Pierpaolo Naso è attualmente dottorando in Scienze Giuridiche e Politiche (XXXVII ciclo) presso l'Università "Guglielmo Marconi" di Roma, dopo aver conseguito presso l'Università di Roma "La Sapienza" la laurea triennale in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, la laurea magistrale in Scienze della Politica ed il Master di secondo livello in Geopolitica e Sicurezza Globale. Dal 2023 è iscritto alla Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea (SISSCO). Ha pubblicato due contributi presso la "Rivista della Cooperazione Giuridica Internazionale" e la "Rivista di Studi Politici", oltre che numerose recensioni presso diverse riviste scientifiche di storia, diritto, geografia, filosofia e scienza politica.

Recensione a
H. von Hofmannsthal, Le opere come spazio spirituale della nazione
a cura di E. Raponi
Morcelliana, Brescia 2019, pp. 112, € 11,00.

  La vita e gli scritti di Hugo von Hofmannsthal (Vienna, 1874-1929) si inseriscono in un’epoca segnata da differenti filoni letterari e artistici, in primis il Romanticismo, il Classicismo, l’Impressionismo ed il Realismo. Proveniente da una famiglia ebraica di Praga, Hofmannsthal è maggiormente conosciuto come romanziere, drammaturgo e poeta, ma andrebbe, tuttavia, rivalutato anche come saggista, come già rimarcato nella raccolta L’Austria e l’Europa (Marietti, 1983).

Tra i vari interventi a riguardo, figura Das Schrifttum als geistiger Raum der Nation (1927), nuovamente riedito in traduzione italiana da Morcelliana con il titolo Le opere come spazio spirituale della nazione. La curatrice e traduttrice Elena Raponi, nella sua prefazione, definisce il testo una «testimonianza di Geselligkeit», ossia «socievolezza» nel manifestare il concetto principale in maniera dialogica. Vi è anche un apporto copioso di note a piè di pagina che rende la pubblicazione più interessante come base di studio in vista di ulteriori approfondimenti.

  La lettura del saggio va inquadrata in un contesto politico e culturale tra i più tormentati e decisivi della storia. Ad inizio Novecento, sembrava incrollabile la potenza spirituale dell’Austria in quanto potenza monarchica postasi per secoli a guida di una compagine multietnica. L’imperium non era semplicemente una nozione storico-geografica, poiché esso andava inteso come sintesi armoniosa di umanità, spiritualità e organizzazione politica: costruzioni teoriche largamente riscontrabili per noi, Italiani, in Dante Alighieri e Niccolò Machiavelli. Tuttavia, questo modello si ritenne superato a seguito dell’esplosione dell’insorgenza slava nella penisola balcanica e dell’ultimo atto del Risorgimento italiano sulle Alpi e sul mar Adriatico. Hofmannsthal osserva quindi con sofferenza la finis Austriae, poiché questa ha significato la fine dell’Europa nel senso «spirituale» oltre che egemonico: con la decadenza dell’ultimo ancien regime asburgico, il potere sacro-imperiale ed il cattolicesimo subirono l’ennesima sconfitta da parte della modernità. Ciò andava attribuito ulteriormente all’accelerazione dello sviluppo industriale, alla crescita delle metropoli, all’ingresso sempre più prepotente delle folle, delle masse, nella partecipazione politica, al risveglio delle nazionalità irredente, fino alla tragicità del primo conflitto mondiale e del conseguente dopoguerra che hanno visto “crepuscolare” gli Imperi austro-ungarico, prussiano, russo ed ottomano.

L’Austria, da impero, si riduce così a nazione pari alle altre; e, pur con tutte le differenze del caso, permane in essa, inevitabile, il forte legame con la Germania, allora segnata dall’instabilità politica della Repubblica di Weimar. La letteratura ed il pensiero politico in entrambi i Paesi acquisiscono ancora la diffusa influenza di Johann Wolfgang von Goethe, Georg Wilhelm Friedrich Hegel e Friedrich Nietzsche, ma il poeta austriaco rilegge anche le riflessioni di Adam Heinrich Müller e di Jakob Burckhardt sul concetto di nazione e sulla visione conservatrice dello Stato. Hofmannsthal si confrontò in quegli anni con personalità intellettuali importanti come Thomas Mann, Max Weber, Henrik Ibsen e Stefan George, intraprese un viaggio «spirituale» in Grecia, apprezzò le opere di Maurice Barrès, e allo stesso modo riuscì a visitare l’Italia, oltre che recensire Gabriele D’Annunzio. L’impegno culturale di Hofmannsthal ha attirato, dopo la sua morte, l’attenzione di studiosi critici come il marxista György Lukács che studiava proprio la relazione tra letteratura e società. Il «carattere austriaco» andava promosso nelle arti, nella musica e nella letteratura. Malgrado tutto, Hofmannsthal non perdeva di vista soprattutto quei cittadini che venivano esclusi dalla vita frenetica della contemporaneità, ossia quei circoli intellettuali sottovalutati dagli ambienti accademici di allora: tra questi vi erano Rudolf Kassner, Karl Eugen Neumann ed Oswald Spengler. Hofmannsthal ebbe modo di leggere anche Leopold von Ranke – riscoprendo anche Eraclito –, Paul Valéry, José Ortega y Gasset. Contestualmente, vi era il meno noto Rudolf Pannwitz che si preoccupava, come molti di questi autori, della «crisi della civiltà europea».

Le opere come spazio spirituale della nazione è un discorso – dedicato al rettore Karl Vossler – pronunciato il 10 gennaio del 1927 nell’aula magna dell’Università di Monaco. Hofmannsthal analizzava accuratamente la situazione culturale d’inizio secolo, ove le letterature europee romanze donavano spirito e senso di nazione, tramandando storie e patrimonio linguistico alla varietà dei ceti sociali. Tra i passaggi fondamentali del testo egli specifica che: «La moda vivifica la tradizione, la tradizione nobilita la moda» (p. 57), e la cosiddetta «socievolissima nazione» trova fondamento unitario nella «norma linguistica» caratterizzata dal «gioco delle tendenze contrapposte – l’aristocratica come la livellatrice, la rivoluzionaria come la conservatrice» (p. 57). E così, a fronte della forza brutale delle rivoluzioni moderne e del nichilismo nietzschiano, è riuscita a sopravvivere ed affermarsi la «coscienza spirituale della nazione».

Nonostante la solitudine e l’«anarchia produttiva» di molti «cercatori», per il poeta austriaco, il loro lavoro ha assunto un carattere spirituale decisivo per la costruzione della propria nazione, poiché anch’essa riusciva a sussistere grazie ad un particolare «potere magico», in cui la lingua realizzava la funzione elementare di risanamento, spesso attingendo da fonti come il Medioevo ed il più recente Romanticismo. Per Hofmannsthal si sarebbe svolta una competizione tra francesi e tedeschi in letteratura: i primi hanno acquisito una certa maturità rispetto ai secondi, anche in virtù del ritardo nell’aver conseguito l’unità nazionale. Volendo sfuggire dal «pandemonio di idee che bramavano di governare la vita», lo «spirito tedesco» riscopre la propria esistenza attraverso «legami autentici» in una totalità spirituale (pp. 104-105).

In conclusione, venne descritto un rivolgere innovativo di azione letteraria e pensiero storico che in parallelo andavano a manifestarsi in quel periodo. Hofmannsthal afferma infatti: «il processo di cui parlo non è altro che una rivoluzione conservatrice […] il suo fine è la forma, una nuova realtà tedesca alla quale possa partecipare l’intera nazione» (p. 107). Il poeta, dunque, comprese appieno le suggestioni del suo tempo, in cui: furono rivalutati i concetti filosofici di essere e divenire, in favore della riproposta circolarità della storia da opporre al materialismo lineare e, pensando ad una Weltanschauung finalizzata all’eternità. Un ossimoro, si potrebbe dire, apparente, ma che ebbe molta fama, quello affermato – in verità ripreso da un saggio medievista di Paul Ludwig Landsberg – quasi per caso da Hofmannsthal: Konservative Revolution, come viene definito quel movimento culturale e politico tedesco – ed al medesimo tempo di respiro europeo – dell’epoca, a cui fu via via attribuita l’appartenenza di autori come Stefan George, Thomas Mann, Ernst Jünger, Oswald Spengler, Carl Schmitt, Ernst Niekisch, Arthur Moeller van den Bruck, Ernst von Salomon, Werner Sombart e Martin Heidegger. Tuttavia, bisogna specificare che ognuno di questi pensatori ha vissuto una propria esperienza bellica, politica e sociale, tanto da dover indicarne una giusta equidistanza l’uno dall’altro. Inoltre, la maggior parte di loro subì un destino tormentato a seguito dell’ascesa del nazionalsocialismo in Germania. Esaminandone le caratteristiche, la «rivoluzione conservatrice» non si manifestò quindi attraverso un partito organizzato o una dottrina definita, bensì essa fu l’insieme di posizioni eterogenee – intese generalmente a superare il nichilismo vissuto – che, in campi scientifici e letterari diversi, hanno lasciato un segno nella storia del Novecento; perciò oggigiorno si può constatare una significativa attenzione da parte di studiosi sul tema.

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