Carlo Marsonet ha studiato Scienze internazionali e diplomatiche presso l’Università di Genova e l’Università di Bologna, sede di Forlì. È PhD candidate in Politics: History, Theory, Science alla Luiss Guido Carli, Roma. Scrive sul blog della Fondazione Luigi Einaudi e collabora con Mente Politica. Ha pubblicato: Democrazia senza comunità. Il populismo quale reazione collettivistica alla modernità, in «Rivista di politica», n. 3/2018, pp. 59-70.

Recensione a
D. Ragnolini, Gens genti lupa. Thomas Hobbes e le relazioni internazionali
Soveria Mannelli, Rubbettino 2021, pp. 468, €25.00.

Davide Ragnolini, cultore di storia del pensiero politico e attualmente analista politico presso il think thank “Analytica for intelligence and security studies”, ha dedicato alla figura di Thomas Hobbes (1588-1679) particolare attenzione nelle proprie ricerche e in un recente volume, frutto del lavoro dottorale, si è focalizzato sul contributo hobbesiano al tema delle relazioni internazionali (IR). Gens genti lupa. Thomas Hobbes e le relazioni internazionali, questo il titolo del libro appena pubblicato, intende indagare il pensiero filosofico-politico del pensatore di Malmesbury con particolare riferimento alla sua idea di “stato di natura” alla luce del dibattito pre-internazionalistico della prima modernità.

La ponderosa opera consta di tre parti, seguendo un approccio “a ritroso”, ovverosia focalizzandosi in primis sul “qui ed ora” del dibattito avente per oggetto lo Hobbes internazionalistico, per operare, in seguito, un’indagine del contributo hobbesiano dato al dibattito e al contesto del tempo in cui è vissuto. Nella prima parte (primo e secondo capitolo) l’autore esplora l’interpretazione e la ricezione dell’hobbesismo più recente, dai giorni nostri per ritornare al XIX secolo. Hobbes quale negatore della società internazionale e del diritto internazionale, i fili conduttori dei primi due capitoli. Ragnolini pone in luce come sia stata prediletta la scelta di ergere la figura hobbesiana come un archetipo di un determinato approccio (realista) alla politica internazionale. Come è stato osservato, in tal modo si è venuta a determinare una sorta di “Hobsession”: il pensiero del malburiense – scrive lo studioso trentino – è stato strumentalizzato al punto tale da informare ormai «un infelice schema astorico dei rapporti interstatali eternamente valido, così stereotipato da inibire un loro riesame storico ed ermeneutico, e assodato al punto che nessuno studioso delle relazioni internazionali potrebbe permettersi di ignorare» (p. 30). La totale decontestualizzazione del pensiero hobbesiano, in sostanza, è criticata nelle righe dell’autore, passando in rassegna alcuni dei principali studiosi delle International Relations (IR) del Novecento. Secondo Ragnolini, infatti, né in E.H. Carr né in M. Wight né in H. Bull alcuna indagine storica è stata intrapresa per studiare Hobbes quale pensatore e analista del proprio tempo.

Il terzo e quarto capitolo, che vanno a costituire la seconda parte del libro, cercano di rendere il quadro storico-filosofico del dibattito intorno allo ius belli nel Paese di Hobbes insieme alla discussione incentrata sulla politica estera degli Stuart, nonché lo sviluppo del pensiero di Hobbes a partire dalle opere e dagli autori che ne hanno influenzato la biografia intellettuale. Ragnolini ricorda come, in realtà, Hobbes fosse piuttosto parco nei riferimenti alle fonti cui attingeva, così come proverbiale fosse il vanto di aver letto pochi libri nella sua vita (il che rende ancor più di straordinaria portata, per certi aspetti, il contributo originale da egli lasciato ai posteri). Ad eccezione di Jean Bodin, unico autore cui Hobbes fece esplicitamente riferimento nell’opera Elements of Law (1640), altri autori risultano comunque imprescindibili secondo Ragnolini per contestualizzare lo “stato di natura internazionale”, quali Alberico Gentili e Ugo Grozio, tra i più noti, e W. Fulbecke, A. Leighton, R. Bernard, tra quelli meno conosciuti. Inoltre, vengono presi in esame autori simpatetici a Hobbes attorno alla legittimità della guerra preventiva da parte della Corona inglese (ad esempio F. Bacone, P. Sarpi e W. Raleigh). Di particolare importanza, scrive l’autore, è la definizione del concetto di «contention» (contesa) dato dall’autore del Leviathan nei già citati Elements. Infatti, esso precede logicamente e “fenomenologicamente” quello di guerra ed è associato all’uguaglianza degli attori (siano essi singoli individui, Stati o altri attori). A conclusione di ciò, Ragnolini afferma che Hobbes può essere considerato «un proto-strutturalista del conflitto, presentando cioè l’origine di ogni guerra – da quelle interindividuali a quelle sovraindividuali – attraverso il dispositivo della contention, trasversale sul piano linguistico e concettuale nelle sue opere politiche» (p. 269).

Nella terza ed ultima parte (dal quinto capitolo al settimo), infine, l’autore si focalizza sulla concezione hobbesiana dello stato di natura inter gentes, sulla sua comparazione con gli scritti di Grozio e con riferimento al contesto in cui entrambi operarono, nonché sul contributo hobbesiano allo ius maris. È importante sottolineare, scrive Ragnolini, come Hobbes abbia fornito un approccio peculiare allo ius gentium, sulla base di una tensione aporetica della sua formulazione: «da un lato, il diritto delle genti è assimilato sub specie di legge di natura in cui, su esempio di Bacone, i precetti naturali non trascendono l’orizzonte normativo di uno ius maiore relativamente autonomo dalle interpretazioni e dalle autorità di tradizioni giuridiche precedenti. Dall’altro, i diritti assoluti posseduti dai sovrani all’interno del Commonwealth sono identificati con i medesimi diritti che i sovrani possono esercitare all’interno del Commonwealth, senza che il diritto delle genti possa inficiarne in modo tangibile la loro stessa validità giuridica» (p. 354). Quale che sia il giudizio assegnabile alla ricerca e al volume di Ragnolini, resta il fatto che si tratta di un’opera sicuramente importante e assai ben documentata, come dimostra la monumentale bibliografia (più di quaranta pagine tra letteratura primaria e secondaria).

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