Enrico Orsenigo (1992), psicologo iscritto all’Ordine degli Psicologi del Veneto, è Ph.D. Student in Learning Sciences and Digital Technologies all'Università degli studi di Modena e Reggio Emilia. Nei suoi articoli si occupa di psicologia clinica, psicologia dello sviluppo, psichiatria fenomenologica e filosofia della tecnica.

Charlie Parker Plays Bossa Nova potrebbe sembrare il titolo di un racconto di fantascienza. Chiunque possieda una minima conoscenza del jazz sa che Charlie Parker e la bossa nova non rappresentano un accostamento tra i più consueti. Certamente, l’originalità e l’intelligenza di Parker avrebbero potuto condurlo a sperimentare con il suo jazz e a trovare dei collegamenti con la bossa nova, ma ciò non è mai accaduto. Tranne che nella dimensione della pagina scritta: uno scrittore giapponese negli anni Sessanta ha fatto credere, e persino dubitare, della morte di Charlie Parker e di un possibile incontro tra quest’ultimo e la musica bossa nova.

Murakami Haruki, ancora liceale, scrisse Charlie Parker Plays Bossa Nova, un racconto-recensione pubblicato nella rivista culturale del liceo che frequentava. In sostanza, il saggio narrava che Charlie Parker, oltre a non essere morto, si era appena imbattuto nella bossa nova e aveva dato vita a una sua rivisitazione dei ritmi classici di questo genere in chiave jazz. Un nuovo disco, ricco di sfumature musicali molto sperimentali, in cui tuttavia il timbro di Parker era riconoscibile. Il saggio di Murakami sollevò numerose perplessità e persino irritazioni, inclusa quella del preside, che decise di non far più scrivere il giovane Murakami sulla rivista. Tuttavia, il preside era anche soddisfatto perché finalmente le letture e i commenti della rivista erano aumentati.

La vicenda non termina qui. Nel 2020, Murakami pubblica Prima Persona Singolare. In questo libro, un capitolo si intitola Charlie Parker Plays Bossa Nova, dove racconta come, una mattina a New York, entrando in un negozio di dischi, si imbatté in un album dal titolo Charlie Parker Plays Bossa Nova. Perplesso, stupito, incuriosito, decise tuttavia di lasciarlo lì, di non acquistarlo. Pensò che poteva essere solo il tentativo di qualcuno che aveva letto il suo testo all’epoca e che ne aveva ricavato una finzione sulla finzione: Murakami aveva dato vita a una storia inventata e qualcun altro aveva fatto la medesima operazione creando la versione musicale di quanto Murakami aveva scritto nel suo testo. Tuttavia, Murakami rimase confuso e perplesso fino al giorno successivo, quando decise di tornare nel negozio di dischi per acquistare l’album. Il proprietario riferì che tra gli scaffali del negozio non aveva mai tenuto un disco con quel nome. Il proprietario chiese a Murakami il nome dell’autore del presunto album, ma Murakami precisò che la copertina riportava solo il titolo e i titoli delle varie canzoni, che erano gli stessi inventati nel saggio degli anni Sessanta dal giovane scrittore giapponese.

Anni più tardi, Murakami racconta in Prima Persona Singolare, fece un sogno in cui gli apparve Charlie Parker che suonava del jazz bossa nova. Un sogno in cui Parker eseguiva per Murakami i pezzi dell’album che non aveva mai realizzato, che avevano preso vita solo attraverso la penna del Murakami liceale. Alla fine del sogno, lo stesso Parker lo ringraziava direttamente per avergli dato una seconda vita e nuove possibilità di sperimentazione.

Quanto appena descritto può essere definito con un concetto che Vladimir Jankélévitch chiama «transitività dell’arte»: quando un’invenzione in un campo artistico migra in un altro campo, artistico o di altro tipo. In questo caso, si sono verificate due migrazioni: una in un altro campo artistico, ossia dalla letteratura alla musica; e la seconda dalla letteratura al sogno, e potremmo dire alla biologia, in quanto i sogni sono una componente essenziale del nostro organismo.

Il tutto, lo ribadiamo, cominciato per gioco, per divertimento: Murakami che utilizza la pagina scritta, la tecnologia alfabetica, per dare vita a un divertissement, quasi una presa in giro, anche se le intenzioni del giovane scrittore, forse, erano anche più che serie, in bilico tra rigore e passione. E questo diede vita a una catena di avvenimenti che hanno coinvolto le vite di altri. Almeno la vita di altri due: il primo, del musicista che ha deciso di incidere il disco, seguendo passo passo le indicazioni contenute nelle poche pagine del saggio-recensione di Murakami; e il secondo, Murakami stesso, ma da adulto, quando nel tempo del riposo notturno si vide comparire Parker e assistette all’esibizione di quest’ultimo nei pezzi musicali che non aveva mai suonato, che erano stati inventati di sana pianta da Murakami liceale.

Questo esempio è solo uno tra i moltissimi che possono essere citati per illustrare il concetto di transitività artistica, un fenomeno di prestito sia concettuale sia narrativo. Una serie di intuizioni viene presa sul serio al punto da essere incorporata, trasformandosi in modelli mentali o persino in schemi-guida che iniziano a funzionare come modus vivendi et operandi, orientando scelte e comportamenti.

Molte storie, con le loro ambientazioni e i loro personaggi, sono diventate fluttuanti, nel senso che la maggioranza delle persone le conosce soprattutto per le loro “vite” extratestuali piuttosto che per il testo originario che le ha introdotte. Fin dall’infanzia siamo esposti a questo fenomeno; si pensi, ad esempio, a Cappuccetto Rosso raccontata dalle nostre madri in versioni differenti. Una madre potrebbe scegliere la versione di Perrault, che differisce da quella dei Grimm, oppure, molto più spesso, una versione che fonde le due varianti e se ne discosta. In questo senso, più che il libro di Cappuccetto Rosso, a transitare verso di noi è la storia di Cappuccetto Rosso mediata dalla voce materna, che si impegna in un patto finzionale con l’opera per rendere la narrazione più credibile. Una storia di finzione prende vita e corpo attraverso una voce familiare, e nel caso della madre, la voce che conosciamo meglio. Una storia di finzione che, in quel momento, carica e densa della voce e della lingua degli affetti, nessuno direbbe mai che possa essere una storia finta. Finzione o verità, queste storie modellano scelte e comportamenti, sentimenti e sfumature di stati d’animo. In età adulta, la letteratura ci offre innumerevoli altri personaggi e scenari che diventano entità indipendenti dalle loro partiture originarie.

Per concludere, nella raccolta di saggi dal titolo Confessioni di un giovane romanziere Umberto Eco osserva:

Alcuni, nel loro vagare al di fuori dei testi originali, si sono confusi tra loro, come Philip Marlowe, Sam Spade o il Rick Blaine di Casablanca (ricordiamo che Casablanca era inizialmente una commedia dal titolo Everybody Comes to Rick’s). Questi personaggi, diventati indipendenti dai testi di origine, circolano in qualche modo tra noi, spesso ispirano i nostri comportamenti, talora li eleggiamo a metro di giudizio, e diciamo che qualcuno ha un complesso edipico, un appetito gargantuesco, è geloso come Otello, ha dubbi amletici o è un Don Abbondio (2023, pp. 202-203).

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