Antonio Magliulo (1962) è professore ordinario di Storia del pensiero economico presso il Dipartimento di Scienze per l'Economia e l'Impresa dell'Università degli Studi di Firenze. Membro della European Society for the History of Economic Thought (ESHET) e della Associazione Italiana per la Storia del pensiero economico (AISPE). Fa parte anche dell’Editorial Board della rivista «History of Economic Thought and Policy». Oltre a numerosi articoli e saggi su riviste nazionali ed internazionali, tra le sue pubblicazioni più recenti: Il pensiero dei padri costituenti: Ezio Vanoni (Il Sole 24 Ore, Milano 2013); Gli economisti e la costruzione dell'Europa (Editrice Apes, Roma 2019); A History of European Economic Thought (Routledge, London 2022).

Recensione a
C. Panella, Elogio del sovranismo. Per un’Europa delle patrie
Piemme, Milano 2022, pp. 190, €10,90.

In un famoso saggio del 1949, intitolato Gli intellettuali e il socialismo, Hayek spiegava l’enorme potere di cui dispongono gli intellettuali. Essi hanno il potere di plasmare l’opinione pubblica e influire sulle decisioni delle autorità politiche. Quelli che, apparentemente, sono puri scontri di interesse, in realtà, argomenta Hayek, sono soltanto il riflesso di più reconditi duelli tra antagonistiche idee. Ma l’intellettuale, contrariamente a quanto comunemente si pensa, non è né un pensatore originale né un vero esperto della materia. È piuttosto un “intermediario” nel mercato delle idee.

Appartengono alla classe degli intellettuali giornalisti, insegnanti, conferenzieri, pubblicisti, scrittori, ecc. Probabilmente, dice Hayek, in nessun tempo c’è stata una maggioranza di veri economisti favorevole al socialismo. Eppure, la maggioranza degli intellettuali, attingendo alle idee di una minoranza di economisti, è riuscita ad accreditare nell’opinione pubblica la falsa credenza che il socialismo avesse solide basi scientifiche e fosse destinato a prevalere nella storica lotta col capitalismo.

Carlo Panella è un giornalista e scrittore molto noto all’opinione pubblica, un intellettuale nel senso di Hayek, che ha appena pubblicato un volume che già nel titolo porta impressa la soluzione prospettata all’irrisolto problema europeo. Il libro si articola in 19 capitoletti, alcuni dei quali contengono box di carattere storico, una postfazione e un’appendice, per complessive 188 pagine.

La tesi dell’Autore è che i principali problemi europei derivano dalla paralizzante illusione di poter un giorno completare il processo di integrazione economica con la costituzione di un autentico Stato federale. È un’illusione perché in realtà nessun paese europeo vuole realmente rinunciare alla propria sovranità nazionale ed è paralizzante perché genera quella ciclica serie di veti incrociati che impediscono di assumere decisive scelte politiche. Si abbandoni l’illusione federalista e si riprenda il disegno di De Gaulle di costruire un’Europa delle patrie e cioè una confederazione di Stati nazionali che cooperano su alcune materie senza rinunciare, o poco rinunciando, alle rispettive sovranità nazionali. Secondo Panella, è possibile farlo. Basta accontentarsi di quanto si è fatto finora, che è molto –  mercato comune e moneta unica – rinunciando ad andare oltre, verso l’utopistica meta degli Stati Uniti d’Europa. In fondo, argomenta l’Autore, abbiamo avuto finora mercato e moneta senza un vero Stato europeo. E siamo stati anche capaci di compiere gesti di autentica solidarietà come il varo del Next Generation EU.

Dunque, è possibile avere un’Europa meno austera e più solidale: basta volerlo. Occorre però rinunciare all’illusione federalista evitando quei colpi di mano giacobini, come la cosiddetta clausola di condizionalità, che vincola l’erogazione dei fondi del Recovery Plan al rispetto di specifici diritti civili. In questo modo si ricade nell’utopia dell’Europa federale e si viola l’implicito patto di un’Europa confederale. Ma leggiamo direttamente alcuni eloquenti brani del libro.

Si abbandoni il sogno federalista che è all’origine della paralisi europea:

L’illusione che l’unificazione politica degli stati sia il risultato obbligato dell’unificazione economica si infrange di vertice in vertice … Si prenda atto che l’unificazione economica, di mercato e della moneta ha dato il massimo … Si ammetta finalmente che alla costruzione europea dei mercati e dell’economia manca il cervello, manca l’anima, manca il cuore. E mancano perché si fa finta di onorare il totem di uno Stato Europeo che non si farà mai. Perché, in fondo, nessuno lo vuole. Perché, chiaramente e nettamente, ogni stato difende gelosamente la sua sovranità (p. 6).

E ancora:

Si prenda finalmente atto che non si arriverà mai allo stato federale europeo, agli Stati Uniti d’Europa (p. 12).

Si abbracci la prospettiva di un’Europa confederale fondata su mercato comune e moneta unica:

La base materiale, economica, per questo assetto confederale è stata costruita e va dato merito ai suoi fautori. Il Vecchio Continente sta riuscendo nell’impresa di avere un mercato unico, addirittura una moneta unica … ma senza uno Stato Europeo (p. 7).

Un’Europa meno austera e più solidale:

Sicuramente però “meno Europa” per la sua idolatria della parità di bilancio imposta dall’ordoliberalismo teutonico, che ha ostacolato lo sviluppo e imposto una macelleria sociale a danno dei ceti medi e degli strati bassi della popolazione (p. 8).

Un’Europa meno ordoliberale e più keynesiana:

L’ordoliberalismo e il culto della rigidità di bilancio, ai quali la Germania ha piegato l’Europa, hanno mostrato con la pandemia la propria debolezza teorica e pratica. L’opposta politica keynesiana di investimenti finanziati in deficit, tentata da Joe Biden (per ben 2.000 miliardi di dollari) e da Boris Johnson non è più una bestemmia. I titoli europei di debito emessi per finanziare il Recovery Fund, in buona parte finalizzato agli investimenti, non sono certo gli Eurobond, possibili solo in una altra Europa, ma dimostrano che persino Berlino e Francoforte hanno preso atto di dovere abbandonare dogmi decennali (p. 10).

Panella documenta in modo efficace la difficoltà in cui versa oggi l’Europa: la paralisi dei veti incrociati che frena l’assunzione di decisioni importanti. Condivisibile è anche la latente preoccupazione di scongiurare il pericolo di un’eccessiva concentrazione dei poteri nelle istituzioni europee a discapito delle istituzioni nazionali. Quello che per me non è condivisibile è la tesi di fondo e cioè l’idea secondo cui all’origine dei principali problemi europei vi sia l’illusione federalista.

Al contrario, a mio parere, la vera illusione è proprio quella confederalista perorata da Panella: è un’illusione pensare di poter avere un’Europa meno rigorosa e più solidale rafforzando i poteri degli Stati nazionali. Panella cita come esempio virtuoso le politiche keynesiane attuate dall’America di Biden e dall’Inghilterra di Johnson. Ma, non a caso, quei paesi hanno, accanto ad una Banca centrale nazionale, uno Stato che può attuare una efficace e autonoma politica fiscale. Panella cita, a riprova della possibilità di poter avere un’Europa più solidale e meno austera, il Next Generation EU. Ma quello è un intervento straordinario, reso possibile dalla sospensione e non dalla cancellazione del Patto di Stabilità e Crescita, che sarà presto reintrodotto, sia pure in una versione probabilmente modificata.

Il confederalismo non solo non può mantenere la promessa di un’Europa meno rigorosa e più solidale (e sicura), ma rischia anche di distruggere quanto costruito finora. La ragione, che si fa fatica a comprendere, è contenuta nella storia dell’integrazione europea e nella teoria economica di Premi Nobel come Robert Mundell, e può essere così riassunta: il mercato unico ha bisogno di un’unione monetaria (e per questo, ad un certo punto, nasce l’Euro), la moneta unica, in presenza di shock asimmetrici e cioè quando un’area (il Nord Europa) è in ripresa e un’altra (il Sud Europa) sprofonda in recessione o quando eventi, come la pandemia, colpiscono in modo diseguale i singoli paesi, non basta più e c’è bisogno di una politica fiscale comune e cioè, in sostanza, di una condivisione, anche parziale, dei debiti sovrani, che richiede, inevitabilmente, una più avanzata unione politica democratica.

L’Europa è una incompiuta casa comune. Una casa si costruisce dalle fondamenta ma poi, senza il tetto, è esposta alle intemperie della natura e va in rovina. Oggi si tratta di completare la casa comune europea evitando di farne una fortezza, interna ed esterna, garantendo una distribuzione dei poteri conforme al principio di sussidiarietà (orizzontale e verticale) e assicurando la necessaria differenziazione tra chi vuole proseguire nel processo di unificazione politica fino a costituire una compiuta federazione e chi preferisce fermarsi a livelli intermedi di integrazione economica, rinunciando per esempio all’Euro. Ma occorre scegliere. Ed è un’illusione pensare che un’Europa confederale, e cioè più nazionalistica, possa essere anche più solidale.

La vera alternativa è tra un’Europa confederale, che restituisce poteri ai governi nazionali limitandosi a episodici momenti di solidarietà tra nazioni, e un’Europa federale, fondata sul principio di sussidiarietà, che diventa in grado di gestire, con la forza di una vera Unione, grandi questioni sovranazionali come l’approvvigionamento energetico, l’innovazione tecnologica, i flussi migratori, la sicurezza, la politica estera, lo sviluppo equilibrato e sostenibile dei paesi. Un’Europa che dispone di un bilancio comunitario adeguato per condurre una più incisiva politica fiscale comune da affiancare alla già sperimentata politica monetaria orientata all’obiettivo della stabilità dei prezzi. Se si vuole, come anche i sovranisti sembrano volere, un’Europa solidale e addirittura keynesiana, occorre dotarla degli strumenti appropriati, che non possono essere quelli di una tipica, e cioè debole, confederazione.

Dobbiamo essere grati a Carlo Panella, intellettuale nel senso di Hayek, per aver esplicitato, con chiarezza, la visione del sovranismo nazionalista e per averne, implicitamente e senza volerlo, evidenziato i limiti.

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