Redattore

Nicolò Bindi (1991) si è laureato in Filologia Moderna all’Università degli studi di Pisa, discutendo una tesi su “Teoria e pratica del futurismo. Palazzeschi, Marinetti, Soffici”. Interessato principalmente agli aspetti stilistici, metrici e linguistici, sta concentrando le sue ricerche letterarie soprattutto sugli autori delle avanguardie storiche e del modernismo italiano ed europeo. Collabora con diverse associazioni culturali. È docente presso l'Istituto "Francesco Datini" di Prato.

Da qualche tempo a questa parte i media nostrani – in particolare testate come “la Repubblica”, il “Corriere della Sera”, “Open” – sembrano essere stati investiti da un insolito interesse nei confronti della scuola. Ad attirare la loro attenzione, però, non è stata l’istituzione in sé, il suo stato di salute compromesso, quanto le colorite manifestazioni studentesche delle ultime settimane. Già da qualche mese, però, i quotidiani precedentemente citati hanno cominciato una sorta di “caccia alla protesta” nei vari istituti scolastici italiani, con particolare attenzione a temi di costume e sessualità. Ultimo a ricollegarsi a questo filone, il recente caso del liceo Righi, presentato dai media nel suo schema più canonico: una studentessa ha un comportamento sopra le righe all’interno della classe, per questo si crea uno scontro con un insegnante che porta, inevitabilmente, a una manifestazione dove gli studenti maschi, per solidarietà, indossano una minigonna.

Queste proteste sono decantate con commovente trasporto idealistico, dai media, che tanto si soffermano sulla presunta apertura mentale delle nuove generazioni e sulla forza d’animo, sulla compattezza di chi protesta, pronto a insorgere – pacificamente – contro gli alfieri del “passatismo”. Ciò che ne esce fuori, dunque, è il ritratto di una generazione impegnata, progressista, vivace e combattiva, ma pure rispettosa delle istituzioni democratiche e del principio della non-violenza. Ma quanto è reale questo ritratto? Decisamente poco, e chiunque sia dentro la scuola, chiunque anche lo sia stato nel corso dell’ultima decade, lo sa perfettamente.

Parlando per esperienza personale, è difficile trovare nelle classi un certo tipo di afflato ideologico. Temi come l’ecologia, la parità di genere, il razzismo entrano solo tramite i progetti dei vari insegnanti e lì vivono e muoiono, passivamente accettati. Soltanto il discorso discriminatorio sembra fare un po’ di breccia, ma solo in senso individualista, declinato sotto forma di “vittimismo”. Anche la combattività e l’impegno, dunque, lasciano il tempo che trovano: molti studenti sembrano troppo presi dai loro problemi legati a mancanza di autostima e ansia per il futuro lavorativo, per preoccuparsi di tutti quei temi etici cari all’area progressista del paese.

Ora, tutto questo è decisamente preoccupante, e certo meriterebbe più attenzione. I media, però, preferiscono soffermarsi su altro, e fornire una narrazione a tutti gli effetti menzognera. Come mai? Ci troviamo, probabilmente, di fronte a un tentativo di induzione: ponendo l’attenzione su casi sporadici e specifici, si vuol far passare l’eccezione per la normalità, così da indurre il resto della popolazione ad adeguarsi. In un certo senso può funzionare, poiché si va a fare leva su due degli aspetti più sviluppati in un adolescente, ovvero il narcisismo e il vittimismo: niente di meglio che poter lamentare una discriminazione subita in diretta TV, o dalle colonne di un quotidiano nazionale. È così che il giornalismo nostrano offre un vero e proprio “paese dei balocchi”, fatto di proteste semplici ma con impatto mediatico assicurato, di un ribellismo banale e contraffatto innalzato a modello di nuova umanità – in pratica, un nuovo ’68.

Il problema principale, però, è che questo tipo di battaglie basate sul nulla si accostano a proteste legittime, come quelle che riguardano l’alternanza scuola-lavoro. Il risultato? Che le prime, più semplici, più attraenti, riescono a guadagnarsi velocemente il palcoscenico e a infiammare i social network, mentre le seconde passano velocemente in secondo piano, uscendo quasi subito dal dibattito pubblico.

Ancora una volta, dunque, ci troviamo di fronte al fumo che viene prediletto alla sostanza: questo pare il destino di tutto ciò che ruota attorno alla scuola italiana.

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