Katiuscia Vammacigna, nata e cresciuta a Brindisi, si laurea in Filosofia a Lecce, specializzandosi a Parma, dove insegna per diversi anni. Tornata a Brindisi, si dedica a passioni quali scrittura, teatro, filosofia. Frequenta corsi di scrittura creativa e partecipa a diversi concorsi letterari. Nel 2018 si classifica seconda nel concorso letterario Verso l’altro, promosso dall’associazione Jonathan di Brindisi, con il racconto La mia terra non ha nome. Sempre nel 2018 riceve una menzione di merito per il Premio Letterario Nazionale Città di Mesagne con il racconto Odore di salsedine su Tunisi. Si definisce ironica, appassionata e curiosa di indagare ancora sè stessa e il mondo attraverso la scrittura.

“Io sono corpo e anima” – così parla il fanciullo. E perché non si dovrebbe parlare come i fanciulli? Ma il risvegliato, il sapiente dice: io sono in tutto e per tutto corpo e nient’altro, al di fuori di esso, e anima non è altro che una parola per qualcosa del corpo (F.W. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Bur, Milano 2005, p. 51).

Il tema del corpo ha un posto centrale nel pensiero di Nietzsche e nel Così parlò Zarathustra. Già in Aurora il filosofo prende posizione a favore del corpo. Egli infatti sottolinea come, ovunque abbia dominato la dottrina della spiritualità, si è tenuto in dispregio il corpo, sino a tormentarlo, creando anime cariche di tensione ed oppresse. Ma è nello Zarathustra che il tema del corpo riceve maggiore attenzione. Nel Proemio, infatti, il filosofo sottolinea «come un tempo l’anima guardava al corpo con disprezzo (…). Così pensava di sfuggire ad esso e alla terra» (ivi, p. 28).

Il riferimento ad un passato in cui «l’anima guardava al corpo con disprezzo», è polemico nei confronti di tutti «coloro che abitano un mondo dietro il mondo», e così, per stanchezza, disperano del corpo. Nel capitolo Dei disprezzatori del corpo si trova il nucleo principale del pensiero di Zarathustra sul corpo. Il disprezzare il corpo e il volersi staccare da esso, non può che nascere dall’esperienza del piacere e dal dolore, che attraversano il corpo stesso. Per Nietzsche il pensiero è l’esperienza corporea del piacere e del dolore che dà origine al pensiero. Il corpo è «una grande ragione, una molteplicità con un unico senso» (p. 439). L’io, quindi, è uno strumento e un prodotto del corpo. La ragione del corpo non dice Io, ma fa Io, producendo una pluralità di io (p. 440). Senza corpo non vi sarebbe l’emergere di nessuna di quelle formazioni che denominiamo io, anima, coscienza (p. 446). Il Sé-corpo di cui parla Zarathustra non è identificabile come semplice opposto dell’anima, ma come un campo di forze e di funzioni, una superficie dove si dislocano sia i processi intellettivi che le pulsioni (p. 448). Il Sé-corpo non solo produce io, ma condiziona la vita di questi io sempre diversi, determinando la nascita e la crescita del pensiero (p. 449).

Il corpo di chi è prevalentemente malato decide per la decadenza, per il disprezzo del corpo e per il tramonto negativo; il corpo di chi è prevalentemente sano decide, invece, per la vita, per l’accettazione gioiosa del corpo e per il tramonto positivo. Zarathustra insegna l’oltreuomo, colui che ride e ad accetta l’amore per la terra, questa terra, e per il corpo, questo corpo. Egli incede a passo di danza e insegna a danzare contro lo spirito di gravità: «Scansate tutti questi assolutisti! Essi hanno i piedi pesanti e i cuori afosi: non sanno danzare. Come potrebbe essere lieve la terra per costoro?» (p. 16).

L’oltre-uomo insegna a rimanere fedeli alla Terra e a non credere a quelli che parlano di speranze ultraterrene. Il filosofo francese Gilles Deleuze, nella sua opera Nietzsche e la filosofia, è stato uno dei primi a sottolineare l’importanza del corpo in Nietzsche e in particolare nel Così parlò Zarathustra. La filosofia, infatti, ha per secoli rimosso il corpo, riscattato finalmente nell’opera del filosofo tedesco. Nella lettura deleuziana di Nietzsche ogni ente è mosso da forze che possono essere di due tipi: forze attive e forze reattive o passive. Mentre le forze attive implicano la gioia delle propria affermazione, l’accettazione del molteplice e del tragico, l’affermazione della vita, il riso e la danza, la morale del signore; le forze reattive rappresentano forze esauste, incapaci di dire sì alla vita, che la negano, guidate dalla volontà di obbedire, dal senso di colpa, dalla passività, dal risentimento, dal rilassamento del corpo, trovando espressione nella figura del sacerdote e nella morale degli schiavi.

Nel Così Zarathustra, seguendo la lettura di Deleuze, si possono individuare alcuni elementi simbolo delle forze attive, quali ad esempio, il vento, il coraggio, i piedi leggeri, l’alba, l’eterno ritorno dell’uomo risvegliato la danza, i leoni ridenti, il gioco, il riso, il corpo sano, la guarigione, il canto, la virtù che dona, gli uomini creatori e combattenti, lo spirito di leggerezza dell’uccello in volo, l’esaltazione della terra e del corpo, il fanciullo e l’annuncio dell’oltreuomo. Di contro, metafore delle forze reattive sono la paura, l’ipocondria, lo spirito di gravità dello struzzo, del cammello, dell’asino e della pecora, i cuori afosi, lo zoppicare, la cecità, il sonno, l’eterno ritorno dell’uomo risentito, la raucedine, i piedi pesanti, il pianto e il lamentarsi, la malattia, il corpo infermo, la mediocrità, la virtù che rimpicciolisce, il crepuscolo, la stanchezza mortale, il disprezzo della terra e del corpo. La volontà di potenza di cui parla Nietzsche è la virtù che dona ed essa consiste nel saper trasformare le forze reattive in forze attive e creatrici. La forza esausta è rappresentata dall’uomo fagogitato dalla grande Ragione, incapace ormai di agire. Il riferimento è al no dell’uomo dialettico di Hegel, che non è in grado, con il suo et-et di affermare la propria differenza. Ad esso Nietzsche oppone il sì dell’oltre-uomo, per il quale la differenza è, invece, oggetto di affermazione e godimento, nella terra e nel corpo.

L’affermazione molteplice, differente, è l’essenza del tragico, che trova espressione nella lacerazione del corpo di Dioniso e che per Nietzsche non implica angoscia, perché la vita è tragedia e la tragedia è insita nella vita. Dioniso ci insegna a renderci leggeri, ad imparare a danzare, ad infonderci l’istinto del gioco.  E per questo Nietzsche oppone al nichilismo passivo che svaluta la vita e l’esistenza e che è mosso da risentimento e cattiva coscienza, un nichilismo attivo che esalta un pensiero affermativo che apprezza la vita, la volontà e la gioia creatrice. Il tragico implica il gioioso, il bene e il male, ed è molteplice. L’ultimo uomo, l’uomo superiore, condanna a morte Dio, ma resta un uomo reattivo incapace di creare nuovi valori e di attuare una trasmutazione dionisiaca del dolore in gioia. L’incedere del profeta Zarathustra, che dopo dieci anni di solitudine scende dai monti, è a passo di danza, come un bambino ed un risvegliato, che vuole fare un dono agli uomini ed insegnare loro l’oltreuomo, poiché l’ultimo uomo, l’uomo superiore che ha decretato la morte di dio e di ogni certezza metafisica, è qualcosa che deve essere superato. L’oltreuomo è creatore di nuovi valori, è colui che resta fedele a questa terra, hic et nunc, senza lasciarsi andare a sovraterrene speranze. Egli è un fulmine che deve dare la scossa all’uomo per risvegliarlo alla vita, all’azione e alla creazione.

Bisogna servire il senso della Terra, rimanendo fedeli ad essa e facendo della Terra un luogo di salute. L’uomo è solo una transizione e un tramonto, in attesa dell’oltreuomo. Ma gli ultimi uomini, gli uomini peggiori, non sono ancora pronti per il tramonto. Parafrasando Nietzsche, in una lettura moderna del suo pensiero, appare ancora attuale il monito ad ascoltare le ragioni del corpo e della terra, a concentrarci sulla salute e non sulla malattia. Ma, restiamo ancora noi, gli ultimi uomini, gli uomini peggiori, coloro che hanno ucciso dio, rinunciando ad ogni consolazione metafisica. Siamo ancora noi, inerti davanti a questa vita, a questa terra, a questi corpi travolti da un nichilismo passivo e da una malattia esistenziale, un’ipocondria dell’anima che continua a denigrare la salute della terra e del corpo, negando l’accettazione vitale del tragico. Non siamo ancora capaci di assumerci la responsabilità del nostro destino terreno e non sappiamo più creare, danzare, cantare, ridere e guarire. E così Zarathustra scende ancora una volta dai monti tra gli uomini, per annunciare che l’oltreuomo tarda a venire, sostituito ormai dall’ipocondria di un uomo risentito ed eternamente malato.

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