Stefano Berni (1960) è docente di Filosofia e scienze umane nei licei. È stato professore a contratto presso la cattedra di Filosofia del diritto dell’Università di Siena, assegnista e dottore di ricerca. È tra i fondatori e nel comitato scientifico della rivista “Officine filosofiche” dell’Università di Bologna e Presidente della Società Filosofica Italiana di Prato. Le sue ultime pubblicazioni sono: Potere e capitalismo. Filosofie critiche del politico (Pisa 2018); Etiche del sé. Foucault e i Greci(Firenze 2021); L'alchimia del potere. La filosofia politica di Hannah Arendt (con Antonio Camerano; Milano 2022).
Recensione a: S. Cacciari, La finanza è guerra, la moneta è un’arma, La casa Usher editore, Firenze 2023, pp. 300, € 28,00,
Allo stesso modo con cui gli uomini nel paleolitico si fronteggiavano tra tribù per predare, combattere, derubare, così oggi si comportano gli uomini della finanza, almeno stando alla lettura antropologica che se ne ricava leggendo l’insolito e drammatico libro di Silvano Cacciari. La logica del mercato e dei suoi attori principali (economisti, finanzieri, brokers, speculatori) rispondono alle stesse dinamiche tipiche di un comportamento neotribale in cui conta solo vincere. Non si tratta di un semplice gioco, come vorrebbero farci credere gli stessi finanziatori, utilizzando il termine “giocare in borsa”. Nel gioco infatti c’è un aspetto ludico, divertente, dove si può perdere tutto ma non la vita stessa. Nella finanza attuale invece il gioco si fa duro, non ha regole ben definite ma tutto è permesso, tanto che la finanziarizzazione assomiglia più ad una guerra che, appunto, a un semplice gioco.
Cacciari non è tanto scandalizzato nel descrivere la realtà cruenta che soggiace dietro la finanza, quanto è preoccupato che tutto questo fenomeno è perlopiù sottaciuto, invisibile, almeno nella sua manifestazione, e poco conosciuto, benché dall’economico dipenda ormai la vita di ciascuno di noi e non solo dei giocatori. Infatti, se nella guerra (almeno classicamente intesa) o nel gioco giocano persone le quali rischiano personalmente, qui il rischio di perdite economiche ingenti, che mettono in ginocchio l’economia mondiale, riguarda tutti. La finanza attuale svolge una guerra di alcuni scommettitori contro altri, i quali però investono capitali spesso non più riconducibili a loro stessi come semplici privati, pur decretando la sorte di interi stati e la vita di milioni di cittadini. La guerra tra stati militarmente intesa, si è spostata sul fronte finanziario, o meglio, non vi è più un discrimine tra guerra e finanza, ma gli stati possono intervenire militarmente laddove la guerra economica si avviasse verso una crisi finanziaria. Probabilmente i governi non rispondono, o forse non hanno mai risposto, al proprio popolo attraverso la rappresentanza, almeno per decidere di fare una guerra ma, come ricordava Marx, sono comitati di affari privati, oggi però sovra-nazionali, che determinano, sulla base dei propri interessi, le sorti dell’umanità. Sintomatico fu l’inizio della prima guerra mondiale decisa tra tre cugini di sangue reale i quali non sapevano più come fare per arricchirsi e come rispondere a crisi nazionali interne. Potremmo spiegare così le recenti guerre esplose in Ucraina e in Palestina. Machiavelli spiegava al principe che, quando ci sono sommosse interne, è consigliabile sempre ricorrere ad un conflitto con un nemico esterno.
Dietro questo tribalismo, descritto lucidamente da Cacciari, non vi sono più ideologie di una volta, come il nazionalismo, il fascismo, il comunismo, la religione ma il mero dato economico, la ricchezza per la ricchezza. Silvano Cacciari è fin troppo buono nel ricondurre tali pratiche di potere a fenomeni di per sé, certo, neotribali, ma le intenzioni, i moventi che agitano questi attuali uomini non sono la mera sopravvivenza, la difesa del territorio, la difesa dei propri simboli culturali, che avrebbero ancora una certa dignità e spiegherebbero antropologicamente l’agire umano, ma semplice avidità e volontà di potenza. Siamo insomma entro un paradigma neocapitalistico tardo moderno e occidentale che secondo me, diversamente dall’Autore, andrebbe spiegato ricorrendo ancora alla weberiana interpretazione del protestantesimo. Certo, non siamo più al puritanesimo seicentesco sebbene secolarizzato; il nichilismo della post-verità ha aperto scenari nuovi; tuttavia, se sulla moneta americana, giustamente riprodotta in parte sulla copertina del libro di Cacciari, vi è scritto “In God We Trust”, è evidente che, simbolicamente e non solo, è quella moneta a diventare il totem feticistico da adorare nelle società neotribali. Siccome gli individui neoliberali adorano tutti lo stesso totem, siamo ormai di fronte ad una sorta di universalismo imperante in cui non vi sono più società e comunità. Si è realizzato il desiderio della Thatcher: «non esistono società ma solo individui».
Come mette bene in luce Cacciari, per questi liberali non esistono comunità, esistono solo alleanze più o meno durature che ricordano per certi versi un vago tribalismo, almeno nelle intenzioni: predare e raccogliere. Tuttavia, nel mercato, i tradimenti, le delazioni, i lupi solitari proliferano. Gli accordi reggono finché c’è un fine comune, altrimenti si cambia investimento, si inganna, si svende, si riduce sul lastrico: vince, come nel Monopoli, chi ha comprato tutto. Non è una guerra vera e propria, perché non c’è scontro fisico, pure se gli effetti possono risultare lo stesso devastanti. In questo senso Cacciari sottolinea giustamente che questo neotribalismo è edulcorato, femminilizzato rispetto al tribalismo classico, nel senso appunto che non prevede uno scontro fisico e violento, almeno tra gli economisti. Essi, pur guidando ormai intere nazioni, si guardano bene dall’apparire, ma muovono i fili non solo dell’economia, salvo intervenire come salvatori della Patria per sanare i debiti che loro stessi hanno contribuito a creare. Questo semplice richiamo all’economico ricorda le aspre critiche, da Tocqueville a Nietzsche, da Arendt a Schmitt, circa la riduzione della vita pubblica alla sola sfera affaristica e privata: «Se, come affermava Schmitt, sovrano è chi decide sullo stato di eccezione», indubbiamente, scrive Cacciari, oggi questo sovrano «è la finanza».
Anche se tutti i valori sono scomparsi, dalle ideologie alla politica, in questa «condizione barbara e selvaggia» l’individuo neotribale permane e regredisce entro una cornice feticistica che è il dio denaro. Ricordiamo en passant che il feticismo è considerato dagli antropologi una fase iniziale dell’evoluzione sociale. Forse occorrerebbe tornare ad un sano tribalismo, lo dico sarcasticamente, mandando in guerra chi realmente guida le nazioni, come accadeva un tempo con i re alla testa dei propri eserciti. Allora si potrebbe davvero vedere e capire chi è amico e nemico, almeno nei termini esposti da Schmitt, il cui pensiero è ripreso da Cacciari per mostrare però che oggi la coppia amico/nemico ha cambiato di senso, mancando il riferimento al territorio e all’ordinamento politico, ma ridotta a semplice gioco delle parti, rinvenibile ovunque nella sfera umana, pure nel neotribalismo economicistico. Nella finanza mondiale, infatti, i gruppi si aggregano e si disgregano facilmente e continuamente sulla base dei propri interessi contingenti e variabili utilizzando spazi virtuali e “non naturali” (non-luoghi) dove è possibile sconfiggere un possibile nemico senza neanche più vederlo negli occhi in una «guerra finanziaria ormai permanente e senza limiti» i cui confini tra guerra reale e guerra finanziaria sono labili e incerti e dunque facilmente attraversabili.