Nathan Greppi (1994), giornalista pubblicista, è laureato in Beni culturali (Università degli Studi di Milano) e in Giornalismo, cultura editoriale e comunicazione multimediale (Università degli Studi di Parma). Ha scritto per le testate «Mosaico», «Cultweek», «Fumettologica» e «Il Giornale Off».

Dopo che Israele ha reagito alle violenze perpetrate dai terroristi di Hamas il 7 ottobre, in tutto il mondo sono ricomparsi paragoni ignobili tra l’operato dello Stato ebraico e quello della Germania nazista, con i soldati dell’IDF accusati di voler compiere un genocidio come quello che subirono i loro antenati.

Certi slogan e luoghi comuni non sono nuovi, ma permangono da decenni in Occidente, veicolati in particolare dai media di sinistra e dal mondo accademico. Allo stesso modo, da decenni vi è anche chi cerca di controbilanciare queste accuse, con analisi e argomentazioni che ne dimostrano la falsità.

In Italia, chi ha provato in tempi difficili a difendere Israele in un ambiente prevalentemente filopalestinese è stata la giornalista e scrittrice Rosellina Balbi, dal 1976 al 1990 responsabile delle pagine culturali de “la Repubblica”. In un articolo pubblicato sul quotidiano fondato da Eugenio Scalfari il 6 luglio 1982, intitolato Davide, discolpati! [1], la Balbi rispondeva a chi durante la guerra del Libano accusava Israele di comportarsi come i nazisti.

La Balbi citava le parole del filosofo francese Alain Finkielkraut, il quale affermava che nei confronti dello Stato ebraico vi era una «indignazione selettiva»: osservava che da come i giornali riportavano le notizie sembrava che «soltanto Israele versi il sangue nel Medio Oriente, che la guerra Irak-Iran sia stato un conflitto tutto da ridere, che fino alle ultime settimane il Libano fosse una Terra Promessa», nonostante la guerra civile e gli scontri tra sunniti e cristiani avessero fatto molti più morti dell’esercito israeliano.

La Balbi sosteneva che in Libano «sono morte molte migliaia di persone innocenti – oltre ai combattenti palestinesi. È giusto provare per tutto ciò pietà, orrore, sdegno. Ma questo non autorizza, mi pare, l’uso del termine “genocidio”». A provarlo, secondo lei, il fatto che Israele invitava i cittadini libanesi ad evacuare le loro città prima di bombardarle. Perché l’avrebbe fatto, se avesse davvero voluto provocare un genocidio?

Queste situazioni trovano molti parallelismi anche nell’attuale conflitto tra Israele e Hamas: nei primi giorni dallo scoppio della guerra, l’esercito israeliano aveva diramato un avviso ai residenti nel nord della Striscia di Gaza per dare loro il tempo di fuggire prima dei bombardamenti. Ma Hamas respinse l’avvertimento, bollandolo come “propaganda”, e invitò la popolazione civile a rimanere nelle proprie case[2].

Altri parallelismi con il presente si possono fare quando, ad esempio, rimprovera ai suoi compagni di sinistra di non ricordare «che da anni sulla terra d’Israele piovevano missili provenienti dal Libano», oppure quando si chiede «perché non si è messo più vigorosamente l’accento sulle responsabilità dei paesi arabi i quali – dopo aver invitato, nel 1948, gli abitanti arabi della Palestina a lasciare le proprie case – si sono poi rifiutati di assorbirli, li hanno rinchiusi nei campi sul confine israeliano e li hanno incitati alla guerra?». Una situazione, quest’ultima, che da decenni viene strumentalizzata anche attraverso l’UNRWA, l’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, che non ha mai provato davvero ad integrarli nei paesi dove vivono.

Rifacendosi ad un articolo di Rossana Rossanda apparso negli stessi giorni su “il manifesto”, la Balbi spiegava qual era secondo lei il nocciolo della questione, ossia «la pretesa, da parte dell’opinione pubblica europea, che Israele, e soltanto Israele, sia uno Stato “giusto”. Se non si comporta come tale, ecco l’indignazione (selettiva). […] Ma è una pretesa insensata. Stati “giusti” non esistono, e ancor meno Stati “innocenti”. E cosi torniamo al punto di prima: perché solo Israele non viene giudicato con i criteri che si usano applicare agli altri Stati? Perché questo pregiudizio viscerale?».

La Balbi rispondeva anche alla domanda, posta dalla Rossanda, sul perché gli ebrei della diaspora si sentissero tanto coinvolti da ciò che avveniva in Israele: «Perché hanno paura. Perché, a “coinvolgerli”, sono gli altri. Perché ogni deplorazione, ogni condanna della politica israeliana ha puntualmente provocato, in Europa, sussulti di antisemitismo. […] È accaduto anche in Italia, dove – lo ha denunciato il rabbino Toaff – durante la recente manifestazione romana per lo sciopero generale “i dimostranti, sfilando o fermandosi davanti alla sinagoga, hanno gridato slogan diretti non solo verso il governo e lo Stato d’Israele, ma contro tutti gli ebrei in generale”, portando addirittura una bara “proprio sotto alle due lapidi murate sulla facciata del tempio a ricordo degli ebrei trucidati alle Fosse Ardeatine ed a quelli caduti nella Resistenza”».

Il clima d’odio, alimentato all’epoca da ampi strati della sinistra italiana, divampò ulteriormente dopo il massacro di Sabra e Chatila del settembre 1982, quando i falangisti cristiani libanesi alleati degli israeliani uccisero migliaia di palestinesi come ritorsione per l’uccisione del loro leader Bashir Gemayel. E assunse un significato ancora più tragico dopo il 9 ottobre 1982, quando cinque terroristi palestinesi vicini al gruppo di Abu Nidal attaccarono con mitragliatrici e bombe a mano gli ebrei che uscivano dalla Sinagoga Maggiore di Roma, uccidendo il bimbo di due anni Stefano Gaj Taché e ferendo altre 37 persone.

Rileggere oggi Davide, discolpati! può fornire un’ottima bussola per orientarsi nel mare magnum delle notizie che arrivano tutti i giorni dal Medio Oriente, a volte oggettive ma molto più spesso di parte. In un periodo in cui parole come “genocidio” e “apartheid” vengono strumentalizzate da chi vuole portare avanti una certa agenda politica, acquisisce un grande valore l’appello della Balbi a riconoscere le parole «malate», come le definisce lei rifacendosi a Sartre: «Perché non provare a “guarirle”, queste parole? […] E “guarire” le parole è un modo serio per cercar di “guarire” le cose. Di guarire questa ferita profonda, dalla quale è già sgorgato tanto sangue. Di far sì, soprattutto, che questo sangue non sia sgorgato inutilmente».

NOTE

[1] R. Balbi, Davide, discolpati!, in “la Repubblica”, 6 luglio 1982. Si veda anche E. Baroz, “Davide, discolpati!” di Rosellina Balbi: un articolo che a suo modo ha fatto storia, in “Focus on Israel”, 1 gennaio 2013.

[2] Forze di Difesa Israeliane (IDF) esortano i civili a lasciare Gaza City. Hamas: «È propaganda. State a casa», in “Bet Magazine Mosaico”, 13 ottobre 2023.

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