Federico Leonardi (1973) ha svolto attività di ricerca e insegnamento a Milano, Firenze e Londra ed è docente ordinario di Filosofia e Storia nei Licei. Oltre a vari saggi in italiano e in inglese, ha scritto le seguenti monografie: Tragedia e Storia (Aracne, 2014); World History (con Luca Maggioni; Rubbettino, 2015), Aristotele: sapere storico e scienza politica, saggio introduttivo ad Aristotele, Scritti politici (Rubbettino, 2020), prima edizione italiana integrale degli scritti politici dello Stagirita, di cui è anche il curatore; Nel cuore dell'Eurasia. Storia di Russia e Ucraina (Aracne, 2022); Le pietre di Roma(Ensemble, 2024). Collabora con RAI Cultura-Filosofia.
Plovdiv, già capitale europea della cultura 2019, mi ricorda Atene. Ho la medesima impressione di non trovarmi in Europa, ma nel Vicino Oriente: la cosiddetta culla della cultura occidentale l’aspettavo con tratti occidentali ed invece Atene mi era sembrata come il Cairo o Istanbul. Clima mediterraneo, vivacità caotica, niente palazzi di marmo o grattacieli di vetro, urbanistica non ordinata: niente ricorda Parigi o Vienna, Madrid o Londra. Ad Atene svettano i resti monumentali dell’Acropoli a ricordare di trovarci in Grecia.
Il centro storico di Plovdiv si sviluppa attorcigliandosi su una collina così ripida che i palazzi di legno sembrano coprire per intero. Lo stile ricorda una città ottomana, eppure la guida che andavo leggendo insisteva sullo stile della Rinascenza Bulgara, nato proprio in voluta contrapposizione alla dominazione dei Turchi da cui i Bulgari si erano liberati. Com’era possibile che uno stile antiturco mi ricordasse la Turchia? Lo stile bulgaro era straordinariamente simile a quello ottomano.
Eppure, la ragione di questo spiazzamento non è difficile da trovare. L’Europa delle Grandi Potenze occidentali come Francia, GB e Germania ha sempre dimenticato la sua parte orientale, cioè i Balcani, lasciandoli in mano turca. La culla della civiltà è tale finché gli interessi non ti portano verso altri lidi. Tra ipocrisia e contraddizione i nostri programmi scolastici dedicano un capitolo alla otto o nove Crociate, presentato come evento capitale del Medioevo, laddove furono soltanto grandi dispiegamenti a risultato zero, tanto che Gerusalemme rimase alla fine nelle mani di chi era, salvo poi non potersi esimere da menzionare che il Rinascimento è segnato dalla crociata contro i Turchi, cui quasi nessuno aderì, lasciando il resto della Cristianità slava e greca cadere nell’alveo della dominazione musulmana, Costantinopoli compresa. Ma si sa che retorica e storia non sempre coincidono.
Sì, mio caro viaggiatore, sei in Oriente, l’Oriente dell’Europa, dove l’Europa si è scoperta Occidente mentre era ancora sovrapposta all’Oriente. Le Chiese che vedi sono ortodosse e nominalmente si tratta di Chiesa cattolica orientale. Si sa che i viaggi bucano la coltre della retorica politica come si sa che la storia non si fa con i se e i ma: eppure, che cosa sarebbe successo se la Cristianità si fosse veramente schierata a difesa della propria doppia culla, della cultura greca e del cristianesimo?
Il nostro Hotel si trovava addossato a resti romani per estensione non certo magnificenza paragonabili ai Fori di Roma. Sono i resti del Foro e dell’Oden d’epoca romana. Letteralmente, resti di vie edifici piazze d’epoca romana sono ovunque, tanto che nella zona bassa della città è normale camminarvi attraverso. Una parte cospicua è stata coperta con una grandiosa costruzione contemporanea volta a creare l’effetto sorprendente di trovarsi in un museo il cui pavimento e parte delle pareti sono la basilica principale della Filippopoli cristiana. Complessivamente l’area è immensa e se, con l’immaginazione scopriamo la parte museale della basilica, abbiamo l’idea di una città grandiosa.
Ebbene Plovdiv è stata per qualche tempo Filippopoli, città greca parte dell’impero macedone di Filippo II, padre dell’ancor più celebre Alessandro Magno: data l’importanza dei Traci cui l’aveva strappata Filippo la volle ribattezzare col proprio nome. I Traci la ripresero per qualche secolo salvo poi perderla di nuovo, travolti dalla potenza militare romana. La città fu ribattezzata Trimontium, poiché i Romani la individuarono come crocevia fondamentale tra Occidente e Oriente ma anche come collegamento verso il Nord dei propri possedimenti e quindi la vollero come capitale della provincia di Dacia (anche se poi la capitale fu spostata a Serdica, quella che sarà poi Sofia). Le tre colline della città furono tutte popolate, da qui il nome Trimontium, cioè Tre Monti. Già importante, divenne importantissima quando la capitale dell’impero fu posta a Costantinopoli: a quel punto fu passaggio di terra obbligato tra Roma e Costantinopoli.
Solcando il corso principale della città, orlato dai palazzi ottocenteschi in stile rinascenza bulgara, che mi ricordano però la via principale di Istanbul, Istiklal Caddesi, si vede campeggiare l’unica delle tre colline che fu importante anche in epoca recente e che ospita il centro storico. Le altre sono ormai spoglie. Le case della Rinascenza Bulgara hanno lo stesso stile turco: facciata aggettante, colori forti, ornamenti floreali disegnati sopra le finestre a ingentilire l’insieme. Più di tre secoli di dominazione ottomana hanno lasciato il segno.
La via che percorriamo di fatto copre il vecchio ippodromo romano che spunta nei sotterranei dei vari negozi. Il progetto, ci dice un architetto, è quello di coprire col vetro tutto il tracciato in modo che si avrà l’impressione di camminare sospesi sull’ippodromo la cui ultima propaggine spunta nella piazza che chiude la via e in cui torreggia un minareto. Una moschea, infatti, la impreziosisce insieme a un caffè tutto di legno scolpito e intarsiato. Di nuovo si ha l’impressione di essere a Istanbul, tanto più che una bandiera bulgara sventola con una turca. A fronte di una maggioranza rimasta cristiana, una minoranza non piccola di bulgari, per godere di pieni diritti o forsanche per convinzione, passò all’Islam. Perciò, ancor oggi le moschee non sono rare nel Paese.
Ora la strada sale serpeggiando per la collina, le didascalie ricordano che la maggior parte delle chiese sono frutto di ricostruzioni ottocentesche più fedeli possibili all’originale. Annullare un passato recente di dominazione distruttiva e tornare al passato precedente, al glorioso medioevo in cui la Bulgaria poteva fregiarsi del titolo di Impero, in cui la sua Chiesa era riferimento per il resto degli Slavi, dev’esser stata un’operazione tanto entusiastica quanto utopica. “Qui per la prima volta si è smesso di celebrare la messa in greco e si è usato il bulgaro, qui i primi patrioti sono scesi in strada contro i Turchi”: l’intolleranza e il polso di ferro turco, una religione estranea spinsero i bulgari a fare cerchio attorno alla propria, portandola sempre più sul terreno politico, che meno le competeva. Le icone sembrano medievali ma in realtà sono ottocentesche: l’effetto antichizzante e preraffaellita regge. Il pittore con una scelta registica originale pone Giuda e l’oscurità al centro dell’Ultima Cena e Gesù e la luce di lato, come un’illuminazione che irrompe nell’umanità.
Invece, la Chiesa di Costantino ed Elena è completamente greca, come confermano anche grafia e lingua: tutto è greco, niente bulgaro.
Altre chiese spuntano tra i palazzi monumentali di cui le didascalie con una dovizia quasi pignola ricordano gli abitanti più illustri e il loro contributo economico o sociale alla causa del Risorgimento. Ma quel nozionismo scolastico ricorda lo sforzo di salvare il salvabile e affidarlo a una memoria nazionale lesa per troppo tempo.
Dopo l’ennesima svolta spuntano delle colonne e delle statue romane che, una volta che siamo giunti su un piccolo slargo, si rivelano essere i resti ben conservati della scena di un teatro antico. Abbassando lo sguardo si vede la cavea incastonata nel monte, rialzando lo sguardo oltre la statuaria della scena teatrale si apre un panorama mozzafiato sui quartieri a perdita d’occhio della periferia di Plovdiv. Soltanto Taormina può un teatro altrettanto bello, più grande ma meno raccolto e laddove il romanticismo di quello siciliano è dato dal mare in lontananza qui dall’essere incastonato come un gioiello nella città moderna.
Gallerie d’arte in serie, murales e antiquari si alternano ai palazzi antichi e ad angoli dove caffè e ristoranti creano splendide oasi ricavate, come il teatro, nelle coste del monte, come piccole magie nelle uniche parti pianeggianti che la verticalità della natura concede.
Dopo un altro gioco di piazzette, vie ripide, chiese, palazzi e musei l’erta si conclude su un polveroso sito archeologico, testimonianza della città più antica d’Europa.
Plovdiv prima di essere Filoppopoli e Trimontium fu Eumolpias, capitale tracia degli Odrisi. 4000 a.C.: così indietro l’archeologia fa risalire il primo insediamento non più primitivo ma cittadino che i Traci o forse dei loro antenati riuscirono a fondare. L’oro dei Traci, celebrato nel museo cittadino, ricorda la loro potenza in tempi più recenti: “erano numerosi come gli Indiani e, se non fossero stati divisi in tribù, avrebbero potuto dominare il mondo” ricorda Erodoto nel quarto libro delle sue Storie, che probabilmente pensava invece ai suoi compatrioti Greci che, pur meno numerosi, almeno alla bisogna, sapevano far lega contro i nemici Persiani.
Scende la sera e le luci che si accendono sul buio calante rendono infittiscono il mistero della Storia, che a Plovdiv si presenta nella bellezza struggente dei suoi drammi più tremendi, nel mistero dell’Europa che più si vuole Occidente e più rimane Oriente e negli scontri tra Oriente e Occidente per contendersi un confine forse impossibile.