Antonio Magliulo (1962) è professore ordinario di Storia del pensiero economico presso il Dipartimento di Scienze per l'Economia e l'Impresa dell'Università degli Studi di Firenze. Membro della European Society for the History of Economic Thought (ESHET) e della Associazione Italiana per la Storia del pensiero economico (AISPE). Fa parte anche dell’Editorial Board della rivista «History of Economic Thought and Policy». Oltre a numerosi articoli e saggi su riviste nazionali ed internazionali, tra le sue pubblicazioni più recenti: Il pensiero dei padri costituenti: Ezio Vanoni(Il Sole 24 Ore, Milano 2013); Gli economisti e la costruzione dell'Europa(Editrice Apes, Roma 2019); A History of European Economic Thought (Routledge, London 2022).

Dal 3 al 7 luglio 2024 si è svolta a Trieste la 50ma Settimana Sociale dei Cattolici Italiani sul tema: «Al cuore della democrazia». La Settimana, a cui hanno partecipato circa mille delegati in rappresentanza di vari movimenti della società civile, è stata aperta dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e chiusa da Papa Francesco. Nelle intense giornate triestine sono state condivise esperienze di autentica partecipazione popolare, esaminati aspetti della perdurante recessione democratica e ascoltate le penetranti parole di autorità civili e religiose. Vale la pena domandarsi: emerge, dopo Trieste, un compito nuovo dei cattolici in politica?

Proverò a rispondere articolando la mia riflessione in due parti. Nella prima cercherò di cogliere un aspetto, spero significativo, del contributo dato dai cattolici alla democrazia italiana nel lungo arco temporale che va dal 1874, anno del Primo Congresso dei cattolici italiani, ai giorni nostri. Nella seconda proverò a recepire il messaggio di Trieste.

Prima è però necessario un chiarimento lessicale. La democrazia è il governo del popolo e per il popolo. Nella prima accezione si parla di democrazia formale, nella seconda di democrazia sostanziale. Possono esserci, e vi sono stati, dei veri e propri paradossi: un governo del popolo che agisce contro il popolo oppure un governo di élite che opera per il popolo. Tocqueville ha mostrato, in modo persuasivo, come un governo del popolo può agire contro il popolo degenerando in una “tirannia della maggioranza”. Kelsen, in modo altrettanto persuasivo, ha sostenuto che solo un governo del popolo può essere considerato autenticamente democratico perché, in teoria, anche un despota potrebbe agire per il bene del popolo. Bobbio, infine, ha elencato, in modo magistrale, le condizioni di una democrazia piena o perfetta, che è formale e sostanziale, del popolo e per il popolo.

Con queste rudimentali ma potenti lenti possiamo provare a leggere il contributo dato in passato dai cattolici alla democrazia italiana. Possiamo individuare, semplificando molto, un primo macro-periodo che va dal 1874 al 1944, dall’Italia liberale all’Italia fascista. In questo settantennio, i cattolici danno un contributo fondamentale all’avanzamento della democrazia sostanziale e forzatamente ridotto allo sviluppo della democrazia formale. Con la sola, significativa, eccezione del Partito Popolare di Sturzo che opera nel quinquennio 1919-24, la presenza politica dei cattolici nelle istituzioni è infatti limitata da un duplice divieto: prima il non expedit, decretato dalla Chiesa nel 1874, che consiglia ai fedeli di non partecipare alla vita pubblica per non legittimare i “fatti compiuti” a Porta Pia; poi il regime fascista che soffoca ogni voce libera. Ma i cattolici sono presenti con una ramificata rete di opere sociali che tutelano, di fatto, fondamentali diritti della persona: scuole, ospedali, orfanatrofi, casse rurali. Nel 1875, dopo il Primo Congresso veneziano del 1874, nasce a Firenze l’Opera dei Congressi che organizza e potenzia una rete di opere sociali che permane nella società italiana anche dopo il formale scioglimento dell’Opera decretato dalla Chiesa nel 1904.

Con la fine del fascismo, inizia un secondo macro-periodo che, sempre semplificando, va dal 1945 al 1994. In questo cinquantennio, che è poi quello della cosiddetta Prima Repubblica, i cattolici danno un contributo fondamentale all’avanzamento della democrazia sia formale che sostanziale, con una Costituzione che riconosce nuovi e fondamentali diritti umani e un originale modello di economia sociale di mercato che mira a tutelare i diritti riconosciuti. I cattolici sono presenti con un partito nuovo, la Democrazia Cristiana, e con la perdurante rete di opere sociali.

Infine, nell’ultimo trentennio, che va dal 1994, anno di scioglimento della Democrazia Cristiana, ai giorni nostri, la presenza pubblica dei cattolici nella società italiana si caratterizza, da un lato, per la rapida dissolvenza di un visibile “corpo politico” e, dall’altro, per la invisibile ma reale e preziosa presenza di una miriade di associazioni e cooperative che operano nei cruciali campi dell’assistenza e dell’educazione.

In breve, possiamo forse affermare che nei centocinquant’anni che vanno dal 1874 ad oggi i cattolici hanno dato un contributo sempre rilevante all’avanzamento e consolidamento della democrazia sostanziale, intesa come fattivo riconoscimento dei fondamentali diritti della persona umana, e limitato nel tempo all’avanzamento e consolidamento della democrazia formale, intesa come partecipe governo del popolo. Un contributo diretto, attraverso un partito di chiara ispirazione cristiana, si è avuto soltanto nel quinquennio del Partito Popolare e nel cinquantennio della Democrazia Cristiana (seguito da un altro, meno significativo, quinquennio del rinato Partito Popolare).

In questo quadro, grossolanamente descritto, si svolge la Settimana Sociale di Trieste, aperta dal Presidente Mattarella, che ha ricordato la lezione di Bobbio, animata da mille delegati (e mons. Zuppi ha opportunamente sottolineato come a Trieste la partecipazione sia stata vissuta e non declamata) e conclusa con un potente messaggio di Papa Francesco.

Al cuore della democrazia c’è, secondo Francesco, l’infinita dignità di ogni persona umana. Francesco non utilizza la coppia formale/sostanziale, ma cita Giuseppe Toniolo che si servì di quelle categorie per delineare un “concetto cristiano della democrazia” (titolo di un suo fondamentale saggio del 1897). Nell’Immortale Dei del 1885 Leone XIII aveva infatti affermato che la Chiesa considera ugualmente legittime diverse forme di governo, inclusa la democrazia, e cioè il governo del popolo, che non va però intesa come una forma esclusiva o prediletta. Nel saggio del 1897 Toniolo chiarisce che, nel suo significato sostanziale o essenziale, e dunque stabile o permanente, la democrazia è un governo per il popolo e in particolare per le classi più deboli. Nel suo significato accidentale, e dunque conseguente e transeunte, è un governo del popolo e possibilmente di tutto il popolo. Nel primo significato “deve essere accettata da tutti i cattolici”, mentre nel secondo può essere propugnata senza che diventi “argomento di discordia”. La Chiesa accetterà incondizionatamente la democrazia formale solo più tardi; in particolare nel Radiomessaggio del Natale 1944 di Pio XII e nelle Conclusioni della XIX Settimana Sociale di Firenze dell’ottobre 1945, dove si legge: “Di fronte al problema della Costituente i cattolici italiani prendono posizione francamente e definitivamente per la democrazia, come regime più consentaneo e più aderente al pensiero e allo spirito cristiano”.

Dunque, anche se Francesco non utilizza la coppia formale/sostanziale, è evidente che pensa ad una democrazia piena, formale e sostanziale: è evidente perché pone al cuore della democrazia l’infinita dignità di ogni persona umana.

A Francesco preme sottolineare un duplice aspetto: mostrare in che senso è un cuore ferito («infartuato») e come può essere risanato.

Il cuore della democrazia è stato ferito dalla dilagante “cultura dello scarto” che si manifesta ogniqualvolta qualcuno viene escluso o emarginato dalla comunità civile. Afferma il Papa: «La cultura dello scarto disegna una città dove non c’è posto per i poveri, i nascituri, le persone fragili, i malati, i bambini, le donne, i giovani, i vecchi».

Il cuore della democrazia va risanato con la «cultura dell’amore politico», un’espressione, sorprendente, che ritroviamo già nella Fratelli tutti. L’amore politico non si ferma alle conseguenze, non lenisce solo le ferite, non si preoccupa solo di alcuni ma si prende «cura del tutto», opera, preventivamente, per il bene di tutti e di ciascuno, per il bene comune. Il Papa indica i segni di un cuore in via di guarigione:

Se ci guardiamo attorno, vediamo tanti segni dell’azione dello Spirito Santo nella vita delle famiglie e delle comunità. Persino nei campi dell’economia, della ideologia, della politica, della società. Pensiamo a chi ha fatto spazio all’interno di un’attività economica a persone con disabilità; ai lavoratori che hanno rinunciato a un loro diritto per impedire il licenziamento di altri; alle comunità energetiche rinnovabili che promuovono l’ecologia integrale, facendosi carico anche delle famiglie in povertà energetica; agli amministratori che favoriscono la natalità, il lavoro, la scuola, i servizi educativi, le case accessibili, la mobilità per tutti, l’integrazione dei migranti. Tutte queste cose non entrano in una politica senza partecipazione. Il cuore della politica è fare partecipe. E queste sono le cose che fa la partecipazione, un prendersi cura del tutto; non solo la beneficenza, prendersi cura di questo …, no: del tutto!

Infine, il compito affidato ai cattolici. Non siate una lobby a difesa di interessi particolari, magari nobili, ma contribuite al bene comune con l’amore politico e cioè con una caritas che dal particolare abbraccia il mondo intero:

Non lasciamoci ingannare dalle soluzioni facili. Appassioniamoci invece al bene comune. Ci spetta il compito di non manipolare la parola democrazia né di deformarla con titoli vuoti di contenuto, capaci di giustificare qualsiasi azione. La democrazia non è una scatola vuota, ma è legata ai valori della persona, della fraternità e anche dell’ecologia integrale. Come cattolici, in questo orizzonte, non possiamo accontentarci di una fede marginale, o privata. Ciò significa non tanto di essere ascoltati, ma soprattutto avere il coraggio di fare proposte di giustizia e di pace nel dibattito pubblico. Abbiamo qualcosa da dire, ma non per difendere privilegi. No. Dobbiamo essere voce, voce che denuncia e che propone in una società spesso afona e dove troppi non hanno voce. Tanti, tanti non hanno voce. Tanti. Questo è l’amore politico, che non si accontenta di curare gli effetti ma cerca di affrontare le cause. Questo è l’amore politico. È una forma di carità che permette alla politica di essere all’altezza delle sue responsabilità e di uscire dalle polarizzazioni, queste polarizzazioni che immiseriscono e non aiutano a capire e affrontare le sfide.

Ecco mi pare che il messaggio di Trieste sia proprio questo: la caritas, l’amore all’altro, al mio prossimo, si estende fino agli estremi confini del mondo.

Provo in conclusione a rispondere al quesito iniziale cercando di evitare ogni impropria manipolazione delle parole del Papa. Qual è dunque il compito nuovo dei cattolici in politica? Da un certo punto di vista è quello “vecchio” o, se preferite, eternamente nuovo: vedere e amare Gesù nell’altro, chiunque sia, nascituro o moribondo, eterosessuale o omosessuale, datore di lavoro o lavoratore, italiano, francese o georgiano, campione olimpico o diversamente abile, eccetera, eccetera. Ma c’è, secondo me, un compito contingentemente nuovo, che riguarda proprio noi, qui ed ora: avviare processi di partecipazione popolare per concorrere a risanare il cuore della democrazia.

La democrazia, anche quella italiana, è ancora malata. Lo è nella sua dimensione sostanziale perché fondamentali diritti della persona, a cominciare da quello alla salute, sono minacciati e non tanto (o non solo) da improvvidi politici ma da un contesto generale che dirotta altrove le risorse necessarie per finanziare una crescente spesa assistenziale e sanitaria. Lo è nella sua dimensione formale perché cresce l’astensionismo e si deteriora la partecipazione popolare: quanti sono oggi in Italia, e forse nel mondo, i partiti realmente democratici?

Il fatto è che la democrazia formale è sostanziale: non solo perché, nel tempo, solo un governo del popolo può davvero prendersi cura del popolo ma anche perché la partecipazione alla vita pubblica è un bene per la persona: è la libertà positiva di concorrere alle scelte comuni che si aggiunge alla libertà cosiddetta negativa di essere difesi dai potenziali soprusi di altri o dell’autorità politica, sono i diritti/doveri di partecipazione politica che si aggiungono ai diritti  civili e sociali individuali.

Il compito nuovo che attende oggi i cattolici è, secondo me, concorrere a rigenerare la democrazia, formale e sostanziale. Certo, continuando ad impegnarsi nel variegato e ricco mondo del terzo settore, oppure sostenendo liste civiche che hanno a cuore realtà locali, oppure promuovendo manifesti programmatici da sottoporre all’attenzione di variegate forze politiche o intessendo un dialogo sociale tra diversi attori della comunità civile e politica. Ma, ed è questo il punto, pensando seriamente anche alla fondazione di un nuovo partito che resta, come recita l’articolo 49 della vigente Costituzione, lo strumento principale per concorrere al bene comune: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.

Oggi serve, a mio giudizio, un partito autenticamente democratico e di ispirazione cristiana che traduca in un programma politico gli insegnamenti sociali della Chiesa cattolica. Stupisce come nessuna forza politica consideri seriamente quegli insegnamenti. Si prenda il recente documento Dignitas infinita del Dicastero per la Dottrina della Fede. Lì si trovano esaminate alcune gravi violazioni della dignità umana: non solo aborto e eutanasia ma anche il dramma della povertà, la guerra, il travaglio dei migranti, la tratta delle persone.

I cattolici oggi sembrano divisi tra destra e sinistra: tra coloro che si arroccano in difesa dei valori non negoziabili ma sono contro migranti, Europa e ambiente e coloro che, più sensibili alle istanze sociali, occultano i temi di bioetica.

C’è bisogno di una forza politica che, in piena autonomia, sviluppi l’insegnamento sociale della Chiesa elaborando proposte, concrete, per difendere la vita, dal concepimento alla fine naturale, costruire un sistema educativo integrato, accogliere i migranti, continuare a costruire un’Europa forte e unita che possa promuovere anche una politica di aiuto allo sviluppo e di pace.

Non un partito dei o di cattolici ma un partito autenticamente democratico e di ispirazione cristiana che concorra a formare un centro che, sempre a mio giudizio, dovrebbe allearsi col PD anche per contenerne le spinte più radicali.

Un partito che si prenda cura del tutto e non di una parte, con i meno giovani che si mettono al servizio dei più giovani e i più giovani che concepiscono la politica come un servizio alla comunità e non una professione o una carriera. Senza personalismi o egocentrismi. Senza l’ansia di occupare spazi ma con l’inquietudine di avviare processi.

Da semplice cittadino e docente mi permetto di rivolgere un appello ai mille delegati di Trieste e soprattutto a coloro che rappresentano pezzi di società civile: convocate al più presto un’Assemblea Costituente per dare vita ad un nuovo partito, autenticamente democratico e di ispirazione cristiana. Come ha detto il Papa a Trieste: «A questa carità politica è chiamata tutta la comunità cristiana, nella distinzione dei ministeri e dei carismi».

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