Nicolò Bindi (1991) si è laureato in Filologia Moderna all’Università degli studi di Pisa, discutendo una tesi su “Teoria e pratica del futurismo. Palazzeschi, Marinetti, Soffici”. Interessato principalmente agli aspetti stilistici, metrici e linguistici, sta concentrando le sue ricerche letterarie soprattutto sugli autori delle avanguardie storiche e del modernismo italiano ed europeo. Collabora con diverse associazioni culturali. È docente presso l'Istituto "Francesco Datini" di Prato.
L’amore come desiderio:
– Sospira e piange, e bagna le lenzuola
la bella figlia, quando rifà il letto, –
tale alcuno comincia un suo rispetto:
trema nell’aurea notte ogni parola;
e sfiora i bossi, quasi arguta spola,
l’aura con un bruire esile e schietto:
– e si rimira il suo candido petto,
e le rincresce avere a dormir sola. –
Solo, là dalla siepe, è il casolare;
nel casolare sta la bianca figlia;
la bianca figlia il puro ciel rimira.
Lo vuole, a stella a stella, essa contare;
ma il ciel cammina, e la brezza bisbiglia,
e quegli canta, e il cuor piange e sospira.
Lo stornello è il secondo dei quattro sonetti che compongono la serie Primavera, presente in Myricae. Le poesie di questa piccola sezione affrontano, come suggerisce il loro titolo generale, il tema del risveglio. Il testo qui presentato si distingue dagli altri, però, per la tensione drammatica e il pathos presenti nei suoi versi. La scena e la storia dietro sottintesa hanno quasi un sapore pucciniano: in un casolare in mezzo alla campagna, la figlia del padrone di casa sta preparando il letto per la notte, piangendo amare lacrime per una qualche sua amarezza interiore – intuitivamente riferibile a un dramma sentimentale. Proprio in questo istante, da qualche parte, fuori dall’abitazione, una voce – probabilmente conosciuta – comincia a cantare un “rispetto”, ovvero uno stornello amoroso, rivolto al casolare. La sua voce vibra nell’aria, tanto da arrivare alle orecchie anche della giovane fanciulla affranta. Si può ipotizzare che, nell’udire il canto straziante, la fanciulla si sia affacciata alla finestra, e lì si sia persa a contemplare il cielo. Presa dai suoi pensieri, si incanta ad osservarlo, con occhi talmente attenti che quasi sembra che si sia messa a contar le stelle. Cosa turba i sonni e l’esistenza della giovane figlia? Un solo verso, per comprenderlo: «e le rincresce avere a dormir sola». Ciò che muove le lacrime della giovane è l’assenza; che sia l’assenza specifica di colui che canta, o che sia un’assenza generica e vaga, poco importa: lei avverte il vuoto nel suo letto, e da qui scaturisce il desiderio, forse anche impudico, di colmarlo.
Non è facile, nella produzione di Pascoli, trovare riferimenti erotici così marcati. Certo, tutto quanto appare trasfigurato all’interno di un’atmosfera fiabesca: la «bianca figlia» nel «casolare» ben ricorda la principessa in cima a una torre, in attesa di un cavaliere che la venga a liberare. La differenza, però, è che lei non spera di esser portata via, dalla sua “prigione”. Al contrario: lei vuole che il cavaliere resti – o ritorni, questo non ci è dato di saperlo – e che prenda posto assieme a lei in uno dei luoghi più intimi della sua abitazione, ovvero il letto. Non siamo, dunque, davanti a scenari di amore ideale e romantico, di vaghi sospiri donati all’aria, mentre si è persi a pensare a qualcosa di astratto. No: il desiderio è il concreto, carnale, sensuale calore corporeo, da condividere anche solo nella vicinanza del giaciglio. La voglia di calore umano, già presente, forse, nei pianti iniziali, trova rinforzo nel richiamo di quello stornello lontano, sperduto nel buio della notte, cantato da un altro essere umano distrutto dallo stesso desiderio, dallo stesso male della fanciulla.
La primavera, crudelmente, ha risvegliato le voglie sopite, non peritandosi, però, di fornire a tutti il modo di poterle soddisfare. Il dolore provocato da ciò è intenso, e il sapere che qualcuno, là fuori, vorrebbe dare soddisfazione a quel desiderio, ma per qualche motivo ne è impossibilitato, accresce oltre misura il tormento. La ragazza vorrebbe distrarsi, perdendosi nell’immensità del cielo, quasi a voler cominciare un improbabile conteggio degli astri. Ma il cielo, per l’appunto, non se ne sta fermo, e le stelle non si fanno conteggiare: l’opera di distrazione non va a buon fine. Il canto d’amore continua, lontano, e non resta che sprofondare di nuovo tra le lacrime e i sospiri della solitudine di un desiderio mancato.