “pigra” e poco attenta.

D’altra parte, come nota Ferriter, l’IRA, guidata principalmente da Liam Lynch e Rory O’Connor, era sprovvista di un piano politico realmente perseguibile, sicché, con la vittoria elettorale della fazione favorevole al Trattato e la pubblicazione della costituzione nel giugno del 1922, la chiamata alle armi divenne presto l’unico modo di confronto. In quella occasione specificamente, ricorda l’autore, gli scontri tra repubblicani anti-Trattato e forze governative portarono alla distruzione di un importante patrimonio archivistico per l’Irlanda, comprendente documenti del XIV secolo e dati riferiti a censimenti del secolo XIX, conservati appunto a Four Courts. Nella rievocazione del conflitto, per il lettore straniero, ma anche per una maggiore chiarezza esplicativa, sarebbe stato d’aiuto l’uso di carte geografiche e l’esplicitazione di più dettagli logistici e militari. Nondimeno, l’autore fornisce un quadro generale chiaro, enfatizzando la violenza del conflitto a Dublino, Cork – dove la componente religiosa della guerra ebbe un peso considerevole –, in Kerry e Tipperary. Ferriter sottolinea poi la sempre maggiore tendenza alla guerriglia dell’IRA, che man mano ripiegava nelle aree rurali per controbilanciare il rafforzamento dell’esercito nazionale, che pure faticava a ricevere le munizioni dall’Inghilterra.

(fine prima parte)

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