Redattore

Nicolò Bindi (1991) si è laureato in Filologia Moderna all’Università degli studi di Pisa, discutendo una tesi su “Teoria e pratica del futurismo. Palazzeschi, Marinetti, Soffici”. Interessato principalmente agli aspetti stilistici, metrici e linguistici, sta concentrando le sue ricerche letterarie soprattutto sugli autori delle avanguardie storiche e del modernismo italiano ed europeo. Collabora con diverse associazioni culturali. È docente presso l'Istituto "Francesco Datini" di Prato.

Capitolo sette

Che è come “settembre”, ma senza “mbre”

Arrivò settembre, rinomato come il mese in cui muoiono i buoni propositi. Morì anche il buon proposito di Alfredo di passare l’esame di latino («Il capitalismo è il male.» «Ma lo vuol capire che me lo deve dire in latino? Bocciato!» «NOOOOO!»). Si rifugiò, così, in un tirocinio di tre mesi all’Accademia della Crusca. Il pensiero di lavorare a stretto contatto con così tanti libri di valore, con rinomati linguisti, sicuramente avrebbe dato lustro alla sua personalità, nonché fornito un motivo di vanto con gli amici e i parenti.

Le cose, però, non andarono proprio come si era immaginato: appena arrivato, anziché dargli qualche compito di rilievo, in cui avrebbe potuto dar sfoggio delle sue doti letterarie, gli affibbiarono il lavoro che nessun accademico della Crusca voleva fare: curare la corrispondenza elettronica; in poche parole, eliminare le mail inutili e tenere quelle utili. Il lavoro era una noia mortale, e non richiedeva più di qualche ora a settimana. Per il resto del tempo, il povero Alfredo era quasi ignorato – ovvero, altri lavori gli venivano proposti, come riordinare gli scaffali della biblioteca, ma lui trovava sempre qualche scusa per evitarseli.

La vita sembrava sempre più cupa, fin quando, un giorno, una strepitosa opportunità si presentò ad Alfredo, sotto forma di una mail inviata da una maestra elementare.

Capitolo otto

Scambio di mail

Mittente: Elisabetta Cucchiaro

Oggetto: /assente/

Corpo: Buon giorno academia della cursa sono la maestra elementale Elisabetta Cucchiaro mi scuso per il disturbo ma volevo chiedervi un consulto. Un mio alunno che si chiama Tonio Barbieri a scritto una parola che secondo me è una bela parola formata bene e tutto e volevo sapere se esiste o no e se no se Tonio ha inventato una nuova parola o no così per sapere perché se lha inventata magari lo fate accademico vi amndo il file contenente la parola in allegato

Cordiali saluti

Elisabetta Cucchiaro

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni” (G. Rodari)

Mittente: Accademia della Crusca (ma in realtà era Alfredo, che aveva odorato una buona aria d’affari)

Oggetto: La parola di Tonio

Corpo: Gentile signora Cucchiaro,

abbiamo controllato la parola scritta dal suo alunno, e confermiamo quanto da lei detto: la parola è ben formata, e non è presente nei nostri dizionari ufficiali. Il suo significato, letteralmente, è: saltare sul tetto di una casa di Eboli.

Ora, prima di poter accettare la parola di Tonio e inserirla nel dizionario, questa deve diventare di uso comune.

Cordiali saluti,

L’Accademia della Crusca

Mittente: Elisabetta Cucchiaro

Oggetto: /assente/

Corpo: Ciao accademia mi fa molto piacere quello che mi hai scritto scusa se ti do del tu ma ormai ci conosciamo. Volevo chiederti come possiamo fare ad aiutare la parola di Tonio a diventare famoso e fare i soldi quelli veri. Un bacio Elisabetta.

“Un peccato di gioventù è essere giovani e non commetterlo” (I. Calvino)

Capitolo Nove

Self-made?

“Non l’avevo mai sentita questa frase di Calvino.” Pensò Alfredo mentre finiva di leggere la mail di risposta della maestra. Non era quello il punto, però: il pesce aveva abboccato. Rispose un’ultima volta, dicendo che a breve sarebbe stata contattata da un giovane e talentuoso membro dell’Accademia (indovinate chi?), poi, sempre dall’account della Crusca, inviò la “notizia” ai maggiori giornali nazionali e locali, additandosi come fautore della scoperta.

Il buon Alfredo ci aveva visto giusto: ben presto la storia del piccolo Tonio coniatore di parole, con tutta la sua poesia, con tutta la sua speranza, diventò virale. Sembrava uscita direttamente da un B-movie della Disney: una maestra con un ciuffo di capelli viola a testimonianza della sua apertura mentale, un giovane tirocinante della Crusca, poeta già pubblicato («Così giovane? Bravo!»), un bimbo che con la sola forza della fantasia inventa parole bellissime.

All’interno dell’Accademia, nonostante il comportamento irrispettoso, nessuno se la prese troppo con Alfredo: è vero, aveva risposto a quella mail senza consultare nessuno, aveva usato impropriamente la casella di posta ufficiale, ma, in fondo, la storia che aveva montato stava facendo loro molta pubblicità, e questo non gli dispiaceva affatto. Anzi, provarono pure a cavalcare l’onda, promuovendo la commovente campagna per far diventare di uso comune la parola di Tonio.

Da parte sua, Alfredo sfruttò egregiamente la situazione, sfornando poesie su poesie contenenti il nuovo vocabolo di cui era ormai diventato il teorico ufficiale. Il suo nome cominciò a circolare ai “piani alti” della cultura, sempre pronti a intercettare qualsiasi moda imperversi per il Bel Paese, nella speranza di essere visti come “al passo coi tempi”. Alfredo ricevette pure una telefonata da Adelphi.

“È fatta!” pensò Alfredo, una volta preso appuntamento con la casa editrice. Si sentì arrivato. Ma, se leggete il titolo del prossimo capitolo, capirete da soli che qualcosa stava per andare storto.

Capitolo dieci

La vita sa essere crudele

Durò tre settimane.

Dopo questo lasso di tempo, nessuno si ricordava chi fosse Tonio. I giornali nazionali continuarono ancora un po’ a pubblicare qualche notizia sul caso, ma, giorno dopo giorno, gli articoli si facevano sempre più radi e meno curati. Infine, scomparvero pure quelli.

Ai “piani alti”, quando si accorsero che della parola del bambino non importava più a nessuno, smisero di far finta di interessarsene, e ricominciarono a far quello che facevano prima (ovvero, nulla n.d.a.). Adelphi, con una scusa, annullò l’appuntamento con Alfredo, e alla richiesta di una nuova data, rispose «La ricontatteremo noi.» (dettaglio inutile ma divertente: il cugino di Alfredo era riuscito finalmente a prendere la laurea triennale, e aveva trovato lavoro nella casa editrice Adelphi come segretario. Fu lui a chiamarlo per disdire l’appuntamento.)

Da parte sua, però, Alfredo non si era arreso: continuò a lottare per la causa scrivendo poesie, intervenendo a conferenze, pubblicando articoli. In breve tempo, però, riuscì ad allontanare non solo tutto il seguito che aveva ottenuto durante quelle tre settimane di fuoco, ma anche il ristretto pubblico che aveva prima: cominciarono a non invitarlo più alle conferenze, neanche a quelle prive di pubblico, gli articoli gli venivano rifiutati anche dalle testate online più scalcinate. Il punto di non ritorno, fu quando anche “Fischia il vento” rifiutò di pubblicare la sua ultima raccolta di poesie.

Tutto era finito, lui era finito.

A complicare ancora di più le cose, ci fu anche l’ostilità che maturò contro di lui all’interno dell’Accademia: perché la storia della parola di Tonio era passata, ma la follia di maestre e genitori no. Alla casella elettronica della Crusca, avevano cominciato ad arrivare, ogni giorno, centinaia e centinaia di mail di insegnanti, mamme, zie, nonni, baby-sitter che volevano sottoporre al giudizio degli accademici la creatività lessicale dei loro piccoli pargoli. Fin quando durò il tirocinio, fu costretto a rispondere a tutte le mail, controllando scrupolosamente tutte le parole poste in esame. Furono due mesi molto lunghi.

Conclusione

«Ma ci dev’essere pur qualcosa che possiamo fare!» sbottò Alfredo, vistosamente nervoso. L’avvocato Carloni fece un profondo sospiro e dette un’occhiata fuori dalla finestra, con l’aria di chi deve rispiegare a un bambino che i pesci rossi non sono immortali.

«Senta» disse poi «lei viene qui a dirmi che il fenomeno editoriale del momento le ha rubato l’idea per la stesura del libro, senza portarmi una prova, un appunto, uno scritto che sia uno. Onestamente, signore, chi vuole che le creda?»

«Non mi ha rubato l’idea!» Alfredo si scaldò «Mi ha rubato proprio il libro! Quello l’ho scritto io! Io! Glielo avevo dato perché mi dicesse cosa ne pensava! Mi ha fatto aspettare un sacco di tempo quel bastardo, e poi se n’è impadronito!»

«Ma avrà i file sul suo computer, di queste bozze che dice!»

«Ma no, era tutto scritto a mano.»

«Erano poche pagine?»

«Poco più di trecento.»

L’avvocato Carloni strabuzzò gli occhi, basito.

«Lei ha scritto più di trecento pagine a mano.»

«Sì»

« E non c’è qualcosa che ha scartato, che ha tenuto, che si è dimenticato a casa.»

«Ma no, a me non piace rileggere ciò che scrivo. Non correggo mai nulla, per me è sempre buona la prima. È anche la mia filosofia, sa…»

«No, no» disse l’avvocato, scuotendo la testa e agitando gli indici come fossero metronomi «non attacchi di nuovo con le filosofie di vita. Signor Alfredo, mi dispiace, ma qui non ci sono elementi per aprire una causa contro suo cugino. Guardi, questo non significa che non le creda, ma capisce bene che, con queste basi, non si va da nessuna parte. Lei non ha niente, neanche un testimone, che provi che sia lei il vero autore di Baciami Giovanni»

«Alfredo! Baciami Alfredo! È questo il titolo! È questo!»

Alfredo si alzò dalla sedia. A sentire il titolo del libro, era andato improvvisamente su tutte le furie. Scaraventò il cappotto per terra, lanciò un’occhiata assassina al povero Carloni.

Allertati dalle urla, i colleghi degli studi adiacenti irruppero nella stanza, e vedendo Alfredo intento a scavalcare la scrivania dell’avvocato con la volontà di arrembarlo, intervennero per immobilizzarlo.

«Carloni, chiami i carabinieri!» gridò uno di loro, mentre tutti assieme lo trascinavano fuori.

Alfredo, da parte sua, continuava ad urlare, senza posa: «Alfredo! Era Baciami Alfredo! Io ero un poeta! Lasciatemi! Il libro è mio! La fama è mia! Baciami Alfredo

Allontanato con la forza l’assalitore, nello studio tornò finalmente la pace. Carloni fece un grosso sospiro, appoggiando tutto il corpo allo schienale della sedia e puntando gli occhi verso il soffitto. «Pazzi» pensò «Maledetti pazzi».

Fine

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