Nicolò Bindi (1991) si è laureato in Filologia Moderna all’Università degli studi di Pisa, discutendo una tesi su “Teoria e pratica del futurismo. Palazzeschi, Marinetti, Soffici”. Interessato principalmente agli aspetti stilistici, metrici e linguistici, sta concentrando le sue ricerche letterarie soprattutto sugli autori delle avanguardie storiche e del modernismo italiano ed europeo. Collabora con diverse associazioni culturali. È docente presso l'Istituto "Francesco Datini" di Prato.
Per quale motivo proporre oggi, con tutti i problemi civici e geopolitici che ci incalzano, la lettura di una serie di sonetti commentati sul tema dell’amore?
Perché è importante, a volte, proporre temi che vadano al di là della semplice indignazione civica, dei commenti su questa o quella strategia diplomatica, dei comitati di quartiere e della rivendicazione di diritti. I proclami e i titoloni che affollano l’evo contemporaneo hanno l’effetto di concentrare troppo la nostra attenzione su fattori esterni, portandoci a trascurare tutti quei moti interiori che pure ci animano, e che molte volte, anzi, regolano e sconvolgono la nostra vita anche più di un conflitto estero o dell’approvazione di una nuova legge finanziaria.
Questo lavoro non ha alcuna finalità scientifica. Non vi è alcuna tesi che vuole ricercare fondamento in una serie di dimostrazioni analitiche, né la volontà di confutare o affermare teorie sull’argomento proposto. I testi non sono scelti sulla base di una rigida computazione tematica, poiché si tratta di un sentimento mutevole, contraddittorio, e cercare di categorizzarlo secondo linee guida prestabilite renderebbe l’approccio generale troppo positivista, errore nel quale si vorrebbe evitare di cadere. Parimenti, non sarà osservato neanche uno stretto ordine cronologico, o, per lo meno, non sarà volutamente ricercato. Non si vorrebbe, attuando un criterio del genere, dare un’idea evolutiva di come gli autori affrontano il tema proposto.
Esistono modi diversi di approcciarvisi, aspetti diversi affrontati, ma si può affermare veramente che un autore più recente possiede una mente o degli strumenti più evoluti rispetto a un autore più antico? Certo: può cambiare il contesto culturale, può cambiare la lingua, dunque la modalità di comunicazione, ma questo non concede un vantaggio o uno svantaggio sullo sviluppo dell’argomento portante; semplicemente, lo arricchisce di sfaccettature. Dunque, a quale criterio si farà mai appello, per questo specifico lavoro?
Probabilmente, solo al gusto e alle suggestioni del suo ideatore, quasi a voler rispettare la volubilità intrinseca del tema amoroso, assoluto protagonista di questo percorso. Si badi bene, però, che l’arbitrio riguarderà solo la scelta dei testi. I commenti che li accompagneranno, invece, cercheranno di restituire al meglio ciò che l’autore voleva comunicare, e potranno essere intesi o come un semplice aiuto alla comprensione, o come uno stimolo a una riflessione più ampia.
A conti fatti, dunque, si è scelto di seguire solo due criteri veramente stringenti: quello del tema e quello della forma. Riguardo al primo, la scelta del tema amoroso è presto motivata – se proprio un giustificativo dev’essere dato. L’amore è da sempre uno dei principali animatori dell’ispirazione artistica, forse proprio per le sue caratteristiche sfuggenti e contraddittorie, e proprio per questo genera fascino e curiosità tanto fra gli “artefici” quanto fra gli “spettatori”. Inoltre, nonostante la sua sbandierata complessità, è un tema sinceramente “popolare”, nel senso più profondo del termine. Trattandosi, infatti, di un sentimento, e non di un elevato concetto filosofico, l’amore è intrinsecamente legato al “sentire”, appunto. La sua conoscenza, quindi, è direttamente legata all’esperienza che l’individuo può farne, che può essere arricchita da spunti o riflessioni ispirati da opere artistiche o saggistiche. L’argomento, in sé, non si presenta come elitario; allo stesso tempo, si presenta come un ottimo tramite per ispirare o introdurre il lettore a pensieri di natura più elevata, riattivando stimoli sopiti a indagare la propria intimità, quindi a sondare la profondità del proprio animo.
Per quanto riguarda la forma, si è scelto di concentrarsi sul sonetto essenzialmente per tre motivi. Anzitutto, è una delle forme metriche di maggiore successo in tutta Europa, sebbene con qualche piccola variazione strutturale – un successo anche duraturo nel tempo, che potrà permetterci di spaziare non solo in più luoghi europei, ma anche in più epoche. In secondo luogo, è un tipo di componimento breve, ma non troppo: il suo svilupparsi entro quattordici versi endecasillabi fa sì che il poeta debba dare prova di sintesi, ma allo stesso tempo non gli impedisce di essere completamente esaustivo – parte del suo successo, in effetti, può essere attribuito a questa sua virtù.
Infine, è una delle poche forme metriche ad aver attraversato la storia della letteratura sostanzialmente immutata, nella sua struttura. Così come vede i suoi natali all’interno della scuola siciliana, probabilmente a opera di Giacomo da Lentini, il sonetto non subisce modifica alcuna, nel corso del tempo, né nel numero dei versi che lo compongono, né nel tipo di versi – esistono, in effetti, delle varianti, ma sono niente più che esercizi virtuosi volti non tanto a modificare in maniera permanente la struttura basilare del sonetto, quanto a creare nuove forme metriche con esso “imparentate”. Risulta, dunque, suggestiva l’accoppiata tra il sentimento più mutevole ed il metro più fisso. Il fatto, poi, che essi sono tradizionalmente molto legati tra loro, può dar da pensare che non si tratti di una casualità: non sarà che il sonetto, con il suo «fascino pitagorico» rilevato da Baudelaire, non possa essere un vano tentativo del poeta di imbrigliare geometricamente il caos amoroso?
In conclusione, questo lavoro non ha che l’intento di proporre un’antologia commentata, volta a stimolare spunti e riflessioni nel lettore. Niente più di una crestomazia a puntate, in cui i testi proposti saranno il più possibile snelliti di tutti quegli orpelli filologico-didattici che oggi appesantiscono in maniera eccessiva i classici della nostra grande letteratura. Agire, insomma, quel tanto che basta per renderli nuovamente fruibili e accessibili anche ai non addetti ai lavori.