Federico Tinnirello (1996) si è laureato in Filosofia e, successivamente, in Scienze Filosofiche all'Università degli studi di Catania discutendo una tesi sul pensiero di Ludwig Wittgenstein. Attualmente è allievo diplomando presso la Scuola Superiore di Catania.

Recensione a: D. Antiseri, M. Pera, Europa senz’anima? Politica, cristianesimo, scienza, Editrice Morcelliana-Scholé, Brescia 2024, pp. 149, € 15,00.

L’Occidente è in crisi; purtroppo non c’è retorica in questo. I tempi che stiamo attraversando, infatti, sono costellati da eventi e sentimenti controversi e angoscianti: guerre, epidemie, conflitti sociali e cambiamenti economici riempiono il nostro tempo e ci conducono verso un profondo senso di smarrimento e confusione. Come reagire di fronte a questi cambiamenti? Come spesso è accaduto nella storia ci sono due modi: da un lato, viverli senza comprenderli, assorbendone gli effetti e le conseguenze; dall’altro lato, provare a comprendere cosa accade, elaborando teorie o modelli che tentino di afferrare il presente. La seconda strada, benché ardua e faticosa, è quella che bisogna intraprendere, in quanto consente di vivere il proprio tempo con pienezza e attenzione, senza lasciarsi travolgere dal flusso di ciò che accade.

Nel testo Europa senz’anima? Politica, cristianesimo, scienza, Dario Antiseri e Marcello Pera provano a ripensare la crisi europea e occidentale, riscoprendone le radici cristiane e liberali, da tempo occultate e indebolite dall’affermazione del secolarismo e del laicismo. Con il primo termine i due autori si riferiscono al tentativo della ragione di rendersi indipendente e autosufficiente rispetto a Dio e alla fede; mentre il laicismo è la netta separazione tra religione e politica sul piano pratico, la quale ha assunto, secondo i due filosofi, una vesta religiosa inscalfibile.

La riflessione su siffatti temi inizia da due domande che Dario Antiseri pone a Marcello Pera nella prima parte del libro:

  1. «Non c’è il pericolo che la superbia secolarista getti ombra sulla […] ragionevolezza del cristianesimo?» (p. 15).
  2. «Un’Europa scristianizzata è ancora Europa?» (p. 14).

La prima domanda porta con sé l’annoso problema del rapporto tra fede e ragione, il quale è stato ampiamente discusso nella filosofia medievale e ritornato in auge in tempi recenti. Secondo i secolaristi, tra fede e ragione vi è una distinzione sia epistemologica, la quale riguarda gli oggetti di indagine, che metodologica. Tuttavia, questa distinzione non è sufficiente – come pretende il secolarista – per affermare che tra fede e ragione debba esserci incommensurabilità, così come avviene tra due paradigmi scientifici (sull’aspetto dell’incommensurabilità dei paradigmi scientifici, cfr. T. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino, 2009). Piuttosto, tra fede e ragione vi è coappartenenza, nel senso che l’una non può sussistere senza l’altra. Questa coappartenenza ha almeno due argomenti forti dalla sua parte: in primo luogo, come afferma Dario Antiseri, una ragione autosufficiente e autonoma da Dio e dalla fede cristiana è incapace di rispondere alla «acutizzata e irreprimibile […] “grande domanda” – la domanda di senso» (p. 29). L’incapacità della ragione secolare di rispondere alla domanda sul senso della vita e dell’uomo deriva dalla pretesa di totalità che la ragione adduce a sé stessa, nel senso che tutto ciò che è ed esiste può essere compreso solo razionalmente. In questa visione idealistica e immanentistica della ragione non c’è spazio per il senso e, di conseguenza, per la fede, come luogo in cui cercare il senso ultimo. Soltanto un solido e meditato legame tra fede e ragione ci consente di comprendere che i fatti e la scienza non sono tutto e ci conduce ad indagare, come direbbe Wittgenstein, non «come il mondo è, ma che esso è» [L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus (1921), a cura di L. Perissinotto e P. Frascolla, Feltrinelli, Milano, 2023, §6.44, p. 239].

Il secondo argomento riguarda l’esigenza e il bisogno di una fede ragionata e ragionevole, che possiamo riassumere nel programma anselmiano: fides quaerens intellectum. La Rivelazione cristiana, che è la fonte della fede, si esprime e parla un linguaggio comprensibile e accessibile alla nostra ragione. Pertanto, soltanto una fede ragionata dischiude la comprensione della Rivelazione e, di conseguenza, la possibilità di vivere la fede con discernimento, al punto che «la ragione e la fede […] non possono essere separate senza che venga meno per l’uomo la possibilità di conoscere in modo adeguato se stesso, il mondo e Dio» (Giovanni Paolo II, Fides et ratio, Edizione Paoline, Milano, 1998, p. 30).

La seconda domanda – sulla quale entrambi gli autori dissentono – impegna Pera per buona parte del saggio. Secondo il filosofo, nell’attuale scenario teorico e politico, l’idea di un’Europa scristianizzata non scandalizza nessuno. Tuttavia, le difficoltà che gli Stati europei stanno attraversando derivano dall’assenza di un elemento comune, di una convinzione accettata dalla maggioranza; secondo Pera l’unica anima che può muovere e guidare l’Europa verso la sua unificazione è il cristianesimo, in quanto il «Dio cristiano è unificante di storie, popoli, culture, tradizioni, filosofie e fedi. È il Dio di tutti, perché chiama tutti» (p. 71). Per argomentare la sua posizione, Pera chiama dalla sua parte due grandi autori della filosofia occidentale: Agostino e Locke. Da Agostino, Pera riprende l’idea, elaborata nell’opera La città di Dio, di uno Stato di concordia, cioè di uno Stato in cui i suoi membri sono guidati da una convinzione e da un credo religioso accettato da tutti; da questo si deducono i princìpi fondamentali della vita politica, accettati per fede e compresi con la ragione. In questo modo si cerca di arginare il relativismo, secondo il quale tutti i valori, i credi religiosi e le visioni del mondo si pongono sullo stesso piano in un contesto di indifferenza reciproca. Pertanto, data questa premessa, l’unico protagonista che può garantire ordine, concordia e pace sociale non è altro che il cristianesimo, in quanto si fonda su due precetti universali e virtuosi: «l’amore di Dio e l’amore per il prossimo» (p. 86).

Nondimeno, nota lo stesso Pera, l’argomento di Agostino è destinato ad essere inascoltato ed eluso nell’attuale società occidentale, avvelenata dagli aculei del secolarismo e del laicismo. Ed è qui che entra in gioco il secondo protagonista della nostra analisi: il liberalismo. Per uscire dallo stallo dell’argomento agostiniano, Pera suggerisce di riprendere l’argomento di Locke sul fondamento cristiano della società liberale, contenuto nel Secondo trattato sul governo. L’obiettivo dichiarato di Locke è quello di fondare lo Stato liberale sui princìpi e gli asserti del cristianesimo, in quanto la libertà, la proprietà e l’autonomia personale derivano dalla predicazione evangelica. Non solo: possiamo annoverarli come diritti inalienabili perché sono espressione della legge naturale, che Dio stesso ha posto nel cuore dell’uomo; il rispetto dei principi della legge naturale, afferma Locke, provengono dal fatto che «essendo tutti servitori di un unico padrone sovrano, inviati sulla terra per suo ordine e per i suoi intenti, sono proprietà di colui che li ha creati, e destinati a durare finché piaccia a lui, e non ad altri» (Locke, Secondo trattato sul governo (1690), a cura di B. Casalini, Methexis, Pisa, 2007, p. 191). Dunque, senza il cristianesimo e senza l’obbligo di fedeltà a Dio non può esserci alcuno Stato liberale, in quanto mancherebbe il fondamento dei diritti e dei doveri su cui costruiamo politicamente e regoliamo moralmente la nostra vita civile. Sembrerebbe che l’unione tra liberalismo e cristianesimo possa garantire la tanto agognata communitas Europae, non soltanto da un punto di vista economico, ma anche politico e culturale, generando uno Stato di concordia e di pace.

Tuttavia, l’argomento di Locke presta il fianco ad un’insidia molto pericolosa: lo Stato liberale, sebbene fondato sul cristianesimo, rischia di disgregarsi a causa di conflitti religiosi, al punto che lo Stato, per garantire la pace e la sicurezza dei suoi cittadini, deve adottare una politica di tolleranza, la quale porta con sé «la privatizzazione della fede religiosa» (p. 119). La reclusione della fede religiosa – e specialmente della fede cristiana – nell’ambito privato apre la strada all’affermazione della religione laica, la quale trova nell’individualismo e nella proliferazione dei diritti il suo credo, assumendo un volto e una fisionomia sempre più unilaterale e anti-cristiana, anzi che fa del cristianesimo il suo più grande nemico, perché contrasta la certezza che «possiamo liberarci e salvarci da soli» (M. Pera, Lo sguardo della caduta. Agostino e la superbia secolarista, Morcelliana, Brescia, 2022, p. 153).

Che cosa rimane, dunque, degli sforzi fatti da Agostino e da Locke nel pensare una società europea basata sui valori e i princìpi del cristianesimo? Sicuramente un monito o un’indicazione sul duro lavoro che ci aspetta in futuro e che ci riguarda tutti se sogniamo un’Europa finalmente unita, coesa e in pace.

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