Sarah Dierna (1997) è dottoranda in Scienze dell’Interpretazione presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania, dove collabora con la cattedra di Filosofia teoretica. Ha pubblicato saggi, articoli e recensioni per varie riviste scientifiche e su volumi collettanei. Nel 2023 ha curato, per Oxford University Press, la traduzione italiana di The Misanthropic Argument for Antinatalism di David Benatar. Del 2025 è la monografia È il nascere che non ci voleva. Storia e teoria dell’Antinatalismo (Mimesis).
Recensione a: A.G. Biuso, Logos. Scritti di estetica e letteratura, Mimesis, Milano-Udine 2025, pp. 444, € 38,00.
Che si tratti di una coniugazione voluta come nella narrativa di Leonardo Sciascia o spontanea come nella potenza letteraria di Borges e Dürrenmatt; che sia l’esito di un’ermeneutica letteraria come accade nel critico Giuseppe Savoca; che avvenga nella forma poetica di Eugenio Mazzarella o alla maniera barocca di Carlo Emilio Gadda, la letteratura è sempre anche filosofia. L’ultimo libro di Alberto Giovanni Biuso, Logos. Scritti di estetica e letteratura, fa trasparire tale connubio a ogni pagina, capitolo e sezione che compone questo ampio volume il quale prosegue, per forma, intenti e disposizione, Chronos. Scritti di storia della filosofia, uscito per la stessa collana di Mimesis nel 2023.
Mentre quest’ultimo testo ha fatto emergere, sia pur in modo variegato e non sempre manifesto, i dispositivi dell’essere, del tempo e della materia che guidano il pensare filosofico dell’autore, gli scritti di estetica, di letteratura e di arti visuali toccano con disincanto e delicatezza la dimensione profonda dell’umano: gli archetipi della guerra e del viaggio, le passioni che lo sconvolgono – prima fra tutte l’amore – la costitutiva solitudine e, sopra ogni cosa, il trionfo della morte. La filosofia e la letteratura «costituiscono tra i modi più profondi per indagare questo nostro abitare, mantenerlo pulito, renderlo forte rispetto alle intemperie che inevitabilmente si infrangono sul vivere» (43).
L’espressione letteraria così come la forza delle immagini – a cui l’autore dedica una sezione visuale – possiedono una potenza evocativa, una capacità comunicativa che rendono anche molte manifestazioni artistiche dei capolavori filosofici attraverso i quali è possibile portare «a evidenza, comprensione e dolore ciò che di più radicale gorgoglia nelle vite»; se c’è una differenza rispetto alla scrittura filosofica più stringente e teoretica, essa risiede nel fatto che nella poesia, nella letteratura e nelle arti visuali «è il mondo stesso che prende la parola, che si fa parola» per mezzo di un linguaggio in cui la forma lirica e narrativa fa «in modo che dei corpimente possano comprendere» (282) così da trasformare il fango dell’esistenza nell’oro della conoscenza che riscatta la vita investendola di una luce che non cancella il principio dionisiaco del mondo ma impara ad accoglierne la necessità e a esprimerla mediante la forma e l’equilibrio pacato di Apollo.
Se le si osserva in modo autonomo infatti, «la vita è irraccontabile e la letteratura è invivibile» (208), un’affermazione che suggella l’inevitabile unità e dipendenza che le tiene insieme. L’esistere è per sua natura un enigma, una presenza della quale si chiede ragione e dalla quale non sopraggiunge mai una risposta definitiva; la parola letteraria si esprime nella forma universale del concetto che non coincide con nessuna vita individuata eppure partecipa di tutte poiché del vivere è capace di cogliere il dolore, la miseria, il limite.
Nel libro, un luogo d’elezione nel quale cogliere tale condizione è sicuramente la Sicilia, la terra metafisica che Biuso ripercorre attraverso lo sguardo e le fotografie di Attilio Scimone filtrata dalla penna acuta, tra gli altri, di autori come Giovanni Verga e Stefano d’Arrigo. In questo lembo geometrico che è l’isola siciliana appare tutto il disincanto di una realtà in cui ciascuno sta solo sul cuor della terra maledicendo il giorno della propria nascita e facendo di tale singolo momento il nucleo tragico dell’intera parabola esistenziale.
Per il siciliano non esiste la speranza di cambiare le sorti di un destino già scritto e soltanto la morte gli si offre come vero riposo. Esperienza, il morire, di cui il tempo è legge e di cui l’amore è anticipazione. Biuso, che al sentimento amoroso dedica in questo libro molte pagine, sostiene infatti che l’oggetto amoroso «è l’entità che ci concilia con la morte e dunque con noi stessi. Anche per questo l’esperienza d’amore è così esaltante» (79) poiché il profilo dell’amato è un simulacro dell’assenza, pertanto amando l’altro ci si avvicina di fatto al nulla verso il quale la morte sancisce il ritorno. Ogni grande pensatore e ogni autentico narratore ci rivelano il meccanismo e l’errore dell’amore riuscendo a sciogliere la tenerezza che inebria l’innamoramento, esaltandone invece le contraddizioni, i dolori e l’abbandono finale. Di questa esperienza così totale e così inconsolabile l’autore dà prova nel racconto che si trova in appendice al volume e nel quale la forma del concetto ritorna di nuovo forma della vita, adesso però saputa.
«La capacità di far emergere la dimensione teoretica della letteratura» (169) è ravvisabile in modo ancora più evidente in alcuni saggi e nella scelta di determinati autori, lo studio dei quali si raccorda, in modo coerente e mai forzato, con le questioni filosofiche per eccellenza, tra queste: il tempo, la materia, l’essere.
Tali argomenti emergono qui all’interno di una narrazione assai diversa, più lirica e poetica, eppure coinvolgente poiché è dell’umano che si parla, di noi enti con una storia, che desideriamo dare un senso alla trama inconsistente e dolorosa della nostra vita, al suo finale tragico. Ritroviamo così in quel capolavoro che è La Recherche di Marcel Proust la potenza del Tempo che plasma demiurgicamente i volti, gli amori e le vicende che coinvolgono il narratore: «Tempo e Opera si mostrano e sono inseparabili poiché l’Opera è il solo modo di ritrovare il Tempo perduto. L’arte riconcilia con il dolore e con la morte» (194).
Le fotografie poi costituiscono forse l’espressione più plastica del tempo che passa e non si guarda indietro avendo come soggetto sempre e comunque ciò che è stato e non è più, mostrando dell’infanzia andata, dei corpi un tempo lucenti delle donne la metamorfosi del divenire che ha l’ultima parola nel morire. È l’istante in cui la storia smette di ripetersi e di ricominciare. Rifacendosi alla poetica di Giuseppe Ungaretti, Biuso osserva infatti come «il naufragio non è dunque un evento, un momento, una situazione. Naufraga è la vita in quanto tale, tutta la vita e non soltanto quella umana» (222) e il massimo della sapienza che si deve sperare da parte dell’essere che del naufragio è consapevole è la piena accettazione di tale finitudine.
Le fotografie di Nicolas Descottes e l’Orca di d’Arrigo danno invece forma a un altro dei dispositivi concettuali del pensiero di Biuso, il primato della materia: «L’energia e il destino di questa entità immensa, distante e solitaria sono l’energia e il destino della materia stessa, che soffre senza dolore» (247). Sorda, refrattaria e insensibile ai suoi cambiamenti, negli scritti di letteratura ed estetica la materia appare soltanto come il riflesso invidiabile e perfetto che non spiega perché la nostra esistenza sia invece così viziata, corrotta e malvagia; hanno provato a capirlo scrittori come Gadda e come Dürrenmatt la cui cognizione del dolore porta a concludere che «è così rassegnato il mondo al proprio male» fino al punto da potere dire che soltanto la presenza della letteratura e dell’arte giustifica il passaggio dell’umano nel cosmo poiché essa «diventa sapienza che oltrepassa l’umano e la catastrofe che la specie rappresenta per il mondo» (338). «La scrittura ci libera dall’assurdo dei giorni e dei sentimenti per trasfigurare giorni e sentimenti nella parola che salva» (202). E infatti Logos, che l’autore ha scelto come titolo del suo libro, significa anche questo: parola. Il concetto teoretico che ha segnato la storia della filosofia dalle origini rimane infine l’Essere.
Nei saggi raccolti in questo libro, la scrittura di Biuso si interessa profondamente alla vita dell’umano; del discorso ontologico rimane ancora la postura filosofica che osserva la realtà complessa nella quale i fatti umani accadono e non una riflessione sistematica sull’essere come concetto. E tuttavia, proprio tale postura dell’autore recupera il concetto fondativo dell’intera tradizione filosofica in un senso heideggeriano più alto. L’essere traspare nel verbo, nella sua casa. Il linguaggio «diventa la ‘casa dell’essere’ nella quale gli umani abitano, sono immersi, comprendono. Non è l’uomo a possedere il linguaggio allo stesso modo in cui si è padroni di un oggetto, uno strumento o anche una situazione, ma è il linguaggio che ‘parla l’uomo’», pertanto «è mediante il linguaggio che» Logos «riesce in qualche modo a pervenire a quella rimemorazione dell’essere» (13).
La parola è il modo che l’umano ha di esprimere il mondo, di immergersi in esso e di riportarlo alla superficie riscattato, sottratto all’enigma che lo avvolge e lo rende difficile, oscuro, a tratti ostile e malvagio, soprattutto mai statico in quanto dissipa sempre tutto ciò che prima ha donato restituendo così al niente ciò che prima gli aveva chiesto in prestito.
Il tentativo di trovare un senso a tale niente che ci dia l’illusione di afferrarlo e quindi di vincerlo è una delle ragioni che rende la letteratura il capolavoro che sempre e ogni volta riscopriamo e fa delle sue opere dei classici immortali e senza tempo poiché capaci, al di là degli stili diversi e delle trame singolari, di attingere ai grandi archetipi universali della vicenda umana. Strutture perenni che, anche quando sono travestite, ritornano di continuo a cogliere con esattezza la nostra storia di esseri tristi e infelici impastati delle polveri di Penteo, fratello di Dioniso, e votati a un destino mortale.
Se la lezione dell’antropologia verghiana di Savoca è ciò che con una magnifica formula il critico letterario ha descritto come ‘la quiete della non speranza’, Biuso ritrova dentro questo mondo senza riscatto la necessità di «riuscire anche a fare della vita un tripudio di colori, di suoni, di gaiezza e di forza. Questo è il sacro, questo è la condizione per sopportare l’esistenza, per farsene carico e per vincerla. La morte arriverà come un sorriso solo un poco amaro» (177).
La letteratura, la fotografia l’arte, compiono tale esercizio di gioia che l’autore riesce intimamente a restituire pagina dopo pagina. Il libro si chiude nella notte di una casa ritrovata, la dimora del proprio posto nel mondo che il lettore ha appreso dopo essere giunto alla fine, con un’immagine metaforica tenera, struggente e perduta per sempre lungo il tempo della vita: la buona poppata di cui gode un neonato tra le braccia della madre. Un’esperienza che lascia nell’infante una sensazione di appagamento «vuota e perfetta» (418); la stessa che il lettore attento di Logos si ritrova tra le mani: la vuotezza dell’infima condizione, l’esistenza vessata e insieme la pienezza della parola letteraria che la fa sembrare invece perfetta nel suo disegno rendendola persino bella, nonostante tutto.