Katiuscia Vammacigna, nata e cresciuta a Brindisi, si laurea in Filosofia a Lecce, specializzandosi a Parma, dove insegna per diversi anni. Tornata a Brindisi, si dedica a passioni quali scrittura, teatro, filosofia. Frequenta corsi di scrittura creativa e partecipa a diversi concorsi letterari. Nel 2018 si classifica seconda nel concorso letterario Verso l’altro, promosso dall’associazione Jonathan di Brindisi, con il racconto La mia terra non ha nome. Sempre nel 2018 riceve una menzione di merito per il Premio Letterario Nazionale Città di Mesagne con il racconto Odore di salsedine su Tunisi. Si definisce ironica, appassionata e curiosa di indagare ancora sè stessa e il mondo attraverso la scrittura.

La società greca arcaica e classica descritta da Giorgio Ieranò in Elena e Penelope. Infedeltà e matrimonio (Einaudi, Torino 2021) appare come una società patriarcale e misogina, ben illustrata nel catalogo risalente al VII sec a.C. dal poeta Semonide, in cui si delinea un «repertorio di stereotipi misogini diffusi nell’antichità» (p. 4). Nel catalogo, al modello della donna-ape, simile all’ape regina che si prende cura dell’alveare, è contrapposto il modello della donna-asina, incline al pettegolezzo, all’infedeltà e propensa ad oltrepassare i confini dell’oikos, delle mura domestiche. Così, nell’immaginario collettivo, la donna-ape è identificata dalla letteratura antica e moderna, in Penelope, fedele ad Ulisse e al focolare domestico, mentre la donna-asina è rappresentata da Elena, regina di Sparta, che abbandona la casa per seguire Paride, tradendo ad un tempo marito ed oikos.

La donna-asina è associata da Semonide anche alla donna-cagna. Cagne sono, infatti, le donne che disobbediscono all’uomo e cedono all’eros. La stessa Elena, nel VI canto dell’Iliade si definisce «una cagna» (p. 10). Tindaro, descrivendo sua figlia Elena come una svergognata (p. 16), getta le basi della società patriarcale. Per gli autori antichi il sesso femminile è per definizione lussurioso e la donna, pur fingendo ritrosia, in realtà desidera concedersi. Elena, così, è tra le prime a pagare lo scotto di una società che la marchia e la condanna, non concedendole attenuanti o possibilità di riscatto.

Nella società greca arcaica e classica, la donna è relegata nei confini della casa. Mentre l’uomo combatte, la donna governa la casa e non esce mai da sola dalla scena domestica. Nell’Iliade Omero descrive Andromaca come modello di moglie e madre perfetta. Ma l’idilliaco amore coniugale di Ettore ed Andromaca è rotto dalla fuga di Andromaca che corre verso le mura come una pazza (p. 37). Ettore, al suo ritorno, ricorda alla moglie i suoi doveri e la invita a rientrare all’interno delle mura e a dedicarsi alle sue occupazioni: il fuso e il telaio (ibid.). Sarà lui ad affrontare la guerra. Lo spazio pubblico spetta all’uomo, quello privato alla donna. L’esortazione di Ettore diviene simbolo della divisione dei ruoli su cui si basava la società greca e della subalternità della donna al maschio.

La tragedia greca celebra donne sottomesse all’uomo, come Alcesti, che, devota al marito, sacrifica la sua vita per lui (p. 89). Come ben sottolinea Ieranò, per gli antichi Greci, ma in realtà anche per i nostri nonni, il matrimonio non era necessariamente legato all’amore. Esso era solo un contratto che «consegnava al maschio una femmina destinata a procurargli dei figli e a dedicarsi alle faccende domestiche» (p. 91). Nel matrimonio greco la donna è di fatto sottomessa all’uomo. Aristotele sosteneva che l’uomo era per natura superiore alla donna: «L’uno comanda, l’altra è comandata» (p. 92). La donna non poteva sconfinare nello spazio pubblico. O perlomeno non doveva farlo la moglie.

I ruoli femminili nell’Atene del V e IV sec. a.C., infatti, erano molteplici. Il piacere maschile non competeva alla moglie, ma alle etero, donne libere che l’uomo incontrava fuori dall’oikos, nei simposi (p. 93). La cura del corpo era riservata alle concubine, a cui era riconosciuto un ruolo più importante delle mogli. Tradire rientrava nell’ordine naturale delle cose, ma non spettava alla moglie. Al maschio greco non era richiesta una fedeltà uguale a quella della donna. I paradigmi mitologici greci si concretizzano così nella quotidianità: ad Atene la donna è relegata nel gineceo (p. 100), che separa di fattto l’oikos dalla vita pubblica. Senofonte nell’Economico fa emergere il ritratto del modello ideale di moglie che amministra la casa (p. 102): la donna ha il dovere di stare al telaio e la sua educazione spetta al maschio. A lei non serve truccarsi né farsi bella, perché per la moglie non c’è posto per la seduzione (p. 104). Così, mentre il guerriero conquista l’onore, timè, sul campo di battaglia, la donna deve guadagnarsi l’onore sul campo dell’oikos, armata di telaio e fuso (p. 105). A lei compete di essere moglie e madre, mai femmina.

Ieranò descrive Elena e Penelope come accomunate da un destino comune, donne bellissime e contese, che vivono il dramma della guerra. L’Autore concede ad Elena e Penelope di riscattarsi dagli stereotipi a cui le ha condannate la tradizione, l’una modello dell’infedeltà al marito e all’oikos, l’altra modello di devozione assoluta. Ieranò dimostra, in realtà, come sia Elena che Penelope siano tentate dal superare i confini dell’oikos, ma che solo Elena si erge a simbolo di libertà della donna spartana, rispetto a quella ateniese, divenendo icona del riscatto dalla misoginia e dal patriarcato, dei nostri avi e forse anche dei nostri nonni e dei nostri padri. Secondo quanto racconta Pausania, Penelope, si afferma come icona di devozione, nel momento stesso in cui sceglie Odisseo, «coprendosi il volto con un velo» (p. 20), ed esprimendo così il desiderio di sottomettersi al marito. Penelope resta fedele all’aidos, pudore, e all’oikos e anche quando avrà la tentazione di intromettersi in faccende riservate all’uomo quali il mythos, rientrerà nel suo ruolo di moglie e madre, richiamata dal figlio Telemaco.

Elena, invece, no! Non accetta limiti né ricatti e supera i limiti dell’oikos in ogni modo. Nel finale del lamento funebre per Ettore, l’ultima a piangerlo è proprio Elena (p. 39). Rispetto alla prima apparizione nel poema, in cui è una tessitrice silenziosa, ora essa appare come un’oratrice pubblica che critica la società troiana (p. 40). La capacità di Elena di raccontare mythoi la distingue da Penelope. La ribelle Elena si immerge nel ruolo maschile di aedo, rompendo gli schemi e allietando gli uomini riuniti in un banchetto, con un racconto (p. 47). E anche quando, in linea con la tradizione, Elena è rappresentata intenta nella tessitura, l’eroina rompe lo schema, tessendo un manto purpureo, che non raffigura le tipiche decorazioni floreali, preferite dalle altre donne. Elena diventa narratrice e protagonista e sceglie i colori e i temi della sua storia, intessendo le imprese dei Troiani e degli Achei. L’eroina così riscatta se stessa dallo stereotipo di donna infedele, elevandosi a simbolo di emancipazione femminile, liberando le donne di ieri e di oggi da secoli di misoginia e tradizione patriarcale.

Ma il riscatto non è compiuto. La donna ancora oggi, in molti paesi è costretta nei confini dell’oikos ed è richiamata a rientrare in essi, ogni qual volta tenta la corsa oltre le mura. Paesi non democratici come l’Iran, l’Afghanistan, l’India sono oggi espressione di una società patriarcale e misogina che relega le donne al chiuso delle mura, sottomesse al marito o al volere dei padri. Ma anche nell’America e nell’Italia democratica degli anni Cinquanta la concezione della donna era fortemente misogina. Le pubblicità la rappresentavano come sottomessa all’uomo, uno zerbino steso sotto i suoi piedi, servile e ubbidiente mentre portava il caffè a letto, al suo uomo. Icona di casalinga perfetta, la cui massima ambizione era ricevere una lavatrice in regalo, dal marito in carriera. Negli anni Settanta, nel concorso per Miss Italia, il premio riservato alla vincitrice, era un elettrodomestico!

Oggi la nostra società è, probabilmente, ancora riflesso di quella società antica, patriarcale e misogina. Il numero dei femminicidi, in Italia e nel mondo, vede una percentuale alta di donne uccise dai propri partners, spesso quando la donna rompe la relazione, abbondonando la casa coniugale. Non più donna, ma cagna infedele. Ancora una volta, la donna fuori dall’oikos è richiamata ai suoi doveri di moglie e madre e paga con l’onta o la vita, la sua libertà e il desiderio di emancipazione dal padre o dal marito. Abbiamo ancora bisogno di un’Elena che riscriva la sua storia e la storia di tutte le donne che desiderano affermarsi, libere di vivere la propria vita, oltre i confini dell’oikos.

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