Carlo Marsonet ha studiato Scienze internazionali e diplomatiche presso l’Università di Genova e l’Università di Bologna, sede di Forlì. È PhD candidate in Politics: History, Theory, Science alla Luiss Guido Carli, Roma. Scrive sul blog della Fondazione Luigi Einaudi e collabora con Mente Politica. Ha pubblicato: Democrazia senza comunità. Il populismo quale reazione collettivistica alla modernità, in «Rivista di politica», n. 3/2018, pp. 59-70.

Recensione a
American Conservatism. Reclaiming an Intellectual Traditon
a cura di Andrew J. Bacevich
The Library of America, New York 2020, pp. 672, $29.95.

Andrew J. Bacevich è uno storico americano specializzato in politica estera e storia militare. Con questo volume, però, si è cimentato con un tema, quello del significato del conservatorismo, che in qualche modo trascende il suo precipuo campo di studi. È un testo ambizioso dal momento che cerca, dopo un’introduzione volta a delimitare i confini (porosi) della tradizione conservatrice americana, di guidare in una sorta di percorso selettivo e discriminante ai principali – secondo lui almeno – pensatori che hanno incarnato alcuni dei principi dell’ethos conservatore.

Ethos o disposizione: ecco intanto come definisce in prima battuta la tradizione che prende in esame. Non dunque un’ideologia fissata una volta per tutte, una dottrina rigida e onnicomprensiva che rischia di tagliare in modo manicheo il reale. Questo, come ebbe a dire anche Russell Kirk (1918-1994), uno dei principali esponenti di tale tradizione che Bacevich si premura di richiamare, è tipico invece dei liberal contemporanei e dei radicali. L’Autore considera così il conservatorismo come l’antitesi della staticità. Esso è dunque una sensibilità aperta, sebben a ciò sia riconducibile un nucleo di principi o linee di orientamento del pensiero che ne caratterizzano il proprio cuore: la centralità della libertà, concepita però non con la “L” maiuscola, bensì in modo temperato, ovvero legata da alcuni vincoli; la credenza nel governo limitato e nel “rule of law”; la venerazione per l’eredità culturale che perviene dal passato e che si lega così a un senso di “stewardship” per la creazione; la riluttanza a compromettere o estirpare i riferimenti tradizionali; il rispetto per il mercato come mezzo per generare ricchezza senza per questo, però, idolatrarlo a causa del suo corrosivo impatto sulle tradizioni; un profondo sospetto per i piani ingegneristici e le utopie terrene.

Come è stato notato, l’idea che Bacevich ha del conservatorismo e di cui scrive nel libro è quella di una visione aperta, forse anche troppo (Virgina Arbery, An Open Conservatism?, “Law and Liberty”, 22 June 2020). Dopo l’introduzione, infatti, l’Autore riporta una copiosa, anzi immensa mole di scritti dei tanti pensatori che reputa importanti per mettere a fuoco il conservatorismo, dividendoli in sezioni tematiche. Nella parte dedicata a un tentativo di definizione della tradizione conservatrice, ad esempio, annovera scritti del già citato Kirk, di William F. Buckley Jr. (1925-2008) e di Frank Meyer (1909-1972). Nella seconda sezione, incentrata sui valori fondamentali del conservatorismo (tradizione, religione, moralità) include, tra gli altri, Henry Adams (1838-1918), Walter Lippmann (1889-1974), George Santayana (1863-1952), Irving Babbitt (1865-1933), ma anche Frank Chodorov (1887-1966), Willmoore Kendall (1909-1967), Richard John Neuhaus (1936-2009), Micheal Novak (1933-2017) e Christopher Lasch (1932-1994). Nella terza sezione, imperniata sul tema dei rapporti tra stato e mercato, Randolph Bourne (1886-1918), Albert Jay Nock (1870-1945), Richard M. Weaver (1910-1963), Milton Friedman (1912-2006), Irving Kristol (1920-2009), Murray Rothbard (1926-1995) e il contemporaneo Patrick Deneen. Nella quarta, riguardante i legami familiari e locali che unisono le comunità, John Crowe Ransom (1888-1974), Robert Nisbet (1913-1996), Eugene Genovese (1930-2012) e il contemporaneo Wendell Berry. Nell’ultima più prossima ai suoi interessi di studio, ovvero dedicata al tema dell’eccezionalismo americano, Theodore Roosevelt (1858-1919), James Burnham (1905-1987), Robert A. Taft (1889-1953), Reinhold Niebuhr (1892-1971), Ronald Reagan (1911-2004). Se a qualcuno può sembrare che già troppi nomi siano stati inclusi, va detto che non tutti le personalità da Bacevich considerate sono state menzionate.

Non solo. Oltre a ciò, è d’uopo rimarcare un fatto: non tutti i pensatori citati si reputavano conservatori. E alcuni pensatori inclusi, poi, erano piuttosto divergenti su diversi temi. Certamente, come ha rimarcato Bacevich la lista dei presenti è selettiva e, tutto sommato, soggettiva. Inoltre, non essendo, almeno secondo lui, ma anche altri come Russell Kirk, una dottrina chiusa, è possibile rivederla, senza abbandonare alcuni principi cruciali, alla luce dei tempi che mutano. Ma, il volume è definitivamente troppo corposo, soprattutto se serve per inquadrare una tradizione intellettuale, tanto che, alla fine della lettura, si corre pure il rischio di perdersi all’interno della trattazione, che al contrario dovrebbe servire proprio da guida della tradizione oggetto di discussione.

Tralasciando inoltre il fatto che l’Autore dichiari esplicitamente di aver escluso la tradizione neoconservatrice dal volume, salvo poi ammettere nel suo “pantheon” Irving Kristol – considerato il padre del movimento – ma anche Michael Novak, vi sono pure alcuni spunti interessanti. In primo luogo, Bacevich rimarca il fatto che il conservatorismo non può fare a meno dell’idea di “stewardship”. Tale concetto rinvia all’idea di estremo rispetto non solo per i luoghi cari alla persona in quanto essenziali per la sua formazione, il suo essere in quanto tale e la continuità delle generazioni, dal luogo natio alla cruciale istituzione famigliare, ma in generale per tutto ciò che attiene alla natura: si potrebbe quasi chiamarla ecologia conservatrice (il termine ambientalismo rinvia invece a un asettico e troppo utilitaristico concetto di ambiente: un luogo impersonale, concepito solo come mezzo per il soddisfacimento dei desideri dell’uomo-massa). Inoltre, Bacevich si perita pure di includere alcune personalità come Wendell Berry e Christopher Lasch che, soprattutto quest’ultimo, poco o nulla sono stati visti dal punto di vista conservatore.

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