Pierpaolo Naso è attualmente dottorando in Scienze Giuridiche e Politiche (XXXVII ciclo) presso l'Università "Guglielmo Marconi" di Roma, dopo aver conseguito presso l'Università di Roma "La Sapienza" la laurea triennale in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, la laurea magistrale in Scienze della Politica ed il Master di secondo livello in Geopolitica e Sicurezza Globale. Dal 2023 è iscritto alla Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea (SISSCO). Ha pubblicato due contributi presso la "Rivista della Cooperazione Giuridica Internazionale" e la "Rivista di Studi Politici", oltre che numerose recensioni presso diverse riviste scientifiche di storia, diritto, geografia, filosofia e scienza politica.

Recensione a: E. Jünger – C. Schmitt, Il nodo di Gordio, a cura di G. Gurisatti, Adelphi, Milano 2023, pp. 238, € 14,00.

Ad “Oriente” ed “Occidente” sono state attribuite diverse definizioni: Est ed Ovest, come coordinate cartografiche; Asia ed Europa, come individuazioni geografiche continentali, fino alla «rivoluzione spaziale» americana; alba e «tramonto» – o, nello specifico, la distinzione tra Kultur e Zivilisation – vitale delle civiltà secondo Oswald Spengler; e così via. Su questo tema, va menzionata la riedizione per i tipi della Adelphi del dialogo tra Ernst Jünger e Carl Schmitt dal titolo Il nodo di Gordio, con la curatela ed un saggio conclusivo di Giovanni Gurisatti.

Il testo di Jünger, pubblicato nel 1953, va contestualizzato assieme al dialogo con Martin Heidegger sul nichilismo Oltre la linea (1951), e al libretto sulla figura dell’Anarca in Der Waldgang (1952): intendendo svolgere un’analisi del presente, egli non dimenticava di considerare il patrimonio filosofico, storico e metafisico fino ad allora coltivato. Sin dalle pagine iniziali si possono notare riferimenti all’epica classica e allo stesso modo vi sono richiami alle opere goethiane e nietzschiane. Lo scontro tra Achille ed Ettore, l’astuzia operata da Odisseo contro uomini e dèi, la diversa regalità di Agamennone e Priamo, sono le prime figure di cui lo scrittore tedesco si occupò. Oltre la narrazione epica, non mancano riflessioni sui «grandi» della storia come Harun al-Rashid, Federico II di Prussia o Napoleone Bonaparte. Nella trattazione viene più volte ribadito come il tipo di «libero arbitrio» dell’uomo occidentale si frapponeva al tipo di arbitrio supremo del dispotismo orientale. In sintesi, ciò che veniva indicato come «libertà» in Occidente era l’esatto opposto di una «costrizione» in Oriente, e viceversa. Inoltre, lo si poteva riscontrare nelle differenze sostanziali delle forme politiche e dei comportamenti civili e bellici. La leggenda volle che il re di Frigia, tale Gordio, annodò il giogo dei buoi al proprio carro per simboleggiare l’incontro tra i due mondi. Sciogliere questo «nodo», avrebbe significato – anche nell’attualità – detenere il principale «potere tellurico», nondimeno «un incontro con antiche sventure» (p. 20). Giunto in quel luogo con l’intento di combattere i persiani, Alessandro Magno accolse la sfida, ma non riuscì a slegare questo vincolo, e decise allora di vibrare la sua spada per reciderlo.

Partito dalla Macedonia, Alessandro si orientalizzò: i popoli asiatici sconfitti lo acclamarono come nuovo despota. Malgrado ciò, va specificato che il dispotismo orientale andrebbe distinto dalla dittatura romana, poiché quest’ultima svolgendosi con competenze delegate e provvisorie, doveva ammettere il ruolo del Senato. Negli ultimi secoli di decadenza di Roma antica furono alcuni imperatori ad intestarsi il titolo di divinità, similmente ai tiranni asiatici: ne assunsero quindi anche la medesima precarietà nel mantenimento del potere, cadendo spesso vittime di congiure di palazzo e di comandi militari ribelli che ambivano al trono. Simmetricamente al Macedone, molti secoli dopo, compiendo dei viaggi in Europa lo zar Pietro si occidentalizzò: decise di spostare la capitale da Mosca al mar Baltico, con la fondazione di San Pietroburgo, oltre che modernizzare in senso europeo diversi stili di vita, architettonici e militari della Russia. Dal punto di vista europeo, le orde a seguito di Gengis Khan o Tamerlano incutevano terrore prima ancora che arrivassero in Occidente. Anche il tipo più cruento di guerra in Europa era incomparabile alla violenza proveniente da Est: la difficile penetrazione del cristianesimo in Oriente era una conferma di ciò. La cavalleria europea, perseguendo il proprio codice d’onore, si distingueva dai sanguinosi cavalleggeri ed arcieri a cavallo provenienti dalla steppa.

L’opposizione di Jünger, da conservatore-rivoluzionario, ad Adolf Hitler non mancò neanche nel testo in questione, in cui il Führer era considerato un modello politico estraneo all’ethos occidentale. Pertanto, le speranze riposte ne La pace. Una parola ai giovani d’Europa e ai giovani del mondo (1945) trovarono in seguito una conferma ne Lo Stato mondiale. Organismo e organizzazione (1960). Seppur non intrisa di neo-kantismo, questa prospettiva ottimistica jüngeriana guardava con interesse ad un’unità planetaria a partire dal dominio sulla tecnica da parte dell’Arbeiter, aggiornando così il contenuto dei suoi scritti del primo dopoguerra.

Qualsiasi concezione unipolarista non poté essere condivisa da Carl Schmitt, il cui realismo prendeva sempre le difese di una teoria giuridica e geopolitica del pluriversum, caratterizzato dalla suddivisione in «ordinamenti concreti» detti Grossräume: nel suo pensiero permaneva la spazialità del Politischen e la unicità dei fatti storici, distanziandosi dunque dalle «neutralizzazioni» delle forme di potere così come dalle suggestioni riguardanti l’«eterno ritorno». A partire da quest’ulteriore conferma di tesi, nel 1955, Schmitt commentò Jünger con un saggio dal titolo La struttura storica dell’attuale contrapposizione planetaria tra Oriente e Occidente, ovvero la seconda parte della presente edizione. Il giurista di Plettenberg sembrava disinteressarsi del “taglio decisionista” di Alessandro Magno e ripropose il nodo gordiano nello scontro epocale di Behemoth contro Leviathan e viceversa, già ben descritto in Terra e mare (1942): andavano identificati, in età classica con Sparta e Atene, Roma e Cartagine, e analogamente dall’età moderna in poi, l’elemento tellurico euroasiatico da una parte e l’esistenza marittima britannica dall’altra. Dalla scoperta dell’America fino alla circumnavigazione dell’Africa e l’occupazione delle coste dell’Indo-Pacifico, si susseguirono vari tentativi di dominio coloniale attraverso la guerra marittima da parte di Spagna, Portogallo, Francia ed Olanda. Tuttavia, su queste potenze ad averla vinta in definitiva fu l’Inghilterra. La corona inglese, superando le lotte interne, stabilì il proprio distacco dalla Chiesa cattolica di Roma, per affermare un proprio protestantesimo anglicano e, di conseguenza, la società borghese che andava a formarsi poté sviluppare una serie di rivoluzioni industriali, contestualmente alla «rivoluzione spaziale» oceanica. Nel Novecento, con le due guerre mondiali, perse de facto l’Europa intera, tanto che ad ereditare la prospettiva egemonica talassocratica fu l’imperialismo statunitense.

Il giurista tedesco non si distanziò così da una delle sue opere più importanti e coeve, Il nomos della Terra (1950), in cui intravvedeva il progressivo declino dello jus publicum Europaeum, con l’emergere di dottrine universaliste nel diritto internazionale ed organizzazioni sovrastatali che professavano un umanitarismo astratto a discapito della civiltà europea. Tornando sul testo gordiano, anziché Oswald Spengler, Schmitt preferì menzionare Arnold J. Toynbee in merito all’acquisizione della tecnica da parte dei popoli orientali e Haldford Mackinder. condividendone la trattazione sul concetto di Heartland euroasiatico in quanto «perno geografico della storia». Schmitt come Jünger vedeva nella tecnica uno strumento di portata planetaria, evidenziandone tuttavia i pericoli di un’ulteriore possibile guerra «totale» tra superpotenze nucleari.

Entrambi gli autori tedeschi davano ragione alle “profezie” di Alexis de Tocqueville sull’avvenuto duopolio e sulla relativa disputa mondiale tra Stati Uniti d’America e Russia (zarista e sovietica). E, per questo motivo, sia Jünger che Schmitt si auguravano che potesse realizzarsi una rinascita europea, posizionata in alternativa e «terza» rispetto ai due blocchi dominanti.

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