Nathan Greppi (1994), giornalista pubblicista, è laureato in Beni culturali (Università degli Studi di Milano) e in Giornalismo, cultura editoriale e comunicazione multimediale (Università degli Studi di Parma). Ha scritto per le testate «Mosaico», «Cultweek», «Fumettologica» e «Il Giornale Off».

Negli ultimi decenni, la figura dell’insegnante si è ritrovata a dover affrontare numerosi problemi; stipendi precari, difficili rapporti con i genitori degli alunni, e più in generale una svalutazione di quello che dovrebbe essere considerato uno dei compiti più importanti nella società: formare gli adulti di domani.

Un’opera che ha saputo ben delineare tutte le difficoltà che comporta essere un insegnante, anche se con uno stile surreale e tragicomico, è il manga e anime Assassination Classroom: scritto e disegnato dall’autore Yusei Matsui, è stato pubblicato originariamente in 21 volumi dal 2012 al 2016, mentre l’edizione italiana è uscita dal 2014 al 2017. In occasione dei 10 anni dalla prima pubblicazione in Italia, il 2 maggio 2014, vale la pena di analizzarne la trama e le tematiche trattate.

La storia inizia dopo che una potente esplosione ha distrutto gran parte della Luna. In seguito, i governi e i servizi di intelligence di tutto il mondo scoprono che il responsabile è una misteriosa creatura tentacolare, dotata di capacità soprannaturali, la quale dichiara che entro un anno distruggerà la Terra nello stesso modo. Per ragioni inizialmente inspiegabili, la creatura chiede di poter insegnare nella classe 3-E di una scuola superiore giapponese, la Kunugikaoka. Il governo nipponico acconsente, ma affida agli studenti il compito di salvare la Terra trovando un sistema per uccidere il loro eccentrico insegnante, che decidono di chiamare Korosensei (letteralmente “Il maestro che non si può uccidere”).

Uno dei temi principali di tutta la serie è la struttura classista ed elitaria sulla quale sembra vertere il sistema educativo giapponese, spesso denunciato anche in altri manga e anime (si veda ad esempio Itazura na Kiss): infatti, la E della classe sta per “End”, perché è la sezione dove finiscono gli studenti con i voti più bassi, in un piccolo edificio in rovina lontano dalla sede principale. Il preside Asano li ha relegati lì bollandoli come reietti per spaventare gli altri studenti, che vengono spronati a dare il massimo dal terrore di finire relegati tra i “falliti” della sezione E. Questi ultimi sono sempre oggetto di scherno da parte delle altre sezioni, mentre Asano li sfrutta per imporre un modello educativo fondato sul darwinismo sociale.

Al contrario, Korosensei spinge i propri studenti a credere in sé stessi, e a non farsi scoraggiare dai loro fallimenti; una delle sue frasi più iconiche, infatti, è: “La differenza tra il novizio e il maestro è che il maestro ha fallito più volte di quanto abbia provato il novizio”. In una società in cui il fallimento sembra essere un marchio che ti rimane impresso per tutta la vita, lui li spinge ad imparare dai propri insuccessi per fare meglio la prossima volta, senza mai arrendersi.

Per stimolarli e spingerli a maturare, l’insegnante fa capire loro che non esiste un parametro di giudizio universale per valutare tutti allo stesso modo, perché ognuno ha potenzialità e predisposizioni che lo rendono unico rispetto agli altri. E solo capendo quali sono i propri punti deboli, possono capire come migliorare.

Esemplare in tal senso ciò che fa con uno dei suoi allievi, Sugino: questi, appassionato di baseball, all’inizio cerca sempre di tirare la palla imitando un giocatore famoso, ma siccome non riusciva mai ad ottenere i risultati sperati, si era convinto di non essere bravo. A quel punto, Korosensei gli fa capire che il modo di tirare del suo idolo non era adatto alla sua struttura muscolare, che lo rendeva più portato per altri modi di lanciare. Quando prova a giocare a baseball seguendo le sue vere inclinazioni, Sugino inizia in breve tempo a fare progressi e ad acquisire una maggiore autostima.

Un’altra lezione di Korosensei per i suoi studenti è che avere talento non basta, perché senza l’impegno e il duro lavoro il talento non si può esprimere appieno; è il caso di Karma, uno degli studenti più dotati della classe, il quale ad un certo punto smette di studiare seriamente perché fa affidamento sul fatto che è più portato dei suoi compagni. Il risultato è che ad un esame viene scalzato da chi si è impegnato di più[1].

La figura dell’insegnante incarnata da Korosensei presenta alcune similitudini con la figura storica di Marco Fabio Quintiliano, letterato romano vissuto nel I secolo d.c.; per Quintiliano, l’insegnante ideale era quello guidato da un certo ottimismo nella valutazione, attento alle capacità di apprendimento degli allievi e alle loro reazioni di fronte alla materia insegnata, alternando le lezioni a momenti di pausa e ricreazione.

Korosensei fa proprie le teorie di Quintiliano anche per quanto riguarda l’arte della retorica, fondamentale per persuadere gli altri. Quando la sua allieva Okuda prova ad avvelenarlo, fallisce per le sue difficoltà ad esprimersi; ella infatti era una studentessa brillante nelle materie scientifiche, ma molto meno in quelle umanistiche. Spiegandogli come ingannare l’altro, l’insegnante le fa capire che nella vita occorre conoscere bene il proprio interlocutore e sapersi esprimere in maniera efficace per raggiungere i propri obiettivi[2].

L’idea di aiutare ogni studente a trovare il proprio percorso secondo le sue inclinazioni, senza imporre un modello standardizzato uguale per tutti, trova anche diverse analogie con il metodo educativo creato a suo tempo da Maria Montessori, la quale ha capito con decenni di anticipo rispetto ad altri l’importanza per i bambini della manualità e di avere degli stimoli per esprimere il proprio potenziale.

Sebbene la storia si prenda chiaramente delle licenze creative, è vero che nel sistema scolastico giapponese gli esami di fine anno possono avere un impatto determinante nel decidere il futuro accademico e lavorativo degli studenti, che in questo modo si ritrovano a vivere sotto una pressione costante. Secondo diverse ricerche, questo clima porta spesso gli studenti ad avere problemi cronici di ansia e depressione[3].

A questi problemi, si aggiunge il fatto che spesso gli studenti sono vittime dell’ijime, termine che nella lingua giapponese indica il fenomeno del bullismo. Secondo uno studio del 2013, il 66,2% dei bambini giapponesi è stato vittima di bullismo almeno una volta nella vita, e il 46,9% ne è stato sia vittima che a sua volta perpetratore[4]. Un fenomeno intensificatosi negli ultimi anni soprattutto grazie ad internet, dove l’anonimato rende più facile insultare e minacciare qualcuno rimanendo impuniti: secondo i dati del sito tedesco Statista, gli episodi di cyberbullismo registrati in Giappone erano 8.788 nel 2013, saliti a 10.779 nel 2016, 18.870 nel 2020 e 23.920 nel 2022[5].

A causa di questa situazione, nel corso degli anni il Giappone si è distinto per avere uno dei tassi di suicidi più alti al mondo, soprattutto nella fascia giovanile dove è in costante crescita: secondo il Ministero della Salute giapponese, il numero di suicidi tra gli studenti in età compresa tra i 6 e i 18 anni era 289 nel 2016, salito a 499 nel 2020[6] e a 514 nel 2022, superando i 500 per la prima volta dal 1980, quando iniziarono ad essere pubblicati questi dati[7].

Un altro problema assai diffuso che viene denunciato nella storia è quello dei genitori che proiettano sui figli le loro aspirazioni, costringendoli a cercare di riuscire laddove loro hanno fallito: Nagisa, uno degli studenti che si riveleranno più dotati, ha sempre visto sua madre imporgli il percorso di studi che dovrebbe portarlo a fare l’università e il lavoro per i quali lei non riuscì ad essere ammessa, diventando isterica e violenta quando lui tentava di opporsi. Inoltre, siccome lei avrebbe voluto una figlia femmina anziché un maschio, per anni ha costretto Nagisa a farsi crescere i capelli e a vestirsi in maniera sessualmente ambigua.

In conclusione, Assassination Classroom è un’opera che tratta in maniera peculiare il tema dell’educazione, che insegna a non smettere mai di credere in sé stessi e nelle proprie capacità. Korosensei diventa per i suoi alunni un maestro di vita e, paradossalmente, colui che devono uccidere è anche l’unica persona che abbia mai creduto in loro. Dopo un inizio surreale e tragicomico, la trama prende una piega sempre più triste e drammatica, che alla fine lascia un sapore amaro in bocca al lettore.

NOTE

[1] Michael Iacono, 10 Life Lessons We Learned From Assassination Classroom, in “CBR”, 16 febbraio 2020.

[2] Sonia, #PILLOLEFILOSOFICHE: Korosensei e la Assassination Classroom tra retorica e dialettica, in “Life is Nerd”, 20 agosto 2018.

[3] Chris Nishijima, How Assassination Classroom Offers a Glimpse at Japan’s Educational System, in “CBR”, 5 febbraio 2022.

[4] Kirsty Kawano, Bullying in Japanese Schools, in “Savvy Tokyo”, 7 maggio 2021.

[5] Number of cyberbullying incidents among students reported by schools in Japan from fiscal year 2013 to 2022, in “Statista”, 8 novembre 2023.

[6] Japan’s child suicide crisis, “NHK World-Japan”, 14 giugno 2021.

[7] Tomoe Ishikawa, Suicides top 500 among young students for 1st time ever, in “The Asahi Shimbun”, 14 marzo 2023.

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