Lucano classe 1998, è laureato magistrale in "Master in European History" alla Université Paris Cité (ex Diderot) e allo University College Dublin. Dopo un doppio titolo di laurea triennale in archeologia e storia dell'arte - beni culturali, fra Matera e la Sorbona di Parigi, si è consacrato allo studio del processo di costruzione delle identità nazionali nella Francia postrivoluzionaria. Adotta un approccio internazionale e interdisciplinare, volto a studiare parallelamente le circolazioni intellettuali e l'influenza dei paradigmi ideologici sui discorsi storico-politici e sulle arti. Le sue ricerche storiche si inseriscono principalmente nella tradizione della storia delle idee e delle rappresentazioni.

I sette anni intercorsi tra il 2016 e il 2023 sono stati anni molto importanti per la memoria degli irlandesi. Sono ricorsi infatti i 100 anni dalla “Easter Rising”, il sollevamento repubblicano che nella Pasqua del 1916 portò alla proclamazione di quella ideale Repubblica Irlandese (Poblacht na hÉireann)[1] presto soppressa dalle milizie della Corona inglese, e i due centenari relativi a eventi che hanno posto le basi per il graduale processo di state-building in Irlanda: la stipula e la ratifica, tra il 1921 e il 1922, del “Trattato anglo-irlandese” che sancì il riconoscimento di uno “Stato Libero d’Irlanda”, tuttavia ancora legato alla Corona inglese e amputato delle contee del Nord; ragion per cui, con lo scoppio della guerra civile e la fine formale di quest’ultima nel 1923, lo stesso 2023, cent’anni dopo, è non meno significativo per gli irlandesi. In effetti, il celebre film Gli spiriti dell’isola, che è valso all’attore Colin Farrell il prestigioso Golden Globe come migliore attore nel 2023, è ambientato proprio nelle province sperdute della costa atlantica irlandese in piena guerra civile. Centenario meno legato alla storia prettamente politica dell’Irlanda, ma estremamente significativo per la sua storia culturale e letteraria, è quello della pubblicazione, a Parigi, del capolavoro di James Joyce Ulysses. Sempre a Parigi, nel 1922, si teneva il congresso mondiale della “razza irlandese”, che fu la prima grande vetrina di esposizione per l’Irlanda in qualità di stato libero dopo la guerra anglo-irlandese e la ratifica del suddetto controverso trattato. L’intento di questo articolo è di risalire alle intenzioni e al pensiero di coloro che furono i protagonisti del movimento indipendentista e rivoluzionario irlandese negli anni dei suddetti centenari, presentando però prima alcune riflessioni sulle prerogative del contesto attuale delle politiche anglo-irlandesi. Nella seconda parte dell’articolo saranno quindi presi in conto, senza voler e poter essere esaustivi, testi e discorsi di uomini e donne impegnati tanto in politica quanto nell’azione, studiosi e rivoluzionari fondamentali nel processo di “nation-building” quali: Douglas Hyde, Eoin Mac Néill, Constance Markiewicz, Patrick Pearse, James Connolly, W.B. Yeats, Michael Collins ed Éamon de Valera.

Il 6 maggio del 2023, Carlo III d’Inghilterra, sovrano anche dell’Irlanda del Nord, veniva incoronato a Westminster, dopo la morte di Elisabetta II – regina durante tutto il periodo dei Troubles nordirlandesi e nel momento della stipula del Good Friday Agreement nel 1998 – e ciò apre nuove prospettive sulle relazioni anglo-irlandesi. Volendo guardare ancora più indietro, da un punto di vista sociale, almeno altri tre fatti sembrano essere particolarmente rilevanti per capire come l’Irlanda stia evolvendo: nell’Assemblea dell’Irlanda del Nord, Sinn Féin, partito tradizionalmente repubblicano, è ormai maggioritario; secondo un articolo di The Guardian, nel 2022 la porzione cattolica della società nordirlandese ha superato quella protestante[2]; la Brexit non cessa di alimentare scetticismi, in particolare nei territori dove gli indipendentisti sono più presenti, soprattutto dopo la crisi politica ed economica che ha toccato il Regno Unito negli ultimi anni.

Se il quadro finora presentato può sembrare particolarmente favorevole per i progetti di riunione repubblicana a guida irlandese, preme tuttavia sottolineare che la stessa Repubblica d’Irlanda, formalizzata nel 1949, ha vissuto questi anni di centenari come momento di profondo questionamento del lascito del movimento repubblicano. In effetti, l’Irlanda d’oggi è un paese profondamente cambiato rispetto a quello un po’ folkloristico che popola l’immaginario di molti europei e non solo. Città come Dublino, Galway e Cork, per citare alcune delle più grandi della Repubblica, offrono oggi una nuova immagine di sé stesse, proponendosi come attrattori per investimenti nell’high-tech, per la ricerca e per un modo di vita decisamente liberale e cosmopolita, in netta antitesi con il conservatorismo cattolico sociale che contraddistinse l’Irlanda soprattutto dopo l’ottenimento dell’indipendenza e del riconoscimento di un parlamento a Dublino, Dáil Éireann. Ed è soprattutto nei confronti di quel retaggio nazionalista e maggioritariamente cattolico che parte del mondo storiografico e sociale irlandese odierno muove le proprie critiche.

A un processo di secolarizzazione abbastanza generalizzato, e che si trova bene espresso nell’atteggiamento politico dei paesi sempre più integrati nelle dinamiche della Unione Europea, s’affiancano una critica e un questionamento propri della storia contemporanea irlandese. La controversa vicenda delle “Mother and Baby Homes”, nelle quali molte ragazze madri e bambini sarebbero stati vittime di violenze e maltrattamenti, ha portato le istituzioni irlandesi a creare una commissione nel 2015, per indagare su quanto avvenuto nei suddetti istituti. Una pubblicazione emblematica, e che bene esprime la criticità del rapporto fra la società contemporanea irlandese e il retaggio cattolico e nazionalista dello Stato Libero, è The Best Catholics in the World: The Irish, the Church and the End of a Special Relationship (2021), traducibile con “I migliori cattolici del mondo: gli irlandesi, la Chiesa e la fine di un rapporto speciale”, di Derek Scally. In effetti, al di fuori degli ambienti accademici e della diretta esperienza della società irlandese, risulta decisamente fallace comprendere il possibile processo di riunificazione irlandese secondo l’interpretazione ideologica e anacronistica di certi ambienti politici europei, che credono – o semplicemente feticizzano – che l’Irlanda sia in procinto di diventare il paese della “Rome Rule” oppure il luogo di attuazione di una utopia pre-normanna. Ancor più pericoloso è fare ciò senza aver coscienza del peso storico e sociale dell’unionismo politico e del protestantesimo religioso nelle contee di Antrim, Down e nella stessa città di Belfast, dimenticando che, nel settembre del 1912, Sir Edward Carson radunò più di 400.000 persone intorno all’“Ulster Covenant” unionista, in contrasto con l’apertura mostrata dallo stesso primo ministro inglese dell’epoca, Hebert Asquith, nei confronti dei nazionalisti irlandesi rappresentati da John Redmond. L’apprendimento della stessa lingua gaelica irlandese, per la quale tanto avevano lottato i fondatori della Gaelic League e lo stesso Éamon de Valera, risulta difficile oggigiorno in Irlanda, dove molti giovani sperimentano, al pari dei coetanei europei, la praticità dell’inglese in un mondo globalizzato. Tuttavia, altrettanto fuorviante sarebbe guardare al presente di un’Irlanda liberale attraverso una lente esclusivamente marxista, che pure era plausibile e d’attualità negli anni dei Troubles. Ancor più riduttivo sarebbe interpretare le fasi cruciali dell’indipendenza irlandese del secolo scorso prendendo in esame le sole categorie applicabili per la rivoluzione bolscevica. Anzi, per capire le basi ideologiche, religiose e politiche sulle quali lo Stato Libero d’Irlanda fu incardinato soprattutto quando il partito Fianna Fáil giunse al potere, è assolutamente necessario indagare la storia del nazionalismo e della religione in senso culturale, sociale, ma anche letterario – oltre che economico e di classe. In particolare, negli anni ’10 del Novecento si giocarono le sorti dell’Irlanda in quanto stato-nazione, nel momento in cui il partito della “Home Rule” guidato da Redmond andò in crisi, e, con lo scoppio della Grande Guerra, si aprirono molteplici possibilità di attuazione di una rivoluzione che prima era stata perlopiù pensata. In questo momento dinamico, turbolento e violento della storia irlandese – ma anche europea più in generale con la fine della belle époque –, le diverse interpretazioni della autonomia irlandese trovarono terreno fertile per una possibile attuazione, che doveva comunque tener conto della eterogeneità dei propri protagonisti: se un supporto popolare importante veniva da ambienti cattolici e nazionalisti formatisi negli anni d’oro della Gaelic League  e sotto la guida di Parnell (di famiglia anglicana ma in prima linea per Home Rule e Land League), nondimeno anche socialisti, discendenti di protestanti, movimenti femminili e realtà politiche estere giocarono un ruolo importante nell’attuazione dell’Easter Rising, prima, e della fondazione dello stato libero poi. Sarà quindi preso dapprima in considerazione il “St. Patrick Address” del 1943 di De Valera, che, pur situandosi fuori dall’arco cronologico preso in esame, racchiude il senso storico della maggior parte di quei movimenti che, fra il 1890 e il 1922, posero le basi per l’indipendenza irlandese.

 

NOTE

[1] 1916 Proclamation”, UCC, https://libguides.ucc.ie/1916Proclamation (consultato il 15 maggio 2023).

[2] R. Carroll, “Catholics outnumber Protestants in Northern Ireland for first time”, in The Guardian, il 22 settembre 2022, https://www.theguardian.com/world/2022/sep/22/catholics-outnumber-protestants-northern-ireland-census  (consultato il 6 maggio 2023).

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