Marco Palladino (1993) è laureato in filosofia, presso l’Università Federico II di Napoli, con una tesi dal titolo Trascendenza e malum mundi. Karl Jaspers e Alberto Caracciolo. I suoi interessi di studio si rivolgono principalmente al rapporto tra filosofia e religione e tra filosofia e cinema. Di particolare interesse per la sua ricerca il dialogo con l’Oriente, come testimonia il saggio scritto per la rivista «Studi jaspersiani» sul rapporto tra Dōgen e Jaspers.

Nel panorama filosofico italiano, Marcello Ghilardi, facendo sua la lezione dei maestri Giangiorgio Pasqualotto, pioniere degli studi di filosofia comparata in Italia, oltre che studioso di Nietzsche, e François Jullien, tra i più grandi filosofi viventi, si presenta come il filosofo che ha posto maggiormente in luce la necessità di un pensiero inter-culturale capace di oltrepassare la stantia subordinazione dei pensieri di Oriente ai pensieri  d’Occidente. La filosofia inter-culturale praticata e proposta da Ghilardi intende decostruire la stantia dicotomia tra pensiero orientale e occidentale.

Un pensiero, quello inter-culturale, il quale, come suggerisce la parola stessa, non indugia in facili concordismi che annullano le differenze specifiche, ma si prefigge di gettare fra i differenti domini culturali ponti sottili, preservando nel seno della relazione una soglia, uno spazio di mezzo che consente il passaggio e, allo stesso tempo, preservi la distanza, scongiurando, in questo modo, da un lato il monismo che riduce la specificità delle categorie linguistico-concettuali altrui alle proprie, dall’altro il dualismo, il quale pone in assoluta contrapposizione la Weltanschauung orientale e occidentale. Si tratta, come nella relazione etica fra il sé e l’altro, di accostarsi all’alterità non per svelarne il mistero, ma per proteggerlo, facendo coesistere unità e differenza, intimità ed estraneità.

In quest’opera del 2019, La radice del sole, attraverso l’analisi di dieci parole chiave della lingua giapponese, il filosofo permette al lettore di addentrarsi nel mondo nipponico, il quale, proprio come una donna dalla bellezza misteriosa, affascina e respinge, ribadendo così uno dei punti cardine della sua idea di filosofia: l’indissolubile intreccio fra lo studio della lingua e la pratica filosofica. Secondo Ghilardi, tra la lingua e i concetti si istituisce una relazione di tipo circolare: la lingua struttura i concetti, le categorie con le quali diamo forma alla nostra esperienza del mondo, ma, al contempo, viene determinata dalla struttura categoriale. Non è possibile pensare il rapporto tra lingua e pensiero attraverso un nesso causale e dunque duale, come se uno dei termini fosse causa e l’altro effetto. Per pensare davvero il rapporto tra lingua e pensiero bisogna abbandonare l’idea di una determinante e un determinato e aprirsi al non-dualismo della reciproca co-determinazione. Anche lingua e pensiero non sono termini irrelati, auto-sussistenti, ma fenomeni di produzione condizionata.

Ora, la categoria che, analizzando le parole della lingua giapponese, sembra emergere in primo piano, aiutandoci a comprendere la differente strutturazione categoriale e, di conseguenza, la differente visione del mondo del popolo giapponese, è quella di relazione. Qualsiasi studioso di filosofia ricorderà che Aristotele pone al vertice dell’impianto categoriale la sostanza, dal quale tutti gli altri predicati in qualche modo dipendono. E la sostanza viene definita come ciò che è in sé e per sé, cioè come quell’ente originario che  non abbisogna di altro che se stesso per sussistere.

Per la filosofia giapponese, invece, non si dà alcuna realtà sostanziale, dal momento che ogni ente non solo sussiste soltanto nella relazione con gli altri enti, ma è in sé stesso un fascio di relazioni che non ammettono di essere ipostatizzate, ricondotte alla fissità di una unità ipostatica.

L’esperienza della radicale relazionalità di tutti i fenomeni apre il campo all’esperienza della vacuità. Ogni fenomeno, infatti, come suggerisce l’esperienza estetica  giapponese, emerge, si dona allo sguardo della coscienza, dal e nel vuoto. Ma il vuoto non va inteso né come pura assenza né come non-essere, bensì come quello sfondo di pura potenzialità dal quale eviene e nel quale accade la relazione, il libero gioco delle polarità dialettiche fra dentro e fuori, esterno e interno, alto e basso, luce e ombra, bene e male, vero e falso, identità e differenza, passato e presente etc.

Per poter cogliere il nesso dinamico che unisce ogni ente, l’occhio della mente deve potersi kenoticamente svuotare. Solo facendo il vuoto in e di sé si può accogliere la dialettica fra il grande vuoto, inteso come sfondo trascendentale che accoglie il darsi dei fenomeni, e i fenomeni stessi, i quali fanno in modo che il vuoto si determini, diventi grembo. Infatti, così come non è possibile cogliere nessun evento, nessuna forma o determinazione senza il riferimento al vuoto primigenio dal quale emergono, allo stesso modo non è possibile l’esistenza del vuoto originario disgiunto dalle determinazioni delle quali è condizione. Tutto, senza esclusione, si dà solo nell’inter-relazione.

Dallo studio della lingua, passando per l’estetica, fino alla pratica del vuoto propria dell’esperienza filosofico-religioso buddhista, si evince che la strutturazione stessa dell’identità (sia essa l’identità culturale o individuale) è resa possibile solo nella e dalla relazione. Soltanto specchiandosi nella differenza, nel caso specifico nella differenza costituita dalla cultura giapponese, è possibile approfondire se stessi e conoscersi. È permettendo alla luce che s’irradia dallo sguardo dell’alterità culturale di invadere i nostri occhi che impariamo davvero a vedere, a conoscere. Perché la verità, come dice Jaspers nella sua opera Von der Wahrheit, dedicata alla costruzione di una logica esistenziale, è ciò che ci unisce. Una verità che non imprime al mondo un’impronta etica, che non tesse i fili della relazione, è un’astrazione. La verità, la radice del sole dalla quale provengono le dieci parole giapponesi di cui Ghilardi ci espone la genealogia linguistico-filosofica, è la relazione. Questa categoria logico-esistenziale è la categoria sui cui poggia la filosofia interculturale del filosofo italiano.

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