Pierpaolo Naso è attualmente dottorando in Scienze Giuridiche e Politiche (XXXVII ciclo) presso l'Università "Guglielmo Marconi" di Roma, dopo aver conseguito presso l'Università di Roma "La Sapienza" la laurea triennale in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, la laurea magistrale in Scienze della Politica ed il Master di secondo livello in Geopolitica e Sicurezza Globale. Dal 2023 è iscritto alla Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea (SISSCO). Ha pubblicato due contributi presso la "Rivista della Cooperazione Giuridica Internazionale" e la "Rivista di Studi Politici", oltre che numerose recensioni presso diverse riviste scientifiche di storia, diritto, geografia, filosofia e scienza politica.

Recensione a
F. Grasso, Archeologia del concetto di politico in Carl Schmitt
pref. di L. Albanese, Mimesis, Milano 2017 , pp. 90, € 10,00.

Come rileggere Carl Schmitt e il suo pensiero giuridico-politico in chiave teologica? Può essere ancora valido etichettarlo come un semplice nazionalista, oppure è stato qualcosa di più? Per questo, egli viene comunemente indicato come uno degli esponenti più importanti della Konservative Revolution, movimento scaturito dal desiderio di superare il nichilismo imperante d’inizio Novecento. Nello specifico, il giurista di Plettenberg meriterebbe di essere analizzato considerandone la formazione cattolica, e potendo inoltre riscontrare alcuni elementi di grande attualità in diversi passaggi dei suoi scritti. In proposito, va apprezzato lo studio di Fabrizio Grasso Archeologia del concetto di politico in Carl Schmitt, per i tipi di Mimesis. Il testo contiene una prefazione di Luciano Albanese, che pone l’accento sull’epoca odierna: l’Occidente si trova sempre più impotente nell’agire con efficacia a minacce esterne come il terrorismo, mentre sul piano interno, è pervaso da un diffuso economicismo che supera qualsiasi confine statuale e di civiltà. Ciò ha mutato radicalmente proprio il concetto (schmittiano) di nemico eminentemente ‘politico’ in avversario concorrenziale del mercato globale.

Sin dalle prime righe, Fabrizio Grasso riabilita la formula di «teologia politica» – nerbo della copiosa opera schmittiana – come disciplina autonoma, allo scopo di studiare questioni storiche o attuali con una visione diversa rispetto alle scienze più diffuse. Considerando la vastità dell’opera e la longevità del giurista, Grasso specifica che «Schmitt non è certo un pensatore sistematico nel senso più ortodosso del termine» (p. 14). Per questo, l’autore si occupa in primis di sondare la definizione di «rappresentazione sacra», contenuto principale del libretto Cattolicesimo romano e forma politica (1923). Schmitt esprimeva allora una certa sofferenza nel vivere in una Germania segnata dalla Kulturkampft bismarckiana e dal conseguente anti-römischer Affekt: la Chiesa di Roma difatti, veniva ritenuta dal giurista come storico ed «infallibile» ordinamento, in quanto legittimato dai testi sacri e da una fede universalmente riconosciuta.

La dottrina della Chiesa romana si oppone idealmente al caos, alla secolarizzazione e al nichilismo. In molti passaggi, il giurista rievocava la respublica christiana europea fondata armoniosamente sul binomio imperium e sacerdotium: ciò andava realizzato ben lungi dalle dinamiche moderne di lotta materialista tra Stato e Chiesa. Per Schmitt, l’«infallibilità» della sovranità papale comprenderebbe anche tutte le forme politiche e teologiche in unica complexio oppositorum, tuttavia esule da meccanicismi – liberali e bolscevichi nel suo tempo – di stampo moderno. Mentre la Modernità tende ad un’orizzontalità del patto sociale, la «rappresentazione» della Chiesa romana si esprime su una base trascendentale e, quindi, verticale del potere. Tuttavia, si ricorda che il giurista di Plettenberg ha continuamente mantenuto richiami cattolici da autori come Louis de Bonald, Joseph de Maistre e Juan Donoso Cortés, ma è stato anche influenzato da Thomas Hobbes e Max Weber – di cultura protestante – per quanto riguardava l’elaborazione politologica. Ciò ha permesso a Schmitt di essere reputato come uno dei principali fautori del realismo politico.

Ed è proprio la seconda parte del libro di Grasso che analizza l’idealtipo Politischen teorizzato da Schmitt. Come già detto, il giurista andrebbe ritenuto un cattolico di base, ma che ha elaborato, anche dal punto di vista accademico, un realismo scientifico sugli effetti scristianizzanti scaturiti dalla fine delle guerre di religione (1648). L’autore specifica che la «secolarizzazione in Schmitt fa rima con decadenza» (p. 50) europea, specialmente nell’ambito dello Stato di diritto. Per il giurista tedesco, la sovranità non è un’astrazione fine a sé stessa, perché si colma contestualmente di politica, potere e diritto; essa trova fondamento temporale nell’«eccezione» e, di conseguenza, nella «decisione» in quanto facoltà del soggetto sovrano – il monarca o il popolo – che prevale inevitabilmente sulla norma scritta. La Costituzione nascerebbe da uno status quo nuovo che ha cambiato radicalmente l’ordine precedente; il giurista di Plettenberg, ammette che essa può essere sospesa o modificata ulteriormente in base alla situazione storica. Su ciò, molti studiosi si sono interrogati e molti altri hanno criticato fortemente Schmitt, tra questi Hans Kelsen e Hans J. Morgenthau.

Quella di Schmitt sembra così una constatazione di fatto ed un riadattamento del realismo hobbesiano: lo Stato burocratico, trasformatosi in «macchina» non trascende più da una concezione metafisica, ma dall’effimera necessità di fuggire dall’anarchico stato di natura, sul piano interno e sul piano delle relazioni con altri Stati. Difatti, a fronte di conflitti bellici di portata mondiale e dell’accelerazione tecnologica, una terribile nuova angoscia pervade l’umanità bisognosa di porsi sotto la protezione di un Leviatano: pertanto, in ciò, il giurista tedesco allarma i lettori sull’estremizzazione dell’inimicizia che non conosce tregua sino all’eliminazione totale. La scienza politica si intreccia così con la filosofia della storia, tanto che Grasso afferma: «Se Hegel ha potuto dire che “il vero è l’intero”, Schmitt potrebbe tranquillamente affermare che: il politico non è l’intero» (p. 65). Viene sottolineata anche la «teofobia» manifestata dalla Modernità nel suo complesso: la religione si adatta così alla mondanità, sovvertendo qualsiasi principio romano, cattolico-trascendentale del potere. Tramite Schmitt, l’origine di ciò va a identificarsi direttamente nella Riforma protestante come prodromo delle conseguenti Rivoluzioni inglese e francese.

L’elaborazione della teologia in chiave politica giustificherebbe così l’esistenza di una prospettiva statuale da mettere “in forma”, individuando una propria legittimazione nel “sacro”. Schmitt ritrovava sicurezza nel katéchon paolino, ovvero nella proposta di creare un Ordnung che ponesse limiti alle derive del tempo corrente: non solo nel caso della Chiesa romana, ma anche nel politico del binomio FreundFeind, nel legame dell’uomo alla terra circoscritta in un nomos, nell’ordinamento giuridico concreto dello jus publicum Europaeum, nel pluriversum dei Grandi Spazi, e così via. Pertanto, vi sono ancora alcuni limiti che pesano sul pensiero del giurista di Plettenberg. Ossia l’aver dovuto “pagare” l’adesione al nazionalsocialismo, seppur per un breve periodo e nonostante abbia in precedenza tentato di “salvare” la traballante Repubblica di Weimar – sperando nel rafforzamento dei poteri presidenziali – e, nonostante i conseguenti ostracismi subiti dal regime hitleriano proprio per il suo cattolicesimo manifesto e per l’accusa di opportunismo carrierista. Questa duplice “colpa” gli causò l’esclusione dal mondo accademico nel secondo dopoguerra, ma trasse l’attenzione di alcuni giovani intellettuali, provenienti anche da sinistra nel caso italiano. Meno problematica l’attenzione all’estero: oggi la Weltanschauung schmittiana ha superato i confini europei per essere accolto in Centro-Sud America come in Asia.

Il testo di Grasso si conclude con una breve “nota” filosofica sul concetto di valore per Carl Schmitt rispetto alle posizioni di Friedrich Nietzsche e Martin Heidegger, spingendosi a riscontrare diverse affinità con Max Stirner. Per leggere questo saggio, è importante avere già compreso i fondamenti del pensiero schmittiano racchiusi in due testi – nella traduzione italiana, commentati da Gianfranco Miglio e Carlo Galli – come Cattolicesimo romano e forma politica e Le categorie del ‘politico’, entrambi editi da Il Mulino.

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