Marco D'Attoma ha conseguito la laurea presso la facoltà di Scienze politiche nell'Università LUISS Guido Carli a Roma. Dopo aver ottenuto una laurea triennale in Scienze politiche presso l'Università degli studi di Bari, ha completato i suoi studi presso la LUISS svolgendo un corso in Relazioni internazionali con lode. Durante la sua carriera ha collaborato con il centro di ricerca UNU-CRIS specializzato in studi regionali. Dopo una breve esperienza lavorativa in Kenya ha sviluppato una grande passione per le dinamiche africane tanto da sviluppare un forte interesse nella scrittura a livello storico e geopolitico.
La spartizione dell’Africa, o scramble for Africa in inglese, è stato un periodo storico avviatosi negli anni Ottanta dell’Ottocento che ha interessato la maggior parte degli Stati europei nella loro volontà di costruire o ampliare il loro impero coloniale nel continente africano. Il prestigio internazionale, la geopolitica e la corsa alle risorse minerarie furono i motivi che spinsero le potenze europee a guardare verso l’Africa e a spartirne i territori. Queste divisioni avvenivano senza seguire particolari criteri etnici o linguistici, ma semplicemente tracciando delle linee sulle mappe geografiche.
La Conferenza di Berlino del 1884, detta anche conferenza dell’Africa occidentale, stabilì i confini del controllo degli Stati europei sulla costa atlantica. Questa conferenza diede avvio alla spartizione dell’Africa, ma in molti casi la coesistenza tra le potenze imperiali europee non fu del tutto pacifica: in primis va ricordato l’incidente di Fashoda che stava per scatenare un conflitto aperto tra inglesi e francesi. Sebbene la coesistenza tra le potenze fosse un ostacolo, questo non era l’unico: il vero problema erano le resistenze che si trovavano a livello locale e che spesso riuscivano a sottomettere il ricco dominatore europeo o quantomeno a fronteggiarlo. Durante la storia vi sono spesso stati episodi in cui le popolazioni autoctone hanno riservato forti resistenze nei confronti degli occupanti, pensiamo all’Etiopia, al Vietnam e all’Afghanistan (senza la necessità di tornare troppo indietro nella storia). In questi casi la resistenza locale ha portato da un lato ad un rafforzamento delle truppe coloniali, dall’altro ad un incremento dell’odio tra le parti. Nella conferenza del 1884 la Germania ottenne numerosi territori africani tra cui la Namibia, (allora Africa tedesca del Sud-Ovest) un grande Stato situato nell’Africa meridionale sulla sponda atlantica. Questo territorio era considerato importante da parte dell’impero tedesco per la presenza di numerose risorse minerarie, ma la presenza tedesca su tale area non va ricordata per le scoperte minerarie, ma per un altro primato, ovvero per aver commesso il primo genocidio del ‘900 riconosciuto dalla storiografia, ma dimenticato nel corso degli anni.
Sul territorio controllato dal Secondo Reich vi era la presenza di due etnie, quella Herero e quella Nama che inizialmente tollerarono la presenza tedesca sul territorio. La superiorità razziale sostenuta dai tedeschi favoriva comportamenti verso le etnie africane sempre più razzisti e ingiusti, e d’altra parte il risentimento verso i tedeschi incominciava ad affiorare soprattutto quando incominciarono ad essere sottratte numerose terre fertili. In realtà per i tedeschi la nascita di rivolte locali poteva essere un buon pretesto per impossessarsi definitivamente dei territori controllati dagli Herero e Nama, e così fu.
Il governatore dell’Africa tedesca del Sud-Ovest Leutwein favoriva inizialmente la diplomazia e la mediazione tra tedeschi e namibiani al fine di ottenere maggiori vantaggi possibili, ma i coloni volevano provocare lo scontro contro le popolazioni autoctone al fine di avere il pretesto per allontanare gli Herero dalle loro terre ed impadronirsene. A causa di una rivolta avvenuta nel sud della Namibia nel 1903, il governatore fu costretto ad allontanarsi dalla capitale e i coloni tedeschi approfittarono della sua mancanza per avviare una serie di saccheggi, stupri e violenze nei confronti della popolazione. Di conseguenza si innescarono numerose rivolte da parte degli Herero e Nama nei confronti dei coloni tedeschi.
Le rivolte si fecero sempre più violente soprattutto da parte degli Herero, tanto che Guglielmo II, l’imperatore tedesco, decise di incrementare il contingente militare tedesco inviando un plotone sotto la guida del generale von Trotha. La resa degli Herero non bastò a placare il conflitto tanto che da qui si incominciarono a stabilire dei campi di concentramento per punire i soldati prigionieri.
I superstiti della guerra venivano prelevati dai soldati tedeschi e trasferiti nell’area intorno a Vindhoek, l’attuale capitale della Namibia, dove fu costruito il primo grande campo di concentramento del ‘900. I prigionieri furono sottoposti ad un regime di schiavitù, maltrattati e malnutriti. Altri namibiani furono deportati a Swakopmund, una città molto importante per la colonia poiché grande porto e centro industriale, e quindi i prigionieri avrebbero costituito una importante risorsa di manodopera.
Quello che si andò ad effettuare nel periodo 1904-1908 fu una vera e propria pulizia etnica, e parole come odio razziale e campi di concentramento affiorarono nel lessico tedesco molto prima dell’ascesa di Hitler e del nazismo. La resistenza delle popolazioni namibiane fu abbastanza forte, ed avvantaggiate dalla conoscenza territoriale e dalla inesperienza tedesca in territori desertici o semi-desertici rese l’azione militare tedesca molto difficile, cruenta e dispendiosa.
Il rapporto Whitaker delle Nazioni Unite del 1983 per promuovere la prevenzione e la punizione del crimine di genocidio inserisce tale genocidio tra gli 8 verificatisi nel ‘900, e stima che la popolazione herero presente in Namibia sia passata da 100.000 persone presenti sul territorio prima dell’avvento dei tedeschi per ridursi a circa 15.000.
Questo genocidio era stato dimenticato per molto tempo, forse coperto da altre crudeltà succedutesi nel corso della storia, ma negli ultimi anni tale atrocità è riaffiorata grazie ad una causa che i discendenti delle famiglie avevano avviato nei confronti della Germania. Per alcuni il genocidio dovrebbe essere paragonato alla Shoah ma a causa di diversi elementi storici e politici, tra cui anche il dominio sudafricano sul territorio fino al 1990, la questione venne dimenticata.