Cristian Leone (1992) si è laureato all’Università di Roma Tre nel 2015 in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, conseguendo poi la laurea magistrale in Storia e Società nel luglio del 2018. Attualmente è dottorando di ricerca presso l’Università degli studi Guglielmo Marconi di Roma. Ha pubblicato La via di Sorel al socialismo (pref. di D. Breschi, Luni Editrice, Milano 2022).
Recensione a
G. Parlato, La sinistra fascista. Storia di un progetto mancato
il Mulino, Bologna 2008, pp. 404, €14,00.
La sinistra fascista. Storia di un progetto mancato rappresenta un’opera di straordinaria importanza per chiunque voglia approfondire, senza pregiudizi ideologici, quella variegata galassia che prende il nome di fascismo. Il testo tratta, con ampia e inedita documentazione, la genesi, lo sviluppo e l’esaurimento della cosiddetta “sinistra fascista”. I suoi uomini, le sue idee, i suoi successi le sue sconfitte, dal primo dopoguerra agli anni ’70, vengono puntualmente analizzati dall’autore. Dalla visione sociale del Risorgimento al ruolo centrale del sindacato, dal lavoro soggetto dell’economia alla mistica del lavoro, dalla nazionalizzazione delle masse al superamento del salario (concetto borghese), dalla socializzazione delle imprese alla critica del blocco atlantico, sono queste le idee e i temi principali che connotano la “sinistra fascista”.
La “sinistra fascista”, come spiega Parlato, non rappresenta né una corrente unitaria e compatta e nemmeno una sorta di partito nel partito, è, invece, un insieme di sentimenti, di posizioni, di prospettive e di progetti che vedono nel fascismo l’unico movimento in grado di dare vita ad una autentica rivoluzione italiana: «La sinistra fascista non è un partito nel partito, non è una corrente strutturata nell’ambito del fascismo. […] è piuttosto un insieme, a volte contraddittorio, di sensazioni e di atteggiamenti, è la manifestazione di una volontà, spesso confusa, di rinnovamento, che partecipa, a sua volta, di diversi contributi culturali: dal sindacalismo rivoluzionario al futurismo, dal repubblicanesimo mazziniano al socialismo risorgimentale, dall’anticlericalismo radicale al populismo antiborghese, dallo squadrismo alla mistica del lavoro e della tecnica, intesa, quest’ultima, come futura classe dirigente del regime» (p. 14). La “sinistra fascista” rappresenta un fiume carsico sempre presente all’interno tanto del fascismo quanto del neofascismo. È, a seconda del periodo storico, che l’importanza di questi uomini e queste idee diventa maggiore o minore.
I fascisti rivoluzionari hanno un ruolo centrale nell’elaborazione politica, economica e culturale del regime nei primi anni Venti, fino a quando, con la normalizzazione, con lo “sbloccamento” e il conseguente fallimento del sindacalismo integrale di Rossoni, vengono di fatto espulsi, estromessi, emarginati dal regime e il loro posto viene preso dai “fiancheggiatori”. È, tuttavia, nella seconda metà degli anni Trenta, con l’accelerazione totalitaria impressa da Mussolini, che la “sinistra fascista” acquisisce un ruolo di primo piano, anche se non egemone. In questi anni, nonostante l’opposizione delle forze conservatrici e reazionarie, sono numerosi e molteplici i successi della “sinistra fascista”, tanto che nel ’39 il sindacato riesce a strappare dalle mani del partito il controllo dell’Opera Nazionale Dopolavoro. Nella Repubblica Sociale, nonostante la realizzata socializzazione delle imprese, la “sinistra” resta divisa e in minoranza, secondo l’autore, sono tre le principali correnti: l’estrema sinistra, composta dai sindacalisti e da giornalisti come Spampanato e Solaro, quella ascritta a un «vago sentimento di “sinistra”, in parte a causa della loro attenzione alle questioni sociali, in parte a causa dello spirito di ribellione nei confronti del passato» (p. 308), e tra i quali troviamo Biggini, Pisenti, Tarchi. Infine troviamo il «terzo polo», numeroso e complesso che univa personaggi intransigenti come Pavolini, Farinacci, i «teorici-mistici» alla Mezzasoma, fino alla posizione «socialmente conservatrice» di Romualdi e Olo Nunzi, due vicesegretari del partito.
Dal sindacalismo allo squadrismo, dal fiumanesimo all’avanguardismo giovanile, la “sinistra fascista” ritiene di essere la sola vera custode della rivoluzione fascista, l’unica in grado di realizzare il tanto proclamato sincretismo tra classe e nazione. Questi rivoluzionari, per andare oltre una vuota formulazione retorica, mirano a modificare strutturalmente la società, superando il sistema capitalistico. La “sinistra fascista”, quindi, non tende solo a realizzare una palingenesi morale, un «uomo nuovo», ma a creare uno Stato corporativo capace, dal punto di vista politico, di istituire una «democrazia totalitaria», mentre, da quello socio-economico, di socializzare i mezzi di produzione e rendere così operativo il concetto di «produttore».
Per realizzare l’ambizioso progetto della “sinistra” non basta solo attuare una rivoluzione culturale e antropologica, ma bisogna agire sul terreno pratico delle rivendicazioni economiche, «toccare gli interessi», accorciare le distanze sociali, far partecipare i lavoratori alla gestione delle aziende e condividerne gli utili, garantire per tutti le stesse possibilità di accesso ovunque. L’azione culturale è quindi inestricabilmente legata a quella legislativa. La “sinistra”, impregnata di spirito antiborghese, vuole distruggere l’identificazione tra la ricchezza e il valore e togliere così al denaro ogni connotazione morale, rendendolo mezzo di scambio e non fine. La ricchezza, nello Stato fascista, deve valere e servire a poco, capire che con essa sola si ottiene poco, tanto nell’ordine dei beni materiali, quanto in fatto di autorità sugli uomini. Per cambiare concretamente la struttura gerarchica della società borghese, basata sul quantitativo di denaro posseduto, il privilegio economico deve diminuire. Non bisogna solo puntare a una redistribuzione della ricchezza, ma rivalutare totalmente il concetto di lavoro, epurandolo da ogni idea economicista. Distrutta l’equivalenza lavoro-merce, tipica del liberismo, vengono attribuite al lavoro delle funzioni etico-politiche che lo delineano come l’elemento fondante il nuovo ordine politico e sociale che il fascismo vuole instaurare. La “sinistra fascista” vuole creare una vera e propria mistica del lavoro, in cui quest’ultimo non è più affrontato tramite considerazioni esclusivamente economiche, ma viene correlato a tutte le altre caratteristiche extraeconomiche che costituiscono il mussoliniano «uomo integrale».
Il lavoro, secondo alcuni esponenti della “sinistra”, viene elevato a punto di riferimento culturale e religioso, a veicolo di prospettive e di aspirazioni svincolate dal dibattito sulle teorie economiche, a un modello di un nuovo progetto di uomo prima che di società. Parlato evidenzia, quindi, una differenza di opinioni tra chi attua un «rifiuto dei valori economici e mercantili considerati vili e materialistici» e chi, come l’ambiente sindacale, crede che «proprio sul terreno economico e sociale si doveva condurre la lotta contro la classe borghese e contro gli squilibri classisti determinati da ragioni economiche» (p. 110). Il sindacato, però, è ben consapevole che per realizzare la «Rivoluzione fascista», all’azione socio-economica deve essere accompagnata quella educativa, proprio con questo obiettivo vengono istituite scuole sindacali: «Lo scopo delle scuole era quello di colmare il forte divario che da sempre, anche in periodo prefascista, aveva connotato la preparazione dei datori di lavoro rispetto a quella dei lavoratori; una differenza che aveva la sua origine in evidenti caratteristiche sociali ed economiche e che dipendeva dal diverso livello di scolarizzazione delle due parti sociali. Un divario che la “rivoluzione fascista” riteneva in qualche modo di dovere colmare, pena la perpetua sudditanza dei lavoratori rispetto ai datori di lavoro» (p. 85).
Nonostante la storiografia contemporanea riconosca ormai, soprattutto dopo gli studi di De Felice, l’esistenza di varie e composite anime all’interno del fascismo, per molto tempo l’esistenza di una componente rivoluzionaria è stata marginalizzata o addirittura negata. Questo testo risulta quindi essere di fondamentale importanza per comprendere a pieno quel variegato, complesso e immenso universo nato dalla mente di Benito Mussolini.