Federico Leonardi (1973) ha svolto attività di ricerca e insegnamento a Milano, Firenze e Londra ed è docente ordinario di Filosofia e Storia nei Licei. Oltre a vari saggi in italiano e in inglese, ha scritto le seguenti monografie: Tragedia e Storia (Aracne, 2014); World History (con Luca Maggioni; Rubbettino, 2015), Aristotele: sapere storico e scienza politica, saggio introduttivo ad Aristotele, Scritti politici (Rubbettino, 2020), prima edizione italiana integrale degli scritti politici dello Stagirita, di cui è anche il curatore; Nel cuore dell'Eurasia. Storia di Russia e Ucraina (Aracne, 2022); Le pietre di Roma (Ensemble, 2024). Collabora con RAI Cultura-Filosofia.

Come detto nella prima parte, alla fine del Medioevo la gran parte della popolazione che porta il nome di Russia migra verso Nord in zone meno prospere ma proprio per questo meno appetibili e più sicure, gettando così le premesse di un’espansione eurasiatica in età moderna: l’impero russo sarà la prima forza eurasiatica nel Nord, in terre mai tenute da nessuno. Invece, i principati ex russi, tra cui quello di Perejaslav portatore del nome Ucraina, cadono tutti sotto il vassallaggio del Khanato dell’Orda d’Oro, uno dei grandi regni sorti dalla frammentazione di quello mongolo.

L’espansione del Khanato in Crimea segnerà un’altra svolta della storia ucraina: l’unione dei territori originari della Russia di Kiev, che ormai possiamo chiamare ucraini, con la Crimea che mai invece ne aveva fatto parte. Da qui il problema storico: la Crimea è Russia oppure Ucraina? Sta di fatto che il Khanato muterà il nome in Khanato di Crimea e, ormai islamizzato, con le terre più meridionali dell’ex Russia di Kiev, diventa luogo chiave del commercio del Mar Nero e  sopravvivrà, a sua volta, come vassallo dell’impero turco ottomano, interessato a unire Mar Nero e Mar Mediterraneo.

A Occidente dei principati ucraini si stagliano due nuovi Stati, Polonia e Lituania, che hanno la lungimiranza di non farsi guerra e decidono di unirsi per la prima volta nel 1386. Stretti tra Russia, Turchia e Sacro Romano Impero, cioè l’impero austriaco, compresero che farsi guerra avrebbe significato gettarsi nelle mani di queste potenze e confermano la loro unione nel 1569. La Confederazione polacco-lituana durerà fino al 1795 e sarà un magnifica realtà, in grande anticipo sui tempi, poiché plurinazionale, con due monarchie e dei parlamenti, esempio raro di convivenza e di governi misti.

La Lituania, dalla sua posizione più difesa, poiché addossata al Mar Baltico, aveva potuto stabilizzarsi e conquistare i principati ex russi, tra cui quello ucraino, mentre per i principati più occidentali comincia una storia nuova, sotto la dominazione polacca. Tra questi ce n’è uno in particolare, per l’importanza che riveste, e che si sentirà sempre ucraino: il principato di Galizia e Volinia (prende il nome dall’antica presenza gallica), localizzato più o meno nel centro dell’Europa, per i polacchi loro culla nazionale e chiamato significativamente “Piccola Polonia”.

Si vien perciò configurando un’area molto estesa di lingua ucraina, ma sottomessa a vari Stati e divisa tra ortodossia, cattolicesimo, islam. Area che comprende Russia, Lituania, Polonia, Khanato dell’Orda d’Oro (poi di Crimea). Ma non dobbiamo dimenticare altre due piccole regioni ucraine: la Rutenia transcarpatica (ruteni o russini, dunque russi), unita all’Ungheria e poi all’impero austriaco, e un’area ucraino-moldava, inglobata nel principato di Moldavia, affacciato sul Mar Nero e tributario dell’impero ottomano.

Tra Quattrocento e Cinquecento l’ultima invasione dall’Asia centrale produce anche l’ultimo cambiamento considerevole: autori sono i cosacchi, la cui fierezza guerriera e libertà di costumi sarà mitizzata non soltanto dagli storici ucraini ma anche da letterati russi come Tolstoj. I cosacchi impiantano un regno lungo il Dnepr recando impaccio al commercio al confine tra Moscovia (che si chiamerà Russia) e Khanato. Conquistati dalla Polonia nel 1583, cercheranno appoggio nell’abbraccio mortale con la Russia, con cui si accordano nel Trattato di Perejaslav. La data dell’accordo rimarrà storica per la coscienza ucraina, il 1654, tanto più che i cosacchi, tracciando una continuità evidente col passato, scelgono Perejaslav come sede di un accordo da cui sperano libertà. È in questi decenni che gli ucraini, pur sottomessi, oscillano tra ortodossia, come i russi, o cattolicesimo, come i polacchi. La libertà sperata diventa occupazione, infatti i russi sfruttano l’appoggio alla causa cosacca e ucraina per entrare in guerra contro la Polonia ed espandersi verso Occidente: comincia così l’impero russo.

Il 1667 segna un’altra svolta determinante. Con un trattato Russia e Polonia dividono il territorio ucraino proprio lungo l’arteria che l’aveva visto nascere, il suo cuore, cioè il fiume Dnepr: la riva destra diventa russa e prevalentemente ortodossa, la riva sinistra polacca e prevalentemente cattolica. Si istituzionalizza la natura dell’Ucraina moderna, ovvero una terra tra Europa centrale e Russia europea, divisa in due parti lungo il fiume che fu la culla della Russia (e dell’Ucraina), il Dnepr. Seppur oggi unificate, queste due aree sono diverse, una tendente più all’Europa occidentale, l’altra alla Russia, e rappresentano gli attuali motivi di disunione.

Le rivolte cosacche non smettono, ma sono rese sempre meno feroci dal fatto che cosacchi e ucraini trovino occasioni di carriera dentro l’impero russo. Tuttavia, la zarina Caterina decide di eliminare completamente lo stato cosacco e inglobarlo (1764) nell’impero russo, mentre nel 1784 la Crimea sarà sfilata ai Turchi e anch’essa russificata. Il crescere della lotta imperiale non risparmia la Polonia, la cui spartizione porta con sé anche le due Ucraine, la riva destra rimane russa, mentre quella sinistra passa all’Austria. Comincia la russificazione forzata, mentre il territorio chiave dell’Ucraina è spartito in tre province dell’impero, di cui una porta il nome significativo di “Piccola Russia”, poiché considerato culla della Russia, per quanto oggi faccia parte dello Stato ucraino. Diventa prospera, “il granaio d’Europa”, grazie alle sue vaste pianure, mentre la parte più orientale sede di giacimenti (l’attuale Donbass) e la parte austriaca ex polacca diventa importante attorno a Leopoli, quarta città dell’impero.

La storia dell’Ucraina contemporanea dall’Ottocento ai giorni nostri conferma l’impossibilità di uno Stato ucraino. Se nel Medioevo il trovarsi in un’area di passaggio aveva reso precaria la Russia di Kiev e i suoi eredi, ora il trovarsi in mezzo tra Imperi non la rende più stabile. Purtroppo diventa la storia di un’indipendenza possibile soltanto quando le potenze circostanti mollano la loro presa mortale. Nel crollo dei vari imperi in collisione durante la prima guerra mondiale spuntano varie repubbliche ucraine. Nell’impero austriaco la Repubblica Ucraina Occidentale (1918-19) dura giusto uno anno, poiché, essendo metà polacca, viene riconquistata dalla rinascente Polonia. A Kiev nasce ovviamente la più importante, la Repubblica popolare ucraina, cellula dell’Ucraina contemporanea, vuoi perché sua culla storica, vuoi perché grazie all’opera del grande storico e politico Hrusevskij dà vita alle prime istituzioni culturali ucraine, come le università, nonché all’uso ufficiale della lingua; per reazione ne fa nascere una bolscevica più a Oriente a Karchiv, la Repubblica sovietica ucraina. La Germania che sta vincendo la guerra costringe la Russia ormai in preda alla guerra civile a riconoscere l’esistenza dell’Ucraina indipendente nella Repubblica Popolare, quella che ha sede a Kiev, ma, com’è noto, nemmeno la Germania vincerà la guerra e allora gli ucraini rimarranno senza appoggi. Nei territori austro-ungarici nasce una quarta Repubblica ucraina che, essendo in prevalenza russa, progetta un’unione con la Russia.

Il caos testimonia la natura plurima, nazionale ma non unitaria, dell’Ucraina, che è riunificata come provincia della neonata Urss nel 1922, salvo le parti occidentali che passano a Polonia, Cecoslovacchia, Romania. Dopo che negli Anni Trenta la collettivizzazione forzata dell’agricoltura e una carestia generano fame e morte in Ucraina, una delle zone agricole più prospere dell’Urss e d’Europa, che ormai è un genocidio riconosciuto da molte istituzioni dell’Unione Europea e dall’Onu, Chruscev, ucraino e russo sovietico, nella data simbolica del 1954, come risarcimento, cede all’Ucraina la Crimea. Per questo motivo, all’atto di smembramento dell’Urss, l’Ucraina si è ritrovata con la Crimea, che nella sua lunga storia non aveva mai avuto e ha ottenuto qualche parziale riparazione per secoli di sfruttamenti. La Russia, appena ha potuto, l’ha di nuovo fatta sua.

Dal 1991, anno dell’indipendenza ucraina, l’Europa si ritrova al suo centro verso Oriente uno Stato nuovo, il secondo per estensione fra tutti, punto di passaggio tra Occidente e Oriente d’Europa, tra cattolicesimo e ortodossia, con un’economia prospera, agricola e ricca di giacimenti, ma dove corrono le divisioni che il passato ci mostra nettamente. Alla sua natura di passaggio si unisce un altro fattore attuale: quello dei gas naturali, chiave dell’economia e dei rapporti tra Europa e Russia, anzi Europa Occidentale e Russia europea, per meglio dire.

Difatti oggi, l’Ucraina porta alla luce i problemi irrisolti della storia europea. Il suo nome “sul confine” lo testimonia. Cercare di creare uno Stato nazionale monolitico e fondato su una identità unica è un delirio che non ne rispetta né la natura né la storia: esso è un passaggio, un confine e ospita anime diverse, alcune che guardano all’Occidente europeo (l’unico cui attribuiamo ciecamente il nome d’Europa), altre all’Oriente europeo che va verso l’Asia e a esso si mescola (cui ciecamente non sappiamo attribuire senso, ovvero la Russia). Ed un delirio generatore di guerre.

In essa convergono la storia russa, lituana, polacca e austriaca, e in misura minore, moldava e ungherese. Ma verso essa passo lo sguardo tedesco. Infatti la Germania, com’è evidente sin dagli anni della sua riunificazione, che coincidono con l’indipendenza ucraina, ha ripreso a guardare verso l’Oriente europeo, non soltanto a Occidente, e, mentre costruiva, anch’essa così fiera della propria potenza, la sua dipendenza energetica non da ex colonie come facciamo noi a Occidente, ma dalla Russia tramite l’Ucraina. Così la cosiddetta Europa, mentre si affanna ad allinearsi agli Usa, si scopre sempre meno occidentale e sempre meno americana, tramite il suo Stato guida, la Germania, che mostra al mondo la sua dipendenza dalla Russia.

Una soluzione può venire dal guardare all’Ucraina per quel che è, un passaggio, e costruirla mista e federale, non monolitica e nazionale, cioè un’area in cui abbiamo l’occasione di costruire la convivenza tra l’Europa e Russia, senza farci condizionare dagli Usa. Il dilemma che l’Ucraina si trascina dalla sua indipendenza è: siamo più europei o più russi? Il risultato è che quando la decisione pende verso la Russia, scoppiano le rivolte come quella arancione (2004) o Euromaidan (2014), che a loro volta per reazione hanno condotto la Crimea a tornare alla Russia con un referendum e il Donbass a entrare in una guerra col governo centrale che dura da otto anni. Occorre una classe politica ucraina che sappia fare sintesi di queste due anime: per ora sono in grado di rappresentare o l’una o l’altra. Ma anche una classe politica nell’Unione Europea che guardi all’Europa per quello che è, una terra che non ha Stati a Oriente, ma confini.

“Sul confine”, appunto.

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