Damiano Bondi (1985) è dottore di ricerca in filosofia. Attualmente è assegnista di ricerca di Filosofia morale presso il Dipartimento di Economia, Società, Politica dell’Università degli Studi di Urbino. Svolge anche attività di ricerca presso la Fondazione Centro Studi Campostrini di Verona. Tra le sue pubblicazioni: La persona e l'Occidente. Filosofia, religione e politica in Denis de Rougemont (Milano, 2014); Fine del mondo o fine dell'uomo? Saggio su Ecologia e Religione (Verona, 2015); Etica per la persona. Natura, libertà, felicità (Milano, 2023).

  1. La prima guerra mondiale, o l’ultima guerra

Come illustrazione delle dinamiche del mimetismo e della tendenza all’estremo di cui stiamo parlando, si considerino gli eventi che portarono allo scoppio della Prima guerra mondiale, così come li racconta uno dei più celebri storici e divulgatori di storia italiani contemporanei, Alessandro Barbero. Egli traccia, più o meno consapevolmente, una vera e propria fenomenologia del mimetismo strategico, il quale, come un meccanismo implacabile, una volta innescato, segue una propria inesorabile logica, e tende all’estremo nonostante la volontà dei soggetti implicati:

  • «Il 3 luglio [1914] ci sono i funerali di Francesco Ferdinando. Il 4 luglio l’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe scrive al Kaiser Guglielmo dicendogli in sostanza “vedi che così non si può andare avanti […] la Serbia è un focolaio criminale, va punita anche se la Russia la protegge” […] Il 5 luglio il Kaiser risponde al suo collega austriaco dicendogli “andate avanti, state tranquilli. Se la Russia dovesse intromettersi, la Germania è con voi”. Ma aggiunge anche: “state davvero tranquilli, siamo sicuri che la Russia non avrà il coraggio di intromettersi, starà fuori”. È la prima scommessa. Questa è una storia di scommesse, tutte sbagliate. Le guerre scoppiano non perché qualcuno le vuole; non le vuole mai nessuno le guerre. Le guerre scoppiano perché qualcuno fa una scommessa sbagliata. […]
  • Ora, la Russia ha un’alleanza con la Francia. […] Quando i tedeschi scommettono che non ci sarà la guerra mondiale (la guerra piccola dell’Austria con la Serbia invece va benissimo, anzi ci vuole), stanno scommettendo che non ci sarà la guerra contro Russia e Francia, perché il rischio è quello. Come mai corrono questo rischio? […]
  • Com’è l’Europa in quel momento? L’Europa del 1914 sta vivendo una fase di prosperità ed espansione economica. Stanno crescendo tutti. […] Questa Europa è così interdipendente che sembra incredibile che possa scoppiare una guerra tra queste potenze. Eppure, al tempo stesso, tutti questi paesi, anche l’Italia, sono armati fino ai denti, hanno tutti delle spese militari di un livello paragonabile a quelle americane di oggi. […] Hanno paura gli uni degli altri. […] E tutti si armano per sopravvivere. Nessuno si immagina di essere l’aggressore, sono sempre gli altri gli aggressori. “Noi siamo minacciati, dobbiamo essere forti”. […]
  • In quegli anni escono libri che parlano della “prossima guerra”: è uno scenario prevedibile. […] Gli anni che precedono il ‘14 sono anni di “corsa agli armamenti”, in cui ogni paese, non perché voglia aggredire qualcuno, ma perché preoccupato per la sua sicurezza, rafforza il suo esercito. Nell’agosto del 1913, dieci mesi prima dell’attentato di Sarajevo, in Francia passa una legge per cui il servizio di leva viene innalzato da 2 a 3 anni […] Cosa dicono i tedeschi di fronte a questo? “I francesi vogliono fare la guerra, ci minacciano”: è una reazione molto comprensibile, che i politologi hanno studiato. Si chiama il paradosso della sicurezza: “Io voglio essere più sicuro, quindi mi armo. I miei vicini si spaventano, si sentono meno sicuri di prima, quindi si armano anche loro”, e così via e così via. […]
  • Nell’aprile 1914 si viene a sapere che la Russia e l’Inghilterra stanno negoziando un accordo navale. L’Inghilterra non ha alleanze, ma adesso sta cominciando dei colloqui con la Russia. A Berlino dicono “Abbiamo già la Russia e la Francia alleati contro di noi nella prossima guerra, quando verrà. Se anche l’Inghilterra dovesse allearsi con loro, per noi la situazione peggiora”. Il 1° giugno 1914 il comandante dell’esercito tedesco von Moltke dichiara: “ora siamo pronti, e prima è meglio è”. Mancano quattro settimane all’attentato di Sarajevo. L’ha organizzato von Moltke l’attentato di Sarajevo? No, evidentemente. Esso è il catalizzatore che fa venire fuori tutte queste cose che sono state lì a bollire per anni. […]
  • A Vienna stanno preparando un ultimatum da mandare alla Serbia. Manderanno un ultimatum durissimo, perché non vogliono che i serbi lo accettino. Gli austriaci vogliono la guerra, e hanno un assegno in bianco della Germania. I tedeschi fremono con Vienna, “fate in fretta, mettete il mondo davanti al fatto compiuto. Prima fate meglio è. I russi non oseranno intervenire”. […] Finalmente, il 23 luglio, quasi un mese dopo, l’ultimatum è pronto, e viene consegnato al governo serbo. […] Il 24 luglio le capitali di tutto il mondo si svegliano con la notizia di questo ultimatum, e l’ultimatum viene accolto malissimo. A Pietroburgo il ministro degli esteri russo convoca l’ambasciatore austriaco e gli dice: “ma voi volete fare guerra alla Serbia? State appiccando il fuoco all’Europa. Sono i tedeschi che vi aizzano? Vi assumete una grande responsabilità”. E uno: per i Russi la responsabilità è di Vienna. Ne vedremo tutta una serie di queste frasi “vi assumete voi la responsabilità”, questa è solo la prima. […]
  • C’è un aneddoto rivelatorio. 1910, un generale inglese molto amico dei francesi, Wilson, sta parlando con un generale francese, Foch, e gli dice: “se scoppia la guerra, ammesso che veniamo ad aiutarvi, quale sarebbe il numero minimo di soldati inglesi che potrebbe davvero essere d’aiuto alla Francia?” E Foch risponde: “un solo soldato inglese, e noi faremo in modo che venga ucciso; perché quello che conta è che l’opinione pubblica inglese sia mobilitata per una causa”. […]
  • Il 25 luglio arriva la risposta serba all’ultimatum: i serbi accettano quasi tutte le condizioni. Intanto però i serbi rivolgono un appello allo Zar, per essere sicuri che lo Zar di Russia li sosterrà se saranno aggrediti. Lo Zar risponde ai serbi: “potete contare su di noi”. Quel giorno lo Zar prende una decisione simbolica (anche le cose simboliche contano in politica): tutti gli allievi ufficiali dell’ultimo anno che si trovano in Russia sono promossi ufficiali, lo stesso giorno alla stessa ora. L’ora in cui scade l’ultimatum austriaco alla Serbia. […]
  • 26 luglio: l’Austria respinge la risposta serba. Avendo respinto la risposta, vuol dire che farà la guerra. […] A questo punto la guerra è sicura, almeno tra Austria e Serbia. Ora, per fare la guerra, questi paesi devono per prima cosa “decretare la mobilitazione”. Il paese è pieno di ragazzi e uomini che hanno fatto il servizio militare negli anni passati e che possono sempre essere richiamati se scoppia la guerra. […] È una cosa estremamente complessa: si tratta di richiamare milioni di uomini, vestirli in divisa, riarmarli, organizzare i reparti e metterli sui treni che li porteranno alla frontiera. Il tutto secondo dei piani minuziosamente calcolati. La mobilitazione tedesca, calcolata al minuto secondo, prevede lo spostamento contemporaneo di 11.000 treni. […] Ci sono differenze tra un paese e l’altro: ci sono paesi che sono lenti a mobilitare, ad esempio la Russia, che è immensa e con poche ferrovie. Ci mette mesi a mobilitare l’esercito. Quindi la Russia non può permettersi di aspettare, deve mobilitare in fretta. Il primo paese che comincia a parlare di mobilitazione, il 26 luglio, non è l’Austria, che sta per fare la guerra alla Serbia. […] Il primo paese che comincia a parlare di mobilitazione è la Russia, che sa che ci metterà tanto tempo.
  • Quello stesso 26 luglio in cui l’Austria respinge la risposta serba, pur molto moderata, all’ultimatum, il cancelliere tedesco avverte il governo russo: “attenzione, perché se la Russia mobilita, allora ci minaccia, ma se noi siamo minacciati, allora dobbiamo mobilitare anche noi. Guardate che se noi tedeschi mobilitiamo, è la guerra. Ma non possiamo ammettere che la Russia voglia scatenare una tale guerra europea. E due: per i tedeschi, la responsabilità è dei russi, sono i russi che devono fare un passo indietro e non mobilitare. […]
  • 28 luglio, colpo di scena. Il Kaiser torna dalla crociera e gli fanno leggere la risposta serba all’ultimatum austriaco; il Kaiser dice “benissimo, è tutto quello che volevamo, anzi perfino di più. La riposta serba elimina ogni motivo di guerra”. La gioia del Kaiser quando scopre questa cosa è il primo sintomo che i tedeschi […] non sono poi così sicuri di volerla fare questa guerra. […] Peccato che quello stesso giorno stesso l’Austria dichiari guerra alla Serbia. […]
  • Il 29 luglio la Russia comincia i preparativi di mobilitazione, cioè esattamente la cosa che i tedeschi hanno detto loro di non fare perché sennò è la guerra. La Russia mobilita perché ha paura, e neanche i russi vorrebbero fare la guerra, come si scopre da un altro episodio che comincia questo 29 luglio e che è molto curioso, anch’esso tipico di questa strana epoca. (L’Europa di questi anni è veramente strana: è sospesa tra la democrazia parlamentare liberale e l’arcaismo di imperi dinastici dove imperatori e re hanno ancora potere…). Il 29 luglio comincia la storia dei telegrammi di Nicky a Willy e di Willy a Nicky. Lo Zar Nicola manda un telegramma al Kaiser in inglese – questo anche è molto significativo, dà l’idea di cosa ormai è l’Inghilterra. […] Tenete conto, per apprezzare la situazione, che lo Zar Nicola, l’imperatore Guglielmo e il re d’Inghilterra Giorgio sono cugini di primo grado, tutti nipoti della regina Vittoria. Si danno del tu e si chiamano col diminutivo. Dunque, lo zar di Russia il 29 luglio manda un telegramma al Kaiser: “Sono contento che tu sia tornato dalla crociera, il momento è serio e ho bisogno del tuo aiuto. Una guerra ignobile è stata dichiarata contro un paese debole. In nome della nostra vecchia amicizia, ti prego di fare tutto quello che puoi per fermare i tuoi alleati, cioè gli austriaci” Firmato: Nicky. Il Kaiser risponde lo stesso giorno sempre in inglese, dicendo di guardare le cose dall’altro punto di vista: “la Serbia è uno Stato terrorista, l’Austria ha diritto di intervenire e così via, fate voi russi un passo indietro…” Firmato: Willy. Si scrivono per 4 giorni, una dozzina di telegrammi, Nicky a Willy e Willy a Nicky. Fino al 1° agosto, quando Willy dichiara guerra a Nicky. […]
  • 29 luglio: i tedeschi sono furibondi contro questi stupidi russi che non hanno capito che mobilitando provocano la guerra. Il generale von Moltke: “la Russia si è schierata a fianco di un paese criminale, di un paese di terroristi. Così comincerà lo sbranamento reciproco degli stati civili europei”. […] Però bisogna comunque farla questa guerra, perché nessuno si vuol tirare indietro. Qui viene fuori anche un tratto quasi schizofrenico di questa classe dirigente, che in realtà ha chiarissimo che questa guerra sarà una catastrofe, però al tempo stesso “non ci si può tirare indietro”, perché si perderebbe la faccia. “Lo facciano gli altri un passo indietro, noi no”. […]
  • Il ministro degli esteri inglese Grey chiama l’ambasciatore tedesco Lichnowsky e gli dice: guardate che se la guerra scoppia noi non possiamo restare fuori, entriamo in guerra anche noi a fianco dei nostri amici. Grey dice anche una cosa che in questi giorni vanno ripetendo tutti, quasi un’ossessione: se la guerra scoppia sarà la più grande catastrofe che il mondo abbia visto, […] perciò pensateci bene a Berlino. E tre: per gli inglesi, la responsabilità di tutto è a Berlino, è lì che devono fare un passo indietro. […]
  • La reazione tedesca è incontrollata: il Kaiser annota “Grey è una volgare canaglia, gli inglesi sono dei farabutti, l’Inghilterra si assume ora l’intera responsabilità di una guerra mondiale. E quattro: per i tedeschi la responsabilità è degli inglesi. Il 30 luglio alle 3 del mattino il cancelliere tedesco chiama Vienna e dice: “ma non avete capito niente, volete davvero fare la guerra alla Serbia? Andateci piano, rallentate, la Germania non intende farsi trascinare in una guerra assurda per colpa dell’Austria”. E cinque: per i tedeschi, adesso, la responsabilità è a Vienna. Però, nel frattempo, siamo ormai al 30 luglio, e la Russia, finiti i preparativi, ordina la mobilitazione generale.
  • […] Tutti hanno la sensazione che stia succedendo una cosa che nessuno voleva, e che non si riesce più a impedire. Al Consiglio dei Ministri, il cancelliere tedesco Bethmann-Hollweg dice: “tutti i governi, compreso quello russo, e la maggioranza dei popoli erano per sé stessi pacifici, ma il sasso ha cominciato a rotolare”. Che è una bella definizione di resa della politica. Il sasso rotola, e noi non sappiamo più cosa fare.
  • la Germania non mobilita ancora, ma manda un ultimatum alla Russia: “se entro mezzanotte sospendete la mobilitazione bene, altrimenti è la guerra”. […] Tutto precipita: il 1° agosto la Germania dichiara guerra alla Russia. È la prima dichiarazione di guerra tra grandi potenze. Perché la Germania dichiara guerra? Perché è la prassi: abbiamo mandato l’ultimatum ai russi, i russi non hanno sospeso la mobilitazione, perciò dobbiamo dichiarare guerra. […]
  • Prima di invadere il Belgio, però, bisogna rispettare le forme, dare l’ultimatum. Il 2 agosto arriva un telegramma a von Below-Saleske (ambasciatore tedesco in Belgio): “Porta l’ultimatum al Belgio facendo finta che sia appena arrivato”. Ce l’ha lì da vari giorni. L’ultimatum al Belgio è un cumulo di bugie. Avete visto com’è complicato e al tempo stesso paurosamente semplice l’itinerario che porta alla guerra. I tedeschi rimangono convinti che per dichiarare guerra e comunicare un ultimatum a qualcuno bisogna avere dei pretesti, delle scuse, quindi dicono ai belgi “sappiamo da fonte sicura che la Francia sta per invadere il Belgio; noi tedeschi per la nostra sicurezza dobbiamo entrare in Belgio, ma non vorremmo che i belgi lo interpretassero come un atto di ostilità”. Quella sera a Berlino, a casa di Bethmann-Hollweg, si prepara la dichiarazione di guerra alla Francia. L’ammiraglio della marina dice “ma perché dobbiamo dichiarare guerra alla Francia? Aspettiamo che lo facciano loro!” Gli spiegano che secondo le regole bisogna fare così. Anche la dichiarazione di guerra alla Francia è un cumulo di bugie: aerei francesi hanno sorvolato la Germania, gettato bombe e ucciso civili e così via… Anche quando si fa la politica di potenza c’è il bisogno di aggrapparsi a qualcosa, per l’opinione pubblica forse… mi torna in mente Powell all’ONU con la provetta delle armi batteriologiche di Saddam Hussein…[…]
  • Quella sera un diplomatico americano a Bruxelles annota sul suo diario: “che strano, fino a qualche giorno fa si parlava tanto della Serbia, adesso non ne parla più nessuno, è come se se la fossero tutti dimenticata”.
  • 3 agosto: la Germania dichiara guerra alla Francia. Grey strappa alla camera dei comuni – il primo parlamento che entra in gioco e fa qualcosa in questa crisi gestita solo dai governi e dai sovrani – l’autorizzazione a mandare ai tedeschi un ultimatum. Se invadono il Belgio è la guerra.
  • 4 agosto: i tedeschi invadono il Belgio. L’ambasciatore inglese arriva con l’ultimatum dal cancelliere Bethmann-Hollweg, senza sapere che quel mattino i tedeschi hanno già cominciato l’invasione. […] Il cancelliere, quando arriva l’ambasciatore inglese, gli fa una scenata dicendogli “ma come? voi inglesi, un popolo germanico come noi, ci colpite alle spalle per la garanzia che avevamo dato al Belgio della sua neutralità? Voi ci fate questo, vi assumete questa responsabilità, e tutto per un pezzo di carta” […]»[1]

Gli eventi sembrano susseguirsi secondo un copione di una tragedia già scritta, i cui protagonisti sono come passivi di fronte a una fatalità superiore, un logos bellico che li soverchia e che, a mo’ di spirale, ripropone le stesse dinamiche di reciprocità ma ad un livello sempre più grande di pericolosità e di scala di influenza, cioè sempre più estremo. Barbero ragionevolmente non conosce le teorie di Clausewitz, Girard o Guitton, eppure ricava dalla cronaca degli eventi reali del mese che precede la Prima guerra mondiale gli stessi elementi che tali studiosi riconoscono come strutturali della guerra in quanto tale. Ho scelto di rendere in corsivo quei passaggi che sarebbero potuti essere stati scritti, allo stesso modo e invariabilmente, dagli autori che stiamo trattando. C’è veramente tutto: i tentativi di dissimulazione reciproca, le differenze tra paesi che lungi dal rallentare l’escalation finiscono per concorrervi, gli scambi affannosi per scongiurare quello stesso pericolo che pure si è provocato, la ricerca della sicurezza interna che diventa minaccia se vista dall’esterno, la volontà di ognuno di scaricare la colpa e la responsabilità sugli altri, la preoccupazione di avere il consenso dell’opinione pubblica (addirittura con la ricerca del capro espiatorio), il pretesto iniziale che viene presto dimenticato di fronte al montare degli eventi… Se mai ci fosse bisogno di una prova che le dinamiche della reciprocità psichica collettiva sono operanti in profondità nell’essenza stessa della guerra, eccola. Allo stesso tempo, ho scelto di riportare in corsivo anche alcuni passi che testimoniano uno snodo storico fondamentale, nel senso che la Prima guerra mondiale si situa su una soglia epocale tra la guerra come istituzione sociale e qualcosa che “non è più” guerra in senso stretto. Nella Prima guerra mondiale, infatti, vigono ancora delle leggi di guerra, c’è ancora un diritto di guerra riconosciuto da tutte le parti in gioco, tale per cui alcuni “pezzi di carta” hanno un valore. Oggi ci sono, certamente, organismi giuridici sovranazionali (La Corte penale internazionale o il Consiglio di Sicurezza dell’ONU) che si occupano di punire alcuni “crimini di guerra”, stabiliti in documenti quali le Convenzioni di Ginevra, ma a partire dalla Seconda Guerra Mondiale sembra essere venuta meno la convenzione non firmata fondamentale per individuare uno “stato di guerra”, e quindi anche dei crimini: ovvero la dichiarazione.

Ormai la guerra, come l’amore, non si dichiara più.

(fine seconda parte)

NOTE

[1] A. Barbero, Come scoppiano le guerre? La prima guerra mondiale, Festival della Mente, Sarzana 2014 [audio online https://www.festivaldellamente.it/it/152-Come-scoppiano-le-guerre-La-prima-guerra-mondiale/; sbobinatura e corsivi miei].

 

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