Valerio Vagnoli (1952) si è laureato in letteratura italiana moderna e contemporanea con Luigi Baldacci. Dal 1973 al 2007 ha insegnato in tutti gli ordini di scuola, inclusi gli istituti penitenziari di Firenze. Rimane fondamentale la sua esperienza di maestro nel carcere minorile e nella sezione femminile del carcere di Sollicciano (sembra sia stato il primo docente maschio a ricoprire questo ruolo in Italia) ove peraltro incontrò e lavorò con Antonio Gelardi, già allora un illuminato giovane vicedirettore e in seguito uno dei direttori carcerari più innovatori del nostro Paese. Dal 2007 ha diretto scuole di ogni ordine e indirizzo chiudendo dopo 44 anni la propria attività all'Istituto professionale Saffi di Firenze. E, non a caso, sull'importanza di ricostruire una autentica formazione professionale nel nostro Paese continua a mantenere un costante e motivato impegno. Ha fatto parte del “Gruppo di Firenze” e collabora da tempo con quotidiani e riviste.
Recensione a: M. Icardi, Voci di donne umaniste. Dialoghi di Laura Cereta e Olimpia Fulvia Morata, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2022, pp. 164, € 20,00.
Da tempo si reclama che la scuola debba far fronte ad una serie di educazioni (sui temi più disparati: pace, sessualità, parità di genere, finanza, codice della strada, affettività, gioco d’azzardo, omofobia, droghe, alimentazione, mafia, volontariato, memoria, salute, ecc. ecc.) che difficilmente tutte quante potranno essere esaudite ed esaurite all’interno dell’intero percorso scolastico.
Ciò non toglie che su alcuni dei temi sopra elencati, e probabilmente di altri a venire anche in virtù della loro gravità e diffusione, ci si debba ad ogni costo misurare proprio all’interno delle aule scolastiche. Uno di questi temi è senz’altro quello del divario di genere e delle relative conseguenze anche in merito all’ordine pubblico. In generale, soprattutto per le scuole medie di primo e secondo grado, sarà più facile farvi fronte, mentre per gli altri ordini sarà necessario un lavoro, da parte delle scuole, molto più accurato e attento nel trovare altre formule, oltre la trasmissione orale, in grado di portare i bambini a prendere atto delle discriminazioni più o meno evidenti anche alla loro piccolissima età. Inoltre, per i ragazzi più grandi potremmo anche utilizzare per quei temi che maggiormente incidono in maniera spesso drammatica nella vita del Paese (le tantissime vittime della violenza di genere che sempre più si traducono nelle uccisioni anche di giovanissime ragazze, alto numero di morti per incidenti stradali, per suicidio o per droga…) gli spazi che già l’organizzazione scolastica mette loro a disposizione: attivi di classe e interclasse, assemblee generali, autogestioni autorizzate e utilizzo di percorsi da sviluppare durante i pomeriggi e perfino nei viaggi d’istruzione. Ricordo, per esempio, con struggente gratificazione i viaggi, con relativi percorsi di preparazione e successiva riflessione, di alcune classi a San Patrignano.
Uno di questi temi assolutamente improrogabile e che più sta a cuore alle nuove generazioni, innanzitutto di ragazze, è quello, appunto, del divario di genere: divario che ci vede purtroppo primeggiare nelle classifiche internazionali e che pone l’Italia al trentesimo posto tra i trentasei paesi europei[1].
Per aspetti così gravi della nostra società, peraltro come in questo caso coinvolgenti grosse percentuali di giovani ragazze e di riflesso di tanti loro compagni, è opportuno che le scuole si organizzino anche con attività mirate e specifiche e innanzitutto, ove l’età degli studenti lo potrà permettere, condivise. Per poter far fronte a queste urgenze educative le scuole dovrebbero anche poter contare, come peraltro già avviene in tante realtà, sulla disponibilità dei docenti affinché individuino, nella loro programmazione annuale, quei personaggi o temi che possano riallacciarsi alle “educazioni” che sentiamo, anche sul piano morale, di non dover negare ai ragazzi. Argomenti che potrebbero in parte essere identificati e condivisi, prima dell’inizio di ogni anno scolastico, anche all’interno dei vari gruppi disciplinari. Come sarebbe bello, per esempio, se tutte e tutti i docenti di matematica decidessero di approfondire la figura di Ipazia!
Sul tema specifico della parità di genere, a facilitare il compito dei docenti di materie letterarie, e non solo naturalmente, ci possiamo oggi avvalere del contributo di un interessante e importante lavoro uscito poco più di un anno fa per le Edizioni dell’Orso ad opera di Matilde Icardi. Questo saggio, tesi di laurea dell’autrice, dedica ampio spazio anche ad altre figure, non solo femminili, che tuttavia contribuirono in maniera esemplare e significativa a dare l’accesso anche alle donne, oppure a contrastarlo, al movimento umanistico tra XV e XVI secolo.
Occorre inoltre fare presente, e non è di poco conto, che la collana a cui il saggio fa riferimento, sia diretta da un giovane e bravissimo studioso, Luigi Silvano, docente di Filologia classica presso l’Università di Torino con alle spalle un curriculum prestigiosissimo anche per quanto concerne gli aspetti didattici. Tra l’altro, per vari anni è stato insegnante di italiano e latino presso i licei statali di Torino e provincia, e non a caso nella sua Postilla al saggio, dichiara di impegnarsi affinché la collana dia «spazio, accanto a lavori di ricercatori affermati, a opere prime di giovani studiosi». Istanza, questa, assai pertinente con le motivazioni che sono proprie anche di questa Rivista.
Ma torniamo al saggio. Uno degli aspetti che la Icardi mette in risalto consiste nello smentire gli studi precedenti ad opera di eminenti studiosi, tra gli altri il Dionisotti, secondo i quali il ruolo in generale delle donne sul piano culturale, avrebbe coperto lo spazio di poco più di un paio di decenni intorno alla metà del XVI secolo; propriamente tra il 1538, anno della prima pubblicazione delle Rime di Vittoria Colonna e il 1560, quando la produzione letteraria femminile in volgare inizia a diminuire. Né, secondo la Icardi, è da accogliere la conclusione della storica americana Joan Kelly-Gadol secondo la quale proprio nei secoli XV e XVI si sarebbe verificato un importante arretramento per il mondo femminile in molti campi, compresi i temi strettamente legati ai ruoli di genere. Invece le tesi della nostra studiosa smentiscono queste teorie facendo presente, riferendosi alla «prima scrittrice di professione in Europa», Christine de Pisan (1356-1431), il primo esempio, appunto, di donna-scrittrice che trova la propria autonomia intellettuale grazie all’educazione paterna e non più a quella, secolarmente più diffusa e impartita all’interno dei monasteri, dove le giovanissime donne potevano contare su una cultura poco più che elementare e fornita da monache ignare della realtà culturale della società. Una realtà che stava sempre più maturando la necessità che la lingua latina fosse oramai indispensabile e fondamentale affinché anche le donne, naturalmente quelle appartenenti al contesto sociale e culturale delle classi più alte, si potessero inserire in quel mondo da cui moltissime di loro provenivano. Vale a dire dal contesto italiano del centro-nord; quello delle signorie e delle corti dove, quando non erano i padri a istruire le loro figlie lo sarebbero stati, al loro posto, i precettori a farlo. E farlo, insegnare cioè alle giovani donne una cultura alta che comprendesse il latino e anche il greco, avrebbe significato poter contare, all’occorrenza, anche sul loro importante contributo per salvaguardare i rapporti che le loro famiglie di appartenenza mantenevano con altre case potenti. Tutto questo soprattutto con lo scopo di rendere onore alla loro casata dal momento in cui la figura maschile per impegni e interessi o per morte sarebbe venuta a mancare. Senza contare che le donne appartenenti a queste classi alte, grazie agli studi avrebbero potuto da sole trasmettere il loro sapere ai figli.
Diverso, invece, il discorso per le donne appartenenti alla sfera borghese molto più soggette agli attacchi e alle diffidenze di umanisti refrattari a queste intollerabili novità. In generale, comunque «l’umanesimo femminile, a differenza di quello maschile non ha una ricaduta pubblica», anche perché la maggioranza di loro una volta raggiunta l’età adulta saranno comunque destinate al convento o al matrimonio. Oltre alla cultura classica, patrimonio di pochissime, un ruolo determinante nella formazione delle intellettuali umaniste è rappresentato dagli autori che prima di loro si erano già misurati con la produzione in volgare, vale a dire Dante, Petrarca e Boccaccio. E, non a caso, quando la produzione in volgare predominerà nella cultura della prima metà del Cinquecento, proprio allora si avrà una produzione femminile senza precedenti. Una produzione poi destinata progressivamente a ridimensionarsi, soprattutto nel 1600, in virtù della Controriforma e della scomparsa delle corti che alle donne avevano offerto «un ambiente culturale favorevole». E, continua la Icardi, con questo declino le donne letterate «diventano oggetto di critica nel momento in cui la moda letteraria comincia ad allontanarsi dai canoni cinquecenteschi […]. Le scrittrici, in passato esaltate, diventano sempre più spesso oggetto di satira e attacchi, perdendo il ruolo che avevano rivestito».
Non sarà purtroppo una novità nel nostro intero panorama culturale che infatti caratterizzerà poi anche i secoli futuri, almeno fino ai primi anni del novecento. E anche a questo, nelle nostre scuole medie, dovremmo dare la giusta e meritata attenzione: quella che un tema così importante richiede.
Nel saggio della Icardi, oltre alle figure delle due scrittrici richiamate nel sottotitolo, si prendono in esame e si fanno anche precisi riferimenti ad altre più o meno note figure femminili, e anche maschili, soprattutto in relazione a quei maschi (pochissimi) che furono sensibili alle nuove istanze culturali e intellettuali delle donne. Precursori di queste istanze, pur con motivazioni ed esiti diversissimi, lo furono, oltre il Petrarca, anche Dante e Boccaccio. Quest’ultimo è il primo autore che abbia scritto un’opera interamente dedicata alle donne, incentrando su di loro, a mio parere, alcune novelle davvero straordinarie e per questo forse assenti nelle nostre antologie scolastiche. Tanto per fare solo un paio di esempi, la decima novella della quinta giornata e la settima della sesta.
Vi sono poi, rispetto alle donne, riportate le posizioni del Bembo, del Castiglione, dello Speroni, di Agnolo Firenzuola e quelle modernissime di Alessandro Piccolomini e del Domenichi. Ma a metà Cinquecento sta sempre più prendendo campo anche in Italia, il pensiero del filosofo spagnolo Juan Luis Vives e trova ampia e benevola accoglienza il Dialogo della institution delle delle donne di Lodovico Dolce, secondo il quale alle donne deve essere interdetta la lettura del Decameron anche se possono misurarsi senz’altro con la letteratura latina, salvo la lettura di tutti i testi poetici, se non quelli aventi carattere edificante, perché secondo lo scrittore le donne (ovviamente quelle appartenenti alle classi più alte) non possono venir meno ai loro precetti fondamentali che da tempo le richiamavano, e nel futuro le avrebbero richiamate, alla fedeltà religiosa e famigliare.
Insomma, verso la metà del XVI secolo, come ricorda ancora la Icardi, «la cultura erudita, seppur promossa, non rappresenta (più) un tratto innovativo dell’identità femminile, ma un aspetto che rimane in ogni caso subordinato alla morale religiosa e tradizionale e all’amministrazione domestica vista come l’autentico compito della donna». Stiamo parlando di autori, Juan Luis Vives e Lodovico Dolce, che stanno operando, come abbiamo ricordato, le loro riflessioni e le loro opere negli anni immediatamente precedenti la metà del Cinquecento. Proprio gli stessi anni in cui morirà, uccisa dai fratelli, Isabella di Morra che data la particolarità della sua esistenza, della sua formazione intellettuale, dei luoghi in cui fu costretta a vivere e della sua produzione letteraria non compare giustamente in questo saggio. Saggio che fa riferimento a gran parte delle intellettuali donne del XV e XVI secolo, utilizzando l’intera seconda parte del libro alla pubblicazione in lingua italiana, e per la prima volta, dei dialoghi di Laura Cereta e Olimpia Fulvia Morata. Dialoghi all’interno dei quali non mancano i riferimenti ai problemi di genere, alla difficoltà di essere, anche allora, donne istruite e colte e in quanto donne, come molte volte accade ancora oggi, costrette a dover affrontare una vita molto, ma molto più dura e difficile rispetto agli uomini. Ne fanno testo anche le pagine dedicate alle loro biografie altrettanto importanti per essere utilizzate ai fini didattici, essendo le biografie uno dei mezzi attraverso i quali gli studenti sovente trovano identificazioni, comparazioni e proiezioni di se stessi rendendole così sempre attuali, soprattutto se si tratta di persone che hanno contribuito a volere un futuro più giusto, perciò rispettoso delle altrui libertà.
[1] Dati forniti da Ong Terre des homme Italia, Maxxi di Roma, 6 ottobre 2023, 12a edizione Dossier Indifesa.