Federico Tinnirello (1996) si è laureato in Filosofia e, successivamente, in Scienze Filosofiche all'Università degli studi di Catania discutendo una tesi sul pensiero di Ludwig Wittgenstein. Attualmente è allievo diplomando presso la Scuola Superiore di Catania.

Recensione a
L. Wittgenstein, Vostro fratello Ludwig. Lettere alla famiglia (1908-1951)
a cura di L. Perissinotto e B. McGuinness

Mimemis, Milano-Udine 2021, pp. 240, € 18,00.

Vostro fratello Ludwig è il titolo che i curatori hanno scelto per il volume che raccoglie buona parte delle lettere che Wittgenstein e i suoi fratelli si scambiarono durante il corso della loro vita. L’arco temporale delle missive va dal 1908, anno in cui Wittgenstein si trasferisce a Manchester per completare gli studi di ingegneria, al 1951, anno della morte del filosofo a Cambridge, laddove aveva vissuto e insegnato dal 1929. Il volume contiene 178 lettere: la maggior parte sono di Hermine, la sorella maggiore di Wittgenstein; numerose sono anche quelle di Margarete; invece le meno numerose sono quelle con la sorella Helene e il fratello Paul[1].

Al lettore odierno, la lettura di questo volume suscita un immediato senso di smarrimento, dal momento che egli è avvezzo ad una comunicazione istantanea dovuta alla velocità con cui mandiamo e riceviamo messaggi tramite i social network. Dalle lettere della famiglia Wittgenstein traspare, invece, non tanto la “lentezza” (dal nostro punto di vista) dei mezzi di comunicazione novecenteschi, quanto piuttosto la gioia insita nell’attesa di ricevere notizie, riflessioni e stati d’animo dai propri familiari.

Quest’aspetto che sembra apparentemente marginale, si rivela in realtà fondante per capire come Wittgenstein vivesse e intendesse i rapporti familiari; a questo proposito è sconcertante (sempre dal nostro punto di vista) assistere alla gioia che pervade Hermine, quando può scrivere nuovamente al fratello dopo tanti anni di guerra: «mio carissimo fratello, mi sembra una cosa miracolosa poterti scrivere dopo tanti anni e dopo tutto quello di cui abbiamo avuto ragione di temere durante questi ultimi mesi! [aprile-maggio 1945]» (p. 204).

Il primo grande insegnamento che è possibile trarre da questo epistolario è quanto i rapporti umani possano essere fragili e claudicanti, e quanto dietro un foglio carta con dell’inchiostro sopra si nascondino sofferenze, dolori e perplessità; forse un insegnamento scontato, ma mai banale.

Oltre questo prima e importante traccia esistenziale, che cosa possiamo trarre da questo epistolario? Si potrebbe rispondere che ci sono almeno due modalità di lettura di queste missive: a) le modalità con cui i rapporti familiari hanno influenzato l’esistenza e la carriera intellettuale di Wittgenstein; b) le informazioni relative alla sua riflessione filosofica.

In merito al punto a), è importante notare che per Wittgenstein la presenza della sua famiglia sia sempre stata importante e costante. Le lettere sono molto numerose e sembra emergere un grado di confidenza e di apertura molto forte. In particolare, è visibile un affetto profondo tra Wittgenstein e la sorella Hermine, la quale lo assiste e lo aiuta nelle scelte economiche, lavorative ed esistenziali; mentre i rapporti con gli altri fratelli sono più sporadici, salvo con Margarete, i quali si intensificano soprattutto durante la Seconda guerra mondiale.

Tuttavia, un evento sembra far vacillare i rapporti fra Wittgenstein e la sua famiglia: nel 1921, Wittgenstein si trasferisce a Trattenbach per insegnare in una scuola elementare. La diffidenza dei colleghi e la semplicità degli abitanti del luogo inducono il filosofo a prendere le distanze dalla famiglia, affinché non si sappia la sua vera identità. Questa ritrosia sfocia in un gesto inaspettato: Wittgenstein impedisce ad Hermine, e in generale alla sua famiglia, di venirlo a trovare, e la sorella reagisce così: «la tua lettera mi ha fatto molto male, tanto più che non riesco davvero a spiegarmi come me la sia meritata […] ci si dovrebbe sempre trattenere con i propri pensieri, e calcolare in più l’accelerazione, come quando si spara ad un oggetto in movimento [29/01/1921]» (p. 104).

La rottura si risanerà solo in seguito, ma questo dimostra quanto la ricchezza della sua famiglia abbiano spesso causato delle difficoltà a Wittgenstein, il quale decise inoltre di donare il suo patrimonio ai fratelli e ad alcuni intellettuali austriaci in difficoltà. Dunque, questo dimostra come i rapporti familiari di Wittgenstein non furono mai lineari, senza che questo elemento abbia, in qualche modo, mai pregiudicato un affetto sincero e profondo.

Per quanto concerne il secondo punto, l’epistolario non contiene molte informazioni esplicite che ci possano essere di aiuto per comprendere alcuni aspetti della filosofia di Wittgenstein, sebbene siano presenti molti aspetti impliciti. Questa distinzione è importante perché altrimenti si dovrebbe dedurre che queste lettere costituiscano solo un’occasione privata; invece ci sono degli elementi filosofici, ed è opportuno riportarli.

I riferimenti filosofici espliciti si possono cogliere primariamente in due lettere; nel 1934, Wittgenstein scrive alla sorella Helene, «chiamami ricercatore della verità e sarò contento […] ogni vanità mi è estranea e persino la venerazione dei miei allievi nulla può contro l’inflessibilità della mia autocritica» (p. 165). Da queste breve frase deduciamo che per Wittgenstein la filosofia si deve occupare della verità in piena sintonia con l’idea che essa non è altro che un «un lavoro su sé stessi [e] sul proprio modo di vedere»[2]. Dunque, cercare la verità in filosofia non significa elaborare concetti o sistemi, ma piuttosto comprendere la realtà per cambiare – prima di tutto – sé stessi.

Il secondo riferimento lo troviamo in una lettera del 1938, nella quale Wittgenstein chiede ad Hermine di mandarle i manoscritti delle sue opere conservati a Vienna. Hermine cataloga i manoscritti del fratello, e questa catalogazione si rivelerà centrale per quella che George Henrik Von Wright stilerà dopo la morte del maestro[3].

Per quanto riguarda i riferimenti impliciti, è utile partire da un passo di Wittgenstein citato nella prefazione all’epistolario di Luigi Perissinotto: «[Nelle Ricerche filosofiche] mi è impossibile dire una sola parola su tutto quello che la musica ha significato nella mia vita. Come posso sperare di essere capito?»[4]. Questa frase, enunciata da Wittgenstein in un colloquio con Maurice O’Drury, è molto importante perché molte delle lettere contenute nell’epistolario sono dedicate a riflessioni e considerazioni di tipo musicale, soprattutto quelle degli ultimi anni che, in realtà, contengono solo riferimenti a temi musicali. Ma, a dispetto di ciò che si potrebbe pensare, per Wittgenstein la musica non era solo un’occupazione oziosa, bensì un modo di vedere il mondo e con esso il linguaggio. Infatti, non è un caso che nelle Ricerche filosofiche scriva che «il comprendere una proposizione del linguaggio è molto più affine al comprendere un tema musicale di quanto forse non si creda»[5].

Dunque, le considerazioni musicali sembrano, in prima battuta, soltanto una passione in comune fra Wittgenstein e suoi fratelli, ma in realtà contengono preziose indicazioni per comprendere aspetti centrali della sua filosofia: il linguaggio, il comprendere e il significato degli enunciati.

Note:

[1] La famiglia Wittgenstein, una delle più ricche d’Austria, era composta da nove figli, quattro dei quali morirono suicidi; Ray Monk, nella famosa biografia sul filosofo austriaco, scrive che «quindici anni separavano Hermine, la figlia maggiore di Karl [il padre di Wittgenstein], da Ludwig, il minore dei suoi otto figli che si potevano considerare appartenenti a due diverse generazioni: Hermine, Hans, Kurt e Rudolf alla prima; Margarete, Paul, Helene e Ludwig alla seconda». R. Monk, Wittgenstein. Il dovere del genio, Bompiani, Milano 2019, p. 18. Per una descrizione più approfondita della famiglia Wittgenstein cfr. R. Monk, cit., pp. 11-32.

[2] L. Wittgenstein, Pensieri diversi, cit., pp. 43-44.

[3] La catalogazione di Von Wright è contenuta nel secondo capitolo di G. H. Von Wright, Wittgenstein, Il Mulino, Bologna 1987.

[4] M. O’Drury, “Conversazioni con Wittgenstein”, in L. Wittgenstein, Conversazioni e ricordi, Neri Pozza Editore, Vicenza 2005, p. 220.

[5] L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, a cura di M. Trinchero, Einaudi, Torino 2009, p. 166.

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