Nathan Greppi (1994), giornalista pubblicista, è laureato in Beni culturali (Università degli Studi di Milano) e in Giornalismo, cultura editoriale e comunicazione multimediale (Università degli Studi di Parma). Ha scritto per le testate «Mosaico», «Cultweek», «Fumettologica» e «Il Giornale Off».

Dal 2014 al 2015 Gill Rosenberg, cittadina israeliana nata in Canada, divenne famosa sui media internazionali per essere stata la prima donna straniera a partire come volontaria per arruolarsi nell’YPJ, milizia femminile curda del Rojava che in quel periodo era impegnata nel combattere l’ISIS[1].

Questo non fu un caso isolato, ma rappresenta una realtà più ampia: infatti, da decenni esiste un dialogo nascosto tra Israele e diverse fazioni degli indipendentisti curdi, soprattutto in Iraq. Al punto che il 25 settembre 2017, quando si tenne il Referendum sull’indipendenza del Kurdistan iracheno (in cui oltre il 92% dei curdi votò a favore), Israele fu l’unico paese al mondo ad appoggiarlo pubblicamente.

Già quando lo Stato d’Israele venne fondato, il suo primo premier David Ben Gurion formulò la cosiddetta “dottrina delle alleanze periferiche”, che consisteva essenzialmente nel cercare alleati nella regione tra i paesi non arabi come la Turchia e l’Iran (quest’ultimo era alleato d’Israele ai tempi dello Scià, ma ne divenne un nemico giurato dopo la rivoluzione di Khomeini nel 1979) e tra le minoranze etniche e religiose, come i curdi o i cristiani maroniti in Libano[2].

In passato, l’Iraq ospitava una numerosa comunità ebraica (135.000 persone nel 1948)[3]. Ma già nel giugno 1941 si verificò un pogrom antisemita conosciuto come Farhud, nel quale i nazionalisti arabi saccheggiarono le proprietà ebraiche e uccisero brutalmente centinaia di ebrei. Molti di questi lasciarono il paese nel 1951, mentre i pochi rimasti subirono diverse persecuzioni. Basti pensare che il 27 gennaio 1969, furono giustiziati a Baghdad 14 iracheni, dei quali 9 erano ebrei, accusati di essere spie d’Israele. In quell’occasione, Radio Baghdad invitò la popolazione a venire in piazza per “godersi il banchetto”. Giunsero circa 500.000 persone, che festeggiarono e ballarono intorno ai cadaveri[4].

In tale situazione, la regione curda divenne l’unica via di fuga per migliaia di ebrei, che furono aiutati dai curdi a fuggire dall’Iraq. Quelli fuggiti alla fine degli anni ’60 raccontarono come Masoud Barzani, che in seguito divenne presidente del Governo Regionale del Kurdistan dal 2005 al 2017, li aiutò personalmente a fuggire clandestinamente attraversando le montagne.

Ofra Bengio, direttrice del programma di Studi Curdi presso il Moshe Dayan Center for Middle Eastern and African Studies dell’Università di Tel Aviv, ha scritto che gli ebrei curdi “divennero eccellenti ambasciatori dei curdi iracheni, pubblicizzando e perorando la loro causa presso l’opinione pubblica israeliana. Ad esempio, in seguito alla repressione della rivolta curda del 1991 da parte di Saddam Hussein, la comunità curda in Israele, allora stimata in 100.000 persone, organizzò una massiccia operazione di soccorso per i curdi iracheni. Organizzarono anche manifestazioni davanti all’allora Primo Ministro Yitzhak Shamir, e chiesero agli Stati Uniti di proteggere i curdi da Saddam”[5].

I legami tra Israele e i curdi dell’Iraq si rafforzarono con lo scoppio della ribellione guidata dal Mullah Mustafa Barzani (padre di Masoud) contro lo Stato iracheno, che si protrasse dal 1961 al 1970. In tale occasione, Barzani chiese aiuto agli israeliani; una delegazione curda si recò in Israele, e incontrò l’allora Primo Ministro Levi Eshkol. In seguito alla visita, Israele inviò degli agenti nel Kurdistan iracheno. Lo stesso Mustafa Barzani visitò Israele almeno due volte, nel 1968 e nel 1973, incontrando il premier Eshkol e dirigenti dell’intelligence israeliana, così come fecero nei decenni successivi anche suo figlio Masoud e altri rappresentanti della minoranza curda in Iraq[6].

Il brigadiere generale Tzuri Sagi è stato uno dei primi militari israeliani ad arrivare in Kurdistan nel 1965, per addestrare i combattenti Peshmerga in Iraq e in Iran. Sagi rimase per circa due anni, avendo incontri regolari con Mustafa Barzani, e in almeno un’occasione fece arrivare i miliziani curdi in Israele per addestrarli lì[7].

Dopo la caduta del regime di Saddam Hussein nel 2003, le relazioni curdo-israeliane sono mutate profondamente, anche perché i curdi iracheni sono riusciti a creare un’enclave semi-autonoma in Iraq. Nel 2005 Masoud Barzani ha apertamente chiesto di stabilire relazioni diplomatiche con Israele. Mentre nel 2008, l’allora Presidente iracheno Jalal Talabani, di origini curde e capo dell’Unione Patriottica del Kurdistan (PUK), abbracciò apertamente l’allora Ministro della Difesa israeliano Ehud Barak durante una conferenza in Grecia. Una mossa che sconvolse la classe dirigente araba irachena, alla quale Talabani disse che lo aveva fatto in qualità di curdo e di capo del PUK, non come Presidente dell’Iraq.

Israele mantiene anche forti legami economici con il Kurdistan, acquistando petrolio curdo nonostante le obiezioni del governo centrale di Baghdad. Secondo il Financial Times, nel 2015 tre quarti di tutto il petrolio che Israele importava dall’estero arrivavano dal Kurdistan iracheno, per un valore complessivo di oltre un miliardo di dollari[8]. E in un sondaggio condotto nel 2009 nel Kurdistan iracheno, il 71% dei curdi era favorevole alla normalizzazione dei rapporti con Israele.

In anni recenti, già nel 2014 il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu si espresse a favore di uno Stato curdo indipendente, elogiando «l’impegno e la moderazione politica» dei leader di un popolo che «è degno della sua indipendenza politica». In seguito, anche l’ex-Ministro della Giustizia Ayelet Shaked disse che l’autodeterminazione nazionale dei curdi era nell’interesse d’Israele, poiché «i curdi sono la più grande nazione del mondo senza un loro territorio indipendente, con una popolazione di 35 milioni di individui. È un popolo antico che condivide un legame storico particolare con il popolo ebraico»[9].

Tra il 2014 e il 2015, la ONG israeliana IsrAid inviò volontari e aiuti umanitari nel Kurdistan iracheno, aiutando i rifugiati curdi, yazidi e di altre minoranze etnico-religiose in fuga dall’ISIS. Solo nell’ottobre 2014, portarono rifornimenti e medicinali a più di 1.000 famiglie nella città di Duhok[10].

Un mese dopo il referendum sull’indipendenza, il 20 ottobre 2017, decine di migliaia di soldati iracheni e membri delle Forze di Mobilitazione Popolare, una milizia sciita irachena sostenuta dall’Iran, lanciarono un’offensiva contro la regione del Kurdistan e furono sul punto di avanzare verso la capitale Erbil. Tuttavia, combattenti curdi provenienti dalla Siria e dall’Iran si unirono ai Peshmerga del Kurdistan iracheno, e insieme riuscirono a respingere l’avanzata nemica.

In quell’occasione, la Direzione Generale dell’Antiterrorismo nella Regione del Kurdistan scrisse un comunicato: «L’epopea di Pirde (base Peshmerga) è un simbolo della fermezza del popolo del Kurdistan e del fallimento di un piano ostile. […] Il 20 ottobre 2017, è stato il giorno in cui il popolo curdo e la regione del Kurdistan hanno riacquistato la loro dignità, diventando un cimitero per i nemici»[11].

Il regime iraniano, attraverso i suoi proxy sciiti in Iraq, ha in più occasioni preso di mira i curdi della regione, accusati di collaborare con Israele. Il 21 maggio 2023, il Ministro delle informazioni e della sicurezza nazionale iraniano Esmaeil Khatib dichiarò che le forze di sicurezza iraniane avevano arrestato diverse spie curdo-irachene accusate di collaborare con Israele, e che “hanno cercato di attraversare i confini occidentali dell’Iran”. E nel gennaio 2024, quattro curdi sono stati impiccati in Iran con l’accusa di essere spie al servizio d’Israele[12].

Non è chiaro come muteranno i rapporti nella regione, soprattutto dopo la guerra in corso tra Israele e Hamas. Da quando è scoppiata la guerra, almeno nei primi tempi la classe dirigente del Kurdistan iracheno non si è sbilanciata pubblicamente, preferendo evitare di rimanere coinvolta nel conflitto[13]. Tuttavia sono in molti a pensare che, se mai i curdi dovessero riuscire a creare un proprio Stato indipendente, probabilmente aderiranno agli Accordi di Abramo. Lo dimostra il fatto che nel febbraio 2024 una delegazione di rappresentanti delle comunità curde in Germania, Austria e Danimarca si è recata in Israele, esprimendo la loro solidarietà alle vittime del 7 ottobre e visitando anche i luoghi dei massacri[14].

NOTE

[1] Ben Hartman, The curious case of Gill Rosenberg, “The Jerusalem Post”, 14 agosto 2015.

[2] Leonardo Giovannelli, La mossa del cavallo. Israele e la strategia delle alleanze periferiche, tesi di laurea magistrale in Studi Internazionali, Università di Pisa, A.A. 2012-2013.

[3] Fact Sheet: Jewish Refugees from Arab Countries, “Jewish Virtual Library”.

[4] David B. Green, 1969: Nine Jewish ‘Spies’ Are Hanged in Baghdad, “Haaretz”, 27 gennaio 2014.

[5] Ofra Bengio, Surprising Ties between Israel and the Kurds, “Middle East Quarterly”, estate 2014.

[6] Suzan Quitaz, The Historic Ties between Israel and the Kurds of Iraq Will Continue, “Jerusalem Center for Public Affairs”, 4 giugno 2023.

[7] Amnon Lord, The Israelis are the only ones the Kurds trust, “Mida”, 14 agosto 2014.

[8] David Sheppard, John Reed, Anjli Raval, Israel turns to Kurds for three-quarters of its oil supplies, “Financial Times”, 23 agosto 2015.

[9] Claudio Vercelli, La lunga storia dei rapporti preferenziali tra israeliani e curdi, “JoiMag”, 13 ottobre 2019.

[10] Ari Soffer, Iraq: Israeli NGO Delivers Emergency Aid to Kurds, “Arutz Sheva”, 19 ottobre 2014.

[11] Suzan Quitaz, Hussein Yazdanpana – The Kurdish Leader Calling For The Toppling Of The Islamic Republic Of Iran, “MEMRI”, 16 marzo 2023.

[12] Iran executes 4 Kurdish political prisoners convicted of spying for Israel, “i24news”, 29 gennaio 2024.

[13] Winthrop Rodgers, Iraqi Kurdistan’s balancing act in Israel’s war on Gaza, “The New Arab”, 10 novembre 2023.

[14] Seth J. Frantzman, Kurdish solidarity delegation from Germany visits Israel, “The Jerusalem Post”, 22 febbraio 2024.

Loading