Cristian Leone (1992) si è laureato all’Università di Roma Tre nel 2015 in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, conseguendo poi la laurea magistrale in Storia e Società nel luglio del 2018. Attualmente è dottorando di ricerca presso l’Università degli studi Guglielmo Marconi di Roma. Ha pubblicato La via di Sorel al socialismo (pref. di D. Breschi, Luni Editrice, Milano 2022).

Il movimento nato dalla mente di Benito Mussolini è un fenomeno poliedrico e studiarlo nella sua complessità richiede impegno e dedizione. Un tassello importante all’analisi del fascismo è posto senza dubbio da Paolo Nello con il suo testo, ormai classico, L’avanguardismo giovanile alle origini del fascismo, uscito per Laterza nel 1978. L’argomento messo in risalto dall’opera era all’epoca poco studiato dalla storiografia e pressoché sconosciuto al grande pubblico, eppure le giovani generazioni protagoniste del primo dopoguerra fornirono quei quadri militanti che, con il loro attivismo, contribuirono all’affermazione di Benito Mussolini sulla scena nazionale. Solo di recente la storiografia ha nuovamente posto l’attenzione necessaria sul tema.

Dalla Grande guerra alla «normalizzazione» del 1922, passando per l’assalto all’Avanti! e al «patto di pacificazione», l’autore ricostruisce, con estrema chiarezza e linearità, la storia dell’avanguardismo giovanile inserendolo nel più ampio quadro dell’avvento del fascismo. Paolo Nello riesce ad affrontare un periodo estremamente complesso intrecciando in maniera organica una molteplicità di fattori e coniugando aspetti differenti: quello idealistico e quello pragmatico, quello rivoluzionario e quello politico.

Il primo conflitto mondiale rappresenta il culmine della crisi del sistema liberale e, allo stesso tempo, sancisce l’avvio di una nuova trasformazione dell’organismo politico e sociale: «Il conflitto apparve in effetti ai contemporanei come un grande evento rigeneratore, vero e proprio momento di trapasso da un’epoca ad un’altra» (p. 3). In questo contesto, dunque, arrivano a maturazione processi già in atto e vengono messe in discussione le strutture economiche e politiche della società borghese. Inoltre le masse, fino ad ora escluse dal processo di costruzione nazionale, irrompono con la forza sulla scena pubblica: «La guerra […] non fece che approfondire la frattura già esistente tra paese legale e paese reale» (p. 4). La Grande guerra non determina solo cambiamenti strutturali ma anche e soprattutto psicologici. Il conflitto assume una funzione palingenetica, portando, per la gran parte degli uomini che vi prendono parte, ad un rinnovato sistema di valori. Proprio nelle trincee diventa popolare la polemica contro il parlamento, il disprezzo per i politici, l’odio per i pacifisti e i disfattisti.

In questo luogo si diffonde la convinzione manichea di un’Italia divisa in due, politicamente e moralmente, da una parte il paese «sano» indentificato con la nazione; dall’altra il paese «marcio» dell’anti-nazione: «Da una parte, l’Italia nuova, giovane, interventista, progressista, cosciente della propria forza e della propria unità; dall’altra, l’Italia vecchia, neutralista, conservatrice, incapace di qualsiasi slancio morale, dominata dall’individualismo e dal materialismo, tutta presa dalle “beghe” e dagli “intrighi” parlamentari» (p. 17).

Brutalizzazione dello scontro, polarizzazione intorno ai temi di nazione-antinazione, identificazione di un nemico da abbattere: sono, questi, alcuni degli elementi fondamentali che, generati dalla guerra, finiscono per connotare l’intera politica italiana del dopoguerra. Questi fattori provocano la crisi dell’egemonia liberale e creano, a destra come a sinistra, nuove forze antiliberali e antiparlamentari che traggono proprio dagli eventi bellici nuovi modelli di organizzazione e di lotta politica. Il fascismo, sebbene sorto all’interno del fronte combattentistico, si pone subito oltre la tradizionale opposizione destra/sinistra dando vita, così, ad un movimento eterogeneo che attrae nelle proprie fila socialisti e nazionalisti, repubblicani e monarchici, rivoluzionari e reazionari: «Il rifiuto di una dottrina politica precisa, il richiamo ai valori nazionali, l’azione decisamente antibolscevica, l’organizzazione quanto mai agile, tesa a concedere ai singoli fasci un’ampia autonomia, finirono in definitiva per assicurare la presenza di una pluralità di posizioni» (p. 25).

Il carattere innovativo e combattentistico dei fasci attrae, fin da subito, quella gioventù che, per sua stessa natura – «l’estremismo è l’eterno bisogno organico della gioventù degna di tal nome», dirà Berto Ricci – è incline ad abbracciare posizioni intransigenti e ribellistiche. Paolo Nello ricostruisce il ruolo decisivo di molte organizzazioni giovanili nella costituzione dei vari fasci di combattimento: «Numerosi Fasci furono fondati da gruppi di studenti medi e universitari, perlopiù – ma non esclusivamente – ex-combattenti ed ex-interventisti, sensibili ai motivi del combattentismo rivoluzionario. A Genova, il Fascio venne costituito con l’apporto determinante dell’Unione studenti reduci. A Brescia sorse in seno al “Circolo democratico studentesco Roberto Ardigò” e uno studente di 18 anni, Alessandro Melchiori, ne fu il primo presidente. A Pavia e a Camerino, gli studenti fondarono il Fascio addirittura all’interno dell’Università. A Parma sorse nel corso di un’assemblea studentesca e operaia tenuta all’università popolare» (p. 26). La lista continua e l’Autore fornisce al lettore, con estrema precisione, il contributo fornito dalle singole associazioni studentesche alla nascita dei fasci locali. Studenti liceali ed universitari, ex-combattenti, ragazzi di estrazione piccolo-borghese ma anche proletaria, sono questi i giovani che aderiscono al fascismo dando vita all’Avanguardia studentesca comandata da Luigi Freddi. Gli avanguardisti sono molto attivi sul fronte della militanza tanto che partecipano alle principali azioni violente dei fasci: assalto all’Avanti! e moti contro il caroviveri, occupazione di licei e università, spedizioni squadriste.

L’Avanguardia studentesca, appartenente al “fascismo di sinistra”, vuole l’abbattimento violento dello Stato liberale. I giovani, inizialmente entusiasti sostenitori del tentativo mussoliniano di conquistare le masse proletarie separandole dal PSI, accettano poi, non senza polemiche, la “svolta” a destra e l’ingresso nei “blocchi nazionali”. In questa operazione elettorale emerge tutta la capacità politica di Mussolini che riesce a far accettare, in un sol colpo, a Giolitti la base rivoluzionaria del fascismo e alla base rivoluzionaria del fascismo Giolitti. L’alleanza con liberali e conservatori deve avere, tuttavia, secondo gli avanguardisti, una funzione esclusivamente strumentale e non ideologica: «I liberali non dovevano illudersi che il fascismo avesse distrutto le organizzazioni bolsceviche per favorire un ritorno alla normalità “costituzionale”; al contrario, gli avanguardisti intendevano avvisare fin da ora i cosiddetti fiancheggiatori che ben presto sarebbe arrivato anche il loro turno» (p. 120). L’Avanguardia studentesca disprezza fortemente la borghesia la quale ha apprezzato le violenze antisocialiste unicamente per un esclusivo interesse personale, solamente «perché riteneva di potersene servire come propria guardia bianca» (p. 120). I giovani cominciano già dal 1922 quell’opera, continuata ed accentuata nella seconda metà degli anni ’30, di “purificazione” contro i «fiancheggiatori» e gli opportunisti che hanno aderito al fascismo non per convinzione ma per convenienza: «E occorreva soprattutto epurare una buona volta il fascismo, eliminando tutti quegli opportunisti che vi avevano aderito nel momento del massimo sviluppo, col solo proposito di asservire il movimento ai propri interessi di parte. Gli avanguardisti ritenevano doveroso un “ritorno alle origini” proprio nel momento in cui l’azione antisocialista si faceva più incessante e incisiva» (p. 122).

I propositi rivoluzionari dell’Avanguardia studentesca, tuttavia, non vengono assecondati da Mussolini che preferisce agire seguendo la più pragmatica via politica e raggiungere il potere attraverso la collaborazione con le forze costituzionali. L’Avanguardia studentesca esaurisce così la sua funzione propositiva e il 5 gennaio 1922 viene definitivamente trasformata in Avanguardia giovanile fascista. Il nuovo organismo, privo di ogni reale autonomia, assume il solo compito di fiancheggiare l’azione politica del partito fascista.

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