Michele Carbè è laureato in Storia e Cultura dei paesi mediterranei presso l'Università degli studi di Catania. I suoi principali ambiti di studio sono la Storia contemporanea e la Storia delle dottrine politiche.

Recensione a
L. Canfora, Il presente come storia. Perché il passato ci chiarisce le idee
Rizzoli, Milano 2020, pp. 266, € 11.00.

Mai come oggi, soprattutto a causa degli eventi drammatici degli ultimi giorni, nel sentire comune quando si pensa all’importanza della Storia si fa spesso riferimento alla capacità di interpretazione del presente che essa può dare.

Sembrano ormai lontani i tempi del successo editoriale del famoso saggio di Francis Fukuyama, La fine della storia, in cui secondo il politologo statunitense la democrazia liberale assurge anche al compito di eliminare all’interno della società post-moderna i concetti di eroismo, di fama e onore ovvero tutto ciò che è forza trainante della Storia. Sostanzialmente per Fukuyama avviene una vera e propria genesi di nazioni post-storiche, la democrazia liberale crea un uomo nuovo, un ultimo uomo di Nietzsche, che nello slancio verso i diritti “civili” insieme a un accresciuto desiderio di sicurezza (anche sanitaria) si sbarazza della mitopoietica e della Storia.

Un agile libro, di qualche anno fa, dello storico dell’antichità classica Luciano Canfora, mette il luce, invece, come la conoscenza e l’interpretazione del fatto storico possano aiutarci a comprendere meglio la nostra contemporaneità; l’accademico pugliese fa il punto su determinate tematiche quanto mai attuali come democrazia, potere oligarchico,  accondiscendenza degli intellettuali alle èlite politiche.

Il libro dal titolo evocativo Il presente come storia, perché il passato ci chiarisce le idee raccoglie articoli del Canfora apparsi sul “Corriere della Sera”, i quali hanno nel loro insieme un denominatore comune: l’evento storico, anche se lontano, può fare luce sul nostro presente. Nel risalire il fiume degli eventi dalla Grecia di Pericle a Roma imperiale per finire alle tre grandi ideologie del Novecento sono tanti gli insegnamenti che la Storia può dare.

Un esempio di come le fonti storiche dell’antichità possano essere rivelatrici del nostro presente  è il concetto di disumanizzazione del nemico, tale stratagemma così caro alla propaganda di ogni nazione in guerra, affonda le proprie radici già nel mondo classico. La capacità dell’invenzione del nemico, ovvero renderlo  un demone da distruggere sia durante la lotta sia una volta vinto, può essere tranquillamente fatto risalire agli albori della storiografia di Roma con Tito Livio. Innanzitutto bisogna partire dal presupposto che il fenomeno della guerra è centrale nelle società antiche, ogni aspetto della realtà ruota intorno ad esso, la stessa produzione della narrazione storica del tempo si bassa quasi esclusivamente sulla guerra, per Tucidide scrivere storia è soprattutto scrivere della guerra e di quanto le è connesso.

Tornando al libro, viene riportato come Cartagine per i romani:

divenne sul piano ideologico, quindi propagandistico e storiografico il nemico perfetto, portatore di ferocia, slealtà, aridità culturale e la guerra contro tale nemico divenne il prototipo della guerra giusta; e la condotta romana il prototipo della moderazione, dell’equilibrio, della lealtà (p. 101).

In definitiva il modo di ragionare dicotomico, in cui l’altro rappresenta la negazione dell’umanità stessa non  appartiene soltanto alla nostra epoca, al contrario è stato usato sempre utilizzato dal potere politico per compattare il fronte interno pro aris et loci.

Un altro concetto molto in auge in epoca contemporanea è sicuramente quello di democrazia, ogni regime cerca di autodefinirsi democratico e custode e difensore dei veri valori democratici. L’archetipo della democrazia rimane senza dubbio il governo ateniese di Pericle, ovviamente una storia comparata tra la democrazia di Pericle e le  democrazie liberali postmoderne è impossibile da tentare però alcuni aspetti del passato ancora una volta possono aiutarci a capire le varianti le ambiguità dei regimi democratici odierni.

Nell’antica Grecia la lotta per il potere politico era un affare tra le grandi famiglie ateniesi e lo loro clientela, così in base a come si risolveva il conflitto politico si poteva avere una forma di governo oligarchico o tirannico. Durante il sesto secolo avanti Cristo e soprattutto con Pericle, grazie alla possibilità di accesso ai diritti politici anche da parte della popolazione più povera si ha un cambiamento dello status quo, lo storico Tucidide, vicino a Pericle, descrive il padre della democrazia come un Princeps che guida la città di Atene e il suo popolo senza demagogia. Una cosa è certa, come ci viene suggerita dalle fonti storiografiche del tempo, tanto Pericle, quanto Nicia o Cleone sono esponenti delle classi ricche o nobili di Atene, essi accettano un regime di governo che nella forma è retto dal popolo ma nella sostanza rimane nelle mani delle èlite economiche e aristocratiche.

Le odierne democrazie liberali autocelebratesi come palingenesi della democrazia di Atene hanno anch’esse alcune varianti e ambiguità che il professore Canfora mette in evidenza nel suo libro e citando il costituzionalista Zagrebelsky annota: «la democrazia è un sistema di governo molto compiacente. Può ospitare tante cose, senza abbandonare il suo nome» (p. 76). In effetti il continuo svuotamento del potere legislativo parlamentare delle democrazie occidentali a discapito di esecutivi sempre più forti viene alimentato da una crescente insicurezza della popolazione, a cui è dato il palliativo della potenza salvifica della tecnica in ogni ambito della vita sociale. L’effetto esplicito di tutto ciò è l’astrazione del processo democratico e l’abbandono nei programmi governativi dello sviluppo dei diritti sociali.

Degno di nota nel testo è anche il capitolo dedicato agli intellettuali arruolati tra le file del potere costituito, ancora una volta sono tante le cronache del passato che raccontano come molti uomini di cultura abbiano subito la fascinazione del potere. L’intellettuale dovrebbe avere il compito primario di comprendere il fatto storico addirittura già nel suo farsi ma spesso accade che si  cade in contraddizione rimanendo appunto rapito dal potere del capo carismatico. Un esempio riportato da Canfora è quello di Teopompo che descrive Filippo il Macedone come «un perfetto criminale eppure ravvisa in lui[..] l’uomo più grande che l’Europa abbia prodotto» (p.148).

In conclusione, come  magistralmente decritto da Benedetto Croce in La Storia come pensiero e come azione, solo il giudizio storico che  libera lo spirito dalla stretta del passato e puro qual è e superiore alle parti in contrasto. La storiografia, quindi, non solo deve ricostruire il passato grazie alle fonti storiche, ma deve sempre calarsi nel contesto perché le interpretazioni non sono mai univoche; anzi proprio le pluralità di interpretazioni del fatto storico ci permettono di conoscere il passato nel suo insieme e capire di conseguenza anche il presente. Il libro merita di essere letto perché ci mette a disposizione degli strumenti per evitare di cadere nella trappola di percepire il mondo in modo biunivoco suddiviso tra buoni e cattivi, solo in questo modo la conoscenza e lo studio della storia ci consentono di avere una coscienza critica, lontana dalla propaganda delle parti.

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