Carlo Marsonet ha studiato Scienze internazionali e diplomatiche presso l’Università di Genova e l’Università di Bologna, sede di Forlì. È PhD candidate in Politics: History, Theory, Science alla Luiss Guido Carli, Roma. Scrive sul blog della Fondazione Luigi Einaudi e collabora con Mente Politica. Ha pubblicato: Democrazia senza comunità. Il populismo quale reazione collettivistica alla modernità, in «Rivista di politica», n. 3/2018, pp. 59-70.

Recensione a
R. Kirk, Enemies of the Permanent Things [1969]
Lockerd, Cluny, Providence 2016, pp. 334, $ 22,95.

Come si ha già avuto modo di scrivere in precedenza (3 e 11 febbraio, sempre su questa Rubrica), Russell Kirk (1918-1994) è stato uno dei più importanti pensatori conservatori del Novecento. Scrittore prolifico e poliedrico, Kirk si è cimentato in innumerevoli ambiti del sapere, dal campo più strettamente politico-filosofico con un taglio storico a quello di critica culturale, da quello economico e giuridico, per giungere a quello letterario. Secondo egli, infatti, la cultura, a dispetto della tendenza a sezionare in settori specialistici e angusti lo scibile umano, tende a tenersi come un tutto più o meno unito e collegato, ma secondo un ordine gerarchico. È noto, infatti, come egli, rifacendosi a una delle personalità che su di lui esercitò una vivace influenza, Irving Babbitt, scrisse in Prospects for Conservatives (1956) che

the true conservative knows that the economic problem blends into the political problem, and the political problem into the ethical problem, and the ethical problem into the religious problem. There exists a hierarchy of difficulties, as well as a hierarchy of values.

La carica trascendente nel pensiero di Kirk è forte, ma, prima ancora che essere inserita in una vera e propria prospettiva religiosa, sancita definitivamente con l’entrata formale nella Chiesa cattolica avvenuta nel 1964, il pensatore di Mecosta fin da bambino – come riconosce nella sua autobiografia pubblicata un anno dopo la morte, The Sword of Imagination. Memoirs of a Half-Century of Literary Conflict (1995) –, si rese conto di quanto la persona non fosse dotata di sola carne e pura materia, bensì avesse un’anima fatta per l’eternità, la quale necessita di essere nutrita e coltivata degnamente.

Affinché ciò possa avvenire, sostiene Kirk, vanno però riconosciuti alcuni principi o norme le quali rendono la natura umana qualcosa di fisso e non mutevole a seconda di nuovi presunti bisogni o necessità. Senza questi standard, l’uomo tende a smarrirsi e a rincorrere le ideologie del suo tempo, fondamentalmente anti-umane in quanto dogmi secolarizzati. In Enemies of the Permanent Things (1969) mette a fuoco un problema cruciale del suo tempo: la riscoperta delle norme, delle vere norme. Come scrive nell’introduzione Lockerd, Kirk non si prefigge di elaborare un piano razionalistico e ideologico volto al rifacimento dell’esistente: tutto il contrario. È proprio osservando il suo presente che egli considera per l’appunto il pensiero ideologico, che ha trovato terreno fertile nel Novecento, uno dei vulnus della natura umana e del buon ordine etico-morale, politico ed economico. La riscoperta dei principi, ecco il compito di chi vuole conservare la natura umana e le istituzioni che rispettano la dignità della persona. Questi, sostiene Kirk, possono essere derivati da diversi ambiti della cultura, financo la letteratura. Come mostra pure il sottotitolo della sua autobiografia sopramenzionata, la letteratura è secondo Kirk è di importanza cruciale per la riscoperta di alcuni principi, sagge verità permanenti che si confanno a creature figlie di Dio.

La letteratura, la vera letteratura deve insomma insegnare all’uomo ad essere tale, a saper camminare sulle proprie fragili gambe con la consapevolezza che al mondo esistono sia il Bene che il Male e che sta all’uomo scegliere cosa essere. L’ideologo, afferma Kirk, ha la presunzione di elaborare piani volti al miglioramento dell’esistente senza curarsi della persona in quanto creatura di dotata sia di materia che di spirito: tutto è ridotto ad arida e semplice materia. Attraverso la scienza, non metodo fallibile e tutto sommato umile, bensì strumento di miglioramento incessante e macchina che si autoalimenta dei propri successi, egli intende rifare il mondo giacché egli sa dove andare. Secondo Kirk, al contrario, non solo la scienza è uno strumento che non può tutto, ma non deve tutto poiché non tutto può esservi ricondotto. Se così è, il conservatore si approccia alla vita con una buona dose di umiltà e con la dolorosa consapevolezza, che però è uno degli elementi che rendono l’uomo ciò che è ovvero una creatura finita, che al massimo egli potrà pervenire a una conoscenza tollerabile ovvero limitata delle cose di questo mondo.

Le norme come standard di riferimento per una buona vita, si diceva. Esse non sono il prodotto del qui e dell’ora, la statuizione razionalistica di effimere e caduche prese di coscienza. Secondo Kirk,

a norm means an enduring standard. It is a law of nature, which we ignore a tour peril. It is a role of human conduct and a measure of public virtue. The norm does not signify the average, the median, the mean, and the mediocre. […]. A norm exists: though men may ignore or forget a norm, still that norm does not cease to be, nor does it cease to influence men. A man apprehends a norm, or fails to apprehend it; but he does not create or destroy important norms (p. 3).

Solo attraverso la riscoperta di queste norme, di questi veri standard, secondo Kirk, la persona torna ad essere difficilmente occupabile dai dogmi ideologici e secolari del nostro tempo. Esse non sono semplici oggetti da comprendere attraverso la ragione o la logica: non tutto può tornare a, o partire dal ragionamento razionale. Un mondo fatto solo di ragione e logica, argomenta Kirk, ci conduce in un contesto che poco ha a che fare con la persona come creatura parte di un ordine che la trascende. Tali norme non sono, inoltre, riconducibili a dei “valori”. Questi ultimi si scelgono, sono riconducibili a delle preferenze individuali: le norme, al contrario, le precedono, in quanto costituiscono la base della natura umana ovvero gli elementi comuni a tutti e senza i quali la persona diviene una particella quantitativa interscambiabile.

Senza le norme, insomma, l’uomo difficilmente riuscirà trovare un ordine interiore, il quale è pure il prerequisito dell’ordine esterno, culturale e politico. Tali norme, quindi, sono permanenti, non passibili di revisione, giacché altrimenti si precarizza la tenuta della comunità umana stessa. L’utopista o l’ideologo, secondo Kirk, è invece il massimo propugnatore del Progresso in quanto tale. secondo S.T. Coleridge, ricorda Kirk, vi sono due elementi cruciali di ogni società: il principio di permanenza e quello di progresso. Se il secondo scalza il primo, il sostrato normativo crolla, ciò comportando la decadenza dell’ordine umano:

Lacking an apprehension of norms, there is no living in society or out of it. Lacking sound conventions, the civil social order dissolves. And lacking variety of life and diversity of institutions, normality succumbs to the tyranny of standardization without standards (p. 15).

Essere conservatore, allora, significa conservare le norme che sorreggono l’uomo in quanto creatura terrena ma con una proiezione trascendente. Lo studio e gli insegnamenti delle grandi personalità del passato possono aiutare l’uomo in questa impresa titanica. Essi possono insomma aiutare a riscoprire il patrimonio comune a tutti, e senza il quale tutti si ridurrebbero a nessuno, e legare le generazioni in quello che E. Burke chiamava il contratto della società eterna che unisce il passato al futuro attraverso il presente.

Tale eredità normativa può principalmente pervenire, secondo Kirk, mediante tre usci: la rivelazione, i costumi che si fanno senso comune e le intuizioni di grandi personalità del passato (Kirk li definisce «seers», veggenti o profeti). In generale, questi tre riferimenti ci consentono di salire sulle spalle dei giganti e di comprendere meglio, o almeno un po’, di quelle verità eterne che costituiscono il patrimonio comune su cui viviamo, magari pure senza averne davvero contezza. La letteratura, per Kirk, è campale nel mostrare all’uomo alcune verità sulla natura umana. Essa non deve essere un semplice divertimento, non deve mirare a intrattenere, ma piuttosto deve essere la guardiana delle verità permanenti. Kirk è consapevole che la letteratura può pure corrompere. Ma, appunto, ciò che serve è secondo lui di riscoprire i grandi libri che veicolano la tradizione. E fin da piccoli, egli continua, la letteratura deve essere promossa, in modo tale che i bambini possano il prima possibile scoprire che cosa è l’uomo, quali sono i suoi limiti e quali sono, in definitiva, le questioni cruciali dell’esistenza umana. Inoltre, la letteratura deve pure servire a fornire la consapevolezza che non tutto è buono a questo mondo e che in esso si celano pericoli più o meno ovunque. In sostanza, come intitolò l’ultimo paragrafo del tredicesimo capitolo della sua autobiografia, che «The wolf is everywhere»:

In a violent time, Kirk thought [l’autobiografia è scritta in terza persona, NdA], it is prudent to rear children of peril – and of heroism. If enough of the rising generation take the heroes of fantasy for their exemplars, the wolf will find sustenance less readily.

La cosa peggiore che si possa fare, insomma, è, pur con la buona intenzione di proteggere i bambini, espungere il Male, giacché senza la scoperta di esso non solo non è pensabile il suo opposto, il Bene, ma non si è in grado di riconoscerlo e dunque si è indeboliti alla fonte la radice stessa della scelta morale.

Secondo Kirk, la scuola è sempre meno in grado di veicolare i contenuti necessari per una buona educazione, ovvero la capacità della persona di stare in piedi. A tale mancanza, può però sopperire una di quelle istituzioni sempre più neglette, ma proprio per questo cruciali per la costruzione di un buon ordine umano: la famiglia. È ad esse che spetta il compito, qualora fallisca la scuola, di instradare verso la lettura delle grandi opere. Attraverso la loro scoperta, la consapevolezza normativa e l’immaginazione morale possono essere risvegliate. I racconti fantastici, in primis, sono per Kirk dirimenti per un tale risveglio. Non solo insegnano il Bene e il Male, ma pure il mistero di un ordine che non si potrà mai appieno comprendere e dunque manipolare. A ciò egli aggiunge la storia narrata e le biografie, la prosa riflessiva e la finzione poetica per concludere, in ordine di difficoltà, con le opere filosofiche e teologiche. Tutto ciò contribuisce a familiarizzare con le verità permanenti. L’espressione è ripresa, come noto, da T.S. Eliot, amico di Kirk, il quale la impiegò in un discorso alla radio nel 1937 e che poi sarà inserita in appendice in L’idea di una società cristiana (1939).

Secondo Kirk queste verità possono essere ricondotte essenzialmente a tre punti nodali. In primo luogo, il fatto che l’uomo sia una creatura finita, limitata, e costituito da quello che Miguel de Unamuno chiamava “il senso tragico della vita”, ovvero l’insegnamento cristiano che vede l’uomo come creatura imperfetta. In secondo luogo, che l’uomo è posto in seno e sulla tradizione di cui fa parte, parte dell’eredità giudaico-cristiana che, volens nolens, va a tessere l’intelaiatura etico-culturale che lo forgia. In terzo luogo, che l’ordine politico non è che il pallido e imperfetto riflesso di un ordine di natura trascendente. Attraverso questi insegnamenti, questo corpo di verità, l’uomo è dotato di un bagaglio etico-culturale che, almeno in teoria, lo sorregge e gli impedisce di cadere facile preda dei dogmi secolarizzati che ledono la dignità dell’uomo e che si rivelano essere bolse e miserevoli copie di ben altri principi: «We cling to the permanent things, the norms of our being, because all other grounds are quicksand» (p. 53).

Ma torniamo alla letteratura. Essa aiuta a tenere insieme le generazioni, giacché fornisce un insieme di principi etici e alti standard critici che formano la saggezza di chi è venuta prima. Kirk la definisce in tal modo «the breath of society» (p. 63). L’importanza della letteratura si lega al ruolo essenziale svolto da chi la insegna, l’uomo di lettere e l’umanista, che forgia personalità resistenti al tradimento della stessa cultura letteraria perpetrata dagli ideologi e dallo spirito tecnico-quantitativo che la fa sempre più da padrone. Quando parla di ideologia, Kirk ha in mente diversi perni polemici, quali il pensiero marxista, il moderno liberalism, l’utilitarismo e il benthamismo, ma tutti accomunati dal fatto che non esiste altro ordine al di là di quello mondano e che l’uomo sia, essenzialmente una creatura economica o un fascio di desideri materiali. Essa può essere sconfitta dalla riscoperta dell’immaginazione morale cui può contribuire la letteratura, attraverso le norme che essa veicola. Tra i nomi che Kirk fa vi sono ad esempio G. Orwell e R. Bradbury, C.S. Lewis e J.R.R. Tolkien. Tutti concorrono all’idea che l’uomo sia più di una creatura dedita al benessere materiale o all’utilitarismo in senso stretto. La speranza, per Kirk, è che l’uomo torni ad attribuire un valore alle cose al di là del loro prezzo monetario, ovvero che torni consapevole che esiste qualcosa che pertiene solo agli uomini e che li fa essere ciò che sono, creature morali proiettate oltre il qui ed ora e in grado di percepire quella che Burke, derivandola da Cicerone, chiamava «the unbought grace of life» (M.E. Bradford definì non a caso Kirk «the American Cicero»).

In nome del Progresso o della creazione del paradiso in terra, la persona non riconosce più di essere fatta per l’eternità e l’elevazione spirituale. Attraverso ciò, si potrebbe scoprire che il presunto progresso morale nasconde più di qualche insidia, in quanto lede alla radice la persona come incubatrice di principi e norme che le preesistono e rendono il mondo veramente degno di essere vissuto. Senza vere norme, un ordine non tiene. Senza la varietà e pluralità di istituzioni pre-politiche, vige quella che Kirk chiama «standardization without standards». Tale è il perseguimento della dottrina progressista contemporanea, ben descritta da Jacob Burckhardt nell’Ottocento e così citata da Kirk:

Our assumption that we live in the age of moral progress is supremely ridiculous when we look back on those perilous times out of which the free strength of ideal desire rises to heaven in the lofty spires of a hundred cathedrals. The matter is made worse by our vulgar hatred of everything that is different, of the many-sidedness of life, of symbolic rites and privileges half or quite in abeyance, by our identification of the moral with precise and our incapacity to understand the multifarious, the fortuitous (p. 157).

(Fine Parte I)

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