Pierpaolo Naso è attualmente dottorando in Scienze Giuridiche e Politiche (XXXVII ciclo) presso l'Università "Guglielmo Marconi" di Roma, dopo aver conseguito presso l'Università di Roma "La Sapienza" la laurea triennale in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, la laurea magistrale in Scienze della Politica ed il Master di secondo livello in Geopolitica e Sicurezza Globale. Dal 2023 è iscritto alla Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea (SISSCO). Ha pubblicato due contributi presso la "Rivista della Cooperazione Giuridica Internazionale" e la "Rivista di Studi Politici", oltre che numerose recensioni presso diverse riviste scientifiche di storia, diritto, geografia, filosofia e scienza politica.

Recensione a: Damiano Palano, Politica. Un’introduzione, Scholé Morcelliana, Brescia 2024, pp. 496, € 37,00.

Di recente, è stato pubblicato il saggio di Damiano Palano dal titolo Politica. Un’introduzione, all’interno della collana scientifica “Scienza politica e Teoria politica” promossa da Morcelliana Scholé. Del medesimo autore – docente ordinario di Filosofia politica a Milano presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore – e della casa editrice bresciana va consigliata la lettura del precedente testo Animale politico. Introduzione allo studio dei fenomeni politici (2023).

Oltre che presentarsi come iniziativa manualistica universitaria, Politica fornisce un’utile panoramica riflessiva sul passato e sul presente, suddivisa in cinque capitoli tematici su: comunità, potere, organizzazione, nemico, tempo. Questi termini concettuali, difatti, vengono largamente spiegati da Palano, servendosi del contributo fornito nei secoli da una miriade di autori e di una bibliografia sterminata. Si tiene conto della saggistica politologica italiana degli ultimi decenni, ovvero di Giovanni Sartori, Mario Stoppino, Gianfranco Poggi, Norberto Bobbio, Lorenzo Ornaghi, Angelo Panebianco, Gianfranco Pasquino, Domenico Fisichella, Alessandro Pizzorno, Stefano Bartolini e Pier Paolo Portinaro. Per entrare nel nucleo dei cosiddetti arcana imperii, viene attribuita una certa centralità all’opera di Gianfranco Miglio, e a riguardo Palano riprende diverse questioni trattate in un altro suo saggio: Il segreto del potere. Alla ricerca di un’ontologia del «politico» (Rubbettino, 2018). Miglio ha difatti proposto una «teoria pura», secondo cui il politico possiederebbe delle regolarità permanenti nella storia, presentando dinamiche di potere coerenti. Di seguito, si citano solo alcuni argomenti e studiosi da quello che è un volume corposo e utile che Palano fornisce come una solida guida per comprendere le scienze politiche.

Politica pone molti quesiti e Palano riesce a passare in rassegna pensiero, dottrine e scuole riscontrando similitudini, critiche e analogie da un’epoca all’altra. La politica è innanzitutto comunità. A partire da Aristotele, com’è noto, l’attribuzione dell’uomo in quanto zôon politikòn ha rivestito un duplice significato di «animale politico» e di «animale sociale»: la necessità vitale di porsi in relazione tra simili ha portato la natura umana a farsi comunità nella oikos familiare contestualmente alla polis originaria. Palano definisce la comunità come «l’esistenza di uno spazio percepito come comune» e per questo motivo va reputata «un presupposto indispensabile della politica» (p. 27). Immancabilmente, si giunge all’opera Gemeinschaft und Gesellschaft (1887) di Ferdinand Tönnies che ha tracciato significativamente il metodo scientifico: distinguendo i legami tradizionali della comunità dalle aderenze utilitaristiche della società, il sociologo tedesco vedeva nella seconda il susseguirsi cronologico – se si vuole, anche degenerativo – della prima. Per Max Weber invece, comunità e società andavano ritenute coesistenti su dimensioni parallele e, in accordo con Tönnies, antitetiche. Nell’indagine di Weber, la politica moderna, oltre il Verband, ha visto affermarsi la personalizzazione carismatica della politica, spesso sovrastando leggi, visioni culturali e partiti.

Nel corso dei secoli, il potere si è manifestato in due modi: per orizzontalità, quando caratterizzato da partecipazione e condivisione delle decisioni pubbliche; per verticalità, quando caratterizzato da un comando conquistato e mantenuto da una parte dei soggetti a discapito di un’altra. Sui mali atavici del potere frammentato e divisivo in Italia, sappiamo quanto sia stato pregnante il lascito di Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini. Con la creazione dello Stato nazione, l’Europa ha plasmato profondamente l’ordine mondiale moderno fino alla prima metà del Novecento. L’egemonia statunitense ha spiazzato vecchi schemi giuridici, determinando un superamento del potere statale, mentre la scienza politica ha dovuto rendere conto di nuove correnti come l’empirismo ed il comportamentismo (behaviourism). Nel merito, Palano rammenta David Easton che pensò il «sistema politico» (p. 140) come foriero di un nuovo lessico appropriato ai tempi. Nel medesimo contesto, si svilupparono la sociologia della “scuola di Chicago” e lo struttural-funzionalismo, aprendo la visuale fenomenologica del potere, ricercando gli elementi di stabilità e instabilità, così come, nello specifico per Harold Lasswell, l’importanza dei simboli.

La nozione di organizzazione rimanda al nesso dialettico di comando e ubbidienza – ossia di governanti e governati – quindi alla esigenza di fondare un ordine legittimo ed efficiente. La scuola elitista va ad aggiungersi al discorso proprio per la comune visione storica esposta dai suoi autori –  Vilfredo Pareto, Gaetano Mosca e Roberto Michels – secondo cui le civiltà e le aggregazioni umane in genere sono state caratterizzate dal dominio di minoranze organizzate su maggioranze passive. Risulterebbe inconsistente la mono-causalità marxista che intravedeva nella lotta di classe la misura materialistica della filosofia della storia contrapposta al capitalismo: per l’elitismo, la storia è stata contraddistinta da una continua lotta tra le aristocrazie (o oligarchie) dei gruppi umani su basi non solo economiche, ma anche sociali, religiose e spirituali, elevatesi a politiche.

Il capitolo dedicato al significato di nemico non può che fare riferimento alla definizione che Carl Schmitt diede nel Der Begriff des Politischen (1927 e 1932): qui come in altre opere il giurista dimostrava una particolare profondità filologica come premessa di ogni concettualizzazione. Palano sottolinea bene l’origine del significato greco antico: xenos veniva chiamato il cittadino di un’altra polis, e dunque destinatario di un trattamento onorevole in tempo di guerra e di pace; bàrbaros era lo straniero non appartenente alla civiltà ellenica, oggetto di discriminazione assoluta (p. 314). Per l’epoca moderna e contemporanea, infatti è stata di fondamentale importanza la distinzione schmittiana sostanziale di hostis come soggetto pubblico e inimicus come soggetto privato. La dicotomia FreundFeind (amico-nemico) per Schmitt era la base dell’unità politica in quanto riconoscimento pubblico e comunitario, avversando la mentalità liberale che utilizzava termini come socio e avversario appartenenti al vocabolario della competizione economica. Nel pieno della crisi dello Stato, si ribadiva così la necessità del primato della politica anche nelle relazioni internazionali, dove la strumentalizzazione dei diritti umani, secondo Schmitt, favoriva l’imperialismo anglo-statunitense contro il decaduto jus publicum Europaeum che, fino alla Prima guerra mondiale, poneva su un piano equo le potenze in conflitto. Definire il nemico reale ha significato anche stabilire i confini terrestri: secondo Schmitt, la concretezza del nomos-politico si opponeva all’indeterminatezza del pensiero commerciale talassocratico. Da Palano viene analizzata anche la tendenza umana al «tribalismo», nonostante vi sia stato uno sviluppo statuale delle civiltà. I richiami all’antropologia, all’etologia e alla psicologia sociale contribuiscono a completare il quadro che richiede di spiegare la genealogia della costruzione politica oltre che considerarne le variabili territoriali e valoriali. Di certo, più dell’empirismo, la teoria evoluzionista ha egemonizzato le definizioni sul concetto di gruppo umano nella storia, ma essa risulta ancora riduttiva, quando riaffiorano ciclicamente fatti comprensibili meglio, d’altro canto, da escatologie teologiche o filosofie del destino e dello spirito.

Il fattore tempo viene ricondotto all’opera di Thomas Hobbes, soprattutto al modello di Stato-Leviatano, che offriva una soluzione di salvezza agli uomini impauriti dallo stato di natura, ovvero del bellum omnium contra omnes. Già traduttore inglese di Tucidide, Hobbes è annoverato come fautore del realismo politico, in età moderna secolarizzata, parimenti al nostro Machiavelli. Il terrore delle guerre civili di religione tra cattolici e protestanti, non permetteva agli europei di guardare al futuro con fiducia. Nel nuovo ordine suggerito dalla concezione hobbesiana, la libertà individuale andava subordinata, parimenti a tutte le altre, ad un’entità superiore e assoluta che potesse tutelare l’esistenza collettiva. Lo Stato diveniva così la creazione artificiale più potente, superando la preesistente sacralità medievale, e senza termini temporali. Dalla linea weberiana e schmittiana di Miglio, Palano estrapola la differenziazione concettuale tra la «obbligazione politica» per le questioni pubbliche e il «contratto-scambio» per gli affari privati. Dunque, la fedeltà a un’idea temporalmente rivolta al futuro va distinta dai meri patti utilitari e contingenti.

Non vi sono dubbi sul fatto che lo sviluppo progressivo e parallelo della tecnologia è stato un elemento fondativo dei popoli organizzati: a riguardo, l’Autore rievoca il significativo contributo cinematografico di Stanley Kubrick con 2001: Odissea nello spazio (1968) ispirato all’omonimo romanzo di Arthur C. Clarke. Pertanto, un lettore più acuto potrebbe trarre ulteriori riflessioni anche dalla pellicola Metropolis (1927): nel periodo massimo dell’accelerazione sociale e industriale, difatti emergevano interrogativi preoccupanti legati alla degenerazione della civilizzazione delle macchine, alla disumanizzazione faustiana della tecnica, alla spoliticizzazione dovuta all’economismo individualista. La settima arte andrebbe posta in posizione ausiliaria e di rappresentazione fittizia della letteratura: ciononostante, dopo un secolo, la distopia proposta da Fritz Lang mostra una certa attualità, in merito alle derive dell’odierna rivoluzione digitale che sta sconvolgendo specialmente la tenuta valoriale delle democrazie.

In conclusione, si potrebbe ritenere questo saggio una panoramica essenziale sulle cosiddette «scienze» della politica, poiché quest’ultima abbisogna di una serie di strumenti d’analisi multidisciplinari, non soltanto su meri dati quantitativi, bensì sugli aspetti qualitativi. Esulando dai pregiudizi ideologici, Palano propone un’analisi poliedrica comunque legata al realismo politico, allo scopo di fornire una maggior chiarezza allo studio sulla complessità delle dinamiche umane.

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