Alberto Giovanni Biuso è professore ordinario di Filosofia teoretica nel «Dipartimento di Scienze Umanistiche» dell’Università di Catania dove insegna Filosofia teoretica, Metafisica e Filosofia delle menti artificiali. Ha anche insegnato Epistemologia, Sociologia della cultura e Storia dell’estetica.  Tema privilegiato della sua ricerca è il tempo, in particolare la relazione tra temporalità e metafisica. Si occupa inoltre della mente come dispositivo semantico; della vitalità delle filosofie e delle religioni pagane; delle strutture ontologiche e dei fondamenti politici di Internet; della questione animale come luogo di superamento del paradigma umanistico. Il suo libro più recente è Ždanov. Sul politicamente corretto (Algra Editore, 2024). Il suo sito web è www.biuso.eu

Recensione a: P. Murdin, L’Universo. Una nuova biografia (The Universe: A Biography, Thames & Hudson, London 2022), trad. di D. Salusso, Einaudi, Torino 2023, pp. IX-314, € 29,00.

La sintesi delle dottrine astronomiche contemporanee stilata da Paul Murdin ha il sempre raro pregio della chiarezza ma ne ha uno ancora più raro: l’apertura al dubbio, nonostante la condivisione da parte dell’autore delle ipotesi oggi più accreditate in ambito astrofisico.

Si parte dunque da 13,8 miliardi di anni luce di distanza temporale rispetto al nostro presente e poi si va avanti e indietro per illustrare la struttura e il funzionamento delle galassie, delle stelle, dei pianeti, di tanti altri corpi fisici, dello spazio e del tempo.

In questo percorso l’autore afferma di condividere senz’altro la oscura ipotesi iniziale del cosiddetto Big Bang e tutto quello che da tale ipotesi discende. Molto più prudente si mostra su ipotesi altrettanto incerte quali l’Universo inflazionario o il Multiverso. L’elemento più fecondo del suo discorso è proprio la prudenza epistemologica che lo conduce ad ammettere «quanto poco sappiamo sulla natura del cosmo» (p. 25) e su quanto sia «deludente riconoscere la nostra ignoranza sul contenuto del 95 per cento del nostro Universo» (p. 43). Non solo: molte ipotesi che nel corso della storia dell’astrofisica sono state date praticamente per dimostrate o per certe, come «l’atomo primordiale di Lemaître», vengono oggi considerate «una metafora scientifica e non una verità da prendere alla lettera» (p. 18). Ma quest’‘atomo primordiale’ è proprio la struttura dalla quale e dentro la quale si sarebbe originata la grande esplosione/energia da cui l’Universo sarebbe nato. Si tratta in realtà di una metafora appunto dalle caratteristiche anche religiose, proposta dal sacerdote gesuita e astronomo belga Georges Lemaître (1894-1966) «seguendo il percorso di fede tracciato nel libro della Genesi dell’Antico Testamento» (p. 12).

Altrettanto metaforiche sono ipotesi come quella del Multiverso, per la quale il nostro sarebbe soltanto uno degli innumerevoli universi ‘a bolla’, ciascuno con le proprie e diverse leggi fisiche. Ipotesi non soltanto del tutto metafisica, per non dire fantasiosa e ovviamente indimostrabile, ma dalle sospette motivazioni antropocentriche poiché configurerebbe la sopravvivenza di qualcosa dopo la fine del nostro Universo, che appunto sembra destinato a concludersi nel freddo, nell’oscurità e nel silenzio, essendo la geometria dell’Universo «piatta e in continua espansione; in questo scenario, le galassie si dissolvono e si separano sempre di più. […] Il futuro remoto dell’Universo è l’oscurità letterale, punteggiata di tanto in tanto solo dalle esplosioni inascoltate di buchi neri supermassicci che si fondono, irradiando onde gravitazionali silenziose» (p. 280).

Murdin ricorda più volte che quella del Multiverso è soltanto una delle tante teorie possibili e che l’inflazione originaria – quella che dall’impensabile concentrazione di energia e massa nella singolarità originaria diede inizio alla dinamica cosmologica – «a prima vista sembra stravagante», anche se sono in preparazione esperimenti (come l’enorme interferometro eLISA da collocare nello spazio interplanetario) che dovrebbero confermarla o smentirla (p. 285).

Ipotetiche sono anche le ipotesi relative alle Wimp – weakly interacting massive particles – la cui esistenza non è stata provata ma che «la maggior parte dei fisici e degli astronomi vuole credere che siano reali, che comunque esista qualcosa di simile, per risolvere problemi altrimenti insolubili in astronomia e cosmologia» (p. 26).

Come si vede e come è chiaro per ogni scienza sperimentale, l’astrofisica è intessuta di domande assai più che di risposte. Riferirsi alla «Scienza» come se si trattasse del luogo certo di ogni verità è semplice superstizione, una superstizione che negli ultimi anni è diffusa e dominante; superstizione che è smentita dal lavoro e dal metodo scientifico, come emerge anche in questo libro a proposito della ‘costante di Hubble’ (il valore relativo alla velocità di allontanamento reciproco delle galassie), la cui determinazione dipende «esattamente [da] quale modello cosmologico» si utilizza (p. 40). Da tutto questo Murdin inferisce giustamente e razionalmente «quanto sia importante nella scienza essere metodici e aperti a tutto e non saltare a conclusioni affrettate» (pp. 72-73).

Tra le tesi e ipotesi più feconde presentate e discusse nel libro, oltre alcune già ricordate, ci sono quelle relative alla costante relazione che intercorre tra il clima sul nostro pianeta, la struttura del Sole e la dinamica cosmica, una relazione che dipende solo in minima parte dalle attività umane, in quanto «la continua interazione delle orbite dei pianeti provoca regolari cambiamenti ciclici nell’orbita della Terra e nella sua rotazione. Questi cambiamenti alterano la posizione delle aree più calde della Terra, che a sua volta cambia la direzione e la forza dei venti e, in ultima analisi, anche il clima» (p. 225), tanto che «esistono tuttavia notevoli dubbi su come cambia il clima terrestre, anche nell’arco di decenni, come dimostrano le recenti discussioni sulla reazione del tempo atmosferico ai cambiamenti climatici dei livelli di anidride carbonica generati dalle emissioni antropogeniche» (p. 158).

Assai interessante la prospettiva sull’evoluzione della Terra, che prescinde ovviamente in modo completo dalla presenza umana in essa (tranne che nell’ipotesi di una guerra nucleare totale) e che delinea un futuro, remoto ai nostri occhi ma non per questo meno significativo, nel quale la fine del campo magnetico terrestre – quello che consente all’atmosfera di esistere – condurrà la Terra a perdere il suo equilibrio e a diventare «una landa deserta e silenziosa. La Terra si sarà trasformata in Marte. […] Cotto, essiccato, sbriciolato, inghiottito, vaporizzato nell’atmosfera di una stella in dissolvenza: il probabile futuro del nostro fragile pianeta è un percorso progressivo verso l’oblio attraverso vari stadi di distruzione» (pp. 273-275).

Un panorama e una dinamica nei quali la ‘vita’ si mostra per quello che è sempre stata, che è e che sarà, vale a dire il niente o, per essere meno espliciti, qualcosa che è «del tutto insignificante» (p. 124). Di contro, l’elemento forse eterno ma comunque centrale è lo spaziotempo. Lo spazio, infatti, «non è ‘nulla’, è un’entità fisica. La materia ordinaria e la materia oscura piegano lo spazio; la curvatura dello spazio piega le traiettorie lungo le quali la materia si muove» (p. 54) e il tempo è la realtà che non soltanto pervade ogni pagina di questo libro e di ogni altro testo di astrofisica ma è la struttura reale che rende possibili tutti i processi in esso descritti, dimostrati o ipotetici che siano.

Dubitare della realtà dello spaziotempo significa essere del tutto immersi in un paradigma idealistico e antropocentrico. Una delle più formidabili prove, questa, dei limiti della metafisica moderna rispetto a quella greca.

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