Giuseppe Lubrino (1990) ha conseguito Laurea Magistrale in Scienze Religiose con indirizzo pedagogico-didattico nel 2017 presso la Pontificia facoltà teologica dell’Italia Meridionale all’Issr. “G. Duns Scoto” di Nola-Acerra.  Ha discusso una dissertazione scritta dal titolo L’Educazione nel pensiero di Joseph Ratzinger. Una pedagogia del cuore. Attualmente insegna Religione Cattolica presso la Scuola Secondaria di secondo grado: “Iti.Marconi-Galilei” a Torre Annunziata (Na). Appassionato di Teologia biblica, approfondisce i suoi studi sul pensiero e l’opera di J. Ratzinger e sulla paideia cristiana.

Recensione: G. Ravasi, Ritorno alle virtù. Alla riscoperta di uno stile di vita, Mondadori, Milano 2005, pp. 129, € 12,00.

In un mondo assuefatto dalla logica utilitaristica in cui regna l’imperativo: tutto è lecito purché io sia felice! I princìpi etici e i valori caratterizzanti la dignità propria dell’umano vanno sempre più alla deriva. A partire da tale presupposto, ci si chiede se ha ancora senso parlare di virtù. Gianfranco Ravasi docente di Esegesi biblica, esperto ebraista e autore di numerosi saggi, articoli e testi di carattere biblico-culturale affronta il tema delle virtù, ricostruendone la trama che ha attraversato di lungo e in largo l’intera storia del pensiero occidentale. Ciò al fine di offrire agli uomini e le donne del nostro tempo una bussola perché possano orientarsi nei meandri della propria esistenza con consapevolezza e responsabilità per affrontare così le sfide etiche del terzo millennio.

Ravasi nella redazione del testo si lascia ispirare da una legge della storia che, dinanzi alla perdita di un valore fondante, avverte la nostalgia e sorge la necessità di riaffermarlo, tale è il caso delle virtù. Nel percorso tracciato dal testo si intrecciano teologia e filosofia, morale laica con morale religiosa, antropologia e storia ai fini di indicare ad ogni persona il sentiero da percorrere per una vita piena e felice nonostante la fragilità costituisca un aspetto caratteristico proprio della conditio humana. Si rileva, inoltre, come la virtù sia stata nel corso dei secoli un concetto strattonato, abusato e contraffatto anche nella sua accezione etimologica si pensi – ad esempio – in epoca greco-romana come il concetto di virtù sia stato erroneamente assimilato alla virilità in senso bellico e agonico. Oggi, invece, con l’avvento dell’informatica e della rivoluzione tecnologica esso sta a significare la realtà virtuale e così via. Detto questo, si rileva che per una prima classificazione e formulazione delle virtù cardinali occorre riferirsi alla opera: La Repubblica (IV, 427e-433e) di Platone in cui vengono elencate: Giustizia, Prudenza, Fortezza e Temperanza. Oltre ciò, tale classificazione la troviamo anche nella Bibbia in epoca ellenistica nel libro della Sapienza:

Se uno ama la giustizia, le virtù sono il frutto delle sue fatiche. Essa insegna infatti la temperanza e la prudenza, la giustizia e la fortezza, delle quali nulla è più utile agli uomini nella vita (Sap 8,7).

Il termine poi ‘cardinale’ lo dobbiamo a Sant’Ambrogio (340-397) che nel suo  commento al vangelo secondo Luca utilizza tale espressione e rende così le virtù una vera e propria mappa per l’esistenza umana. Esse sono una lampada che guida, orienta e illumina i passi dell’uomo. Inoltre, alla tradizione Biblica dobbiamo la formulazione delle tre virtù teologali: Fede, Speranza e Carità. In particolar modo, tale formulazione è presente negli scritti di san Paolo:

Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo. (Cfr. 1Ts 1,2-3; 1Cor 13,13).

Nella Bibbia le virtù seguono un itinerario ascendente: dalle virtù naturali/cardinali si giunge alle virtù teologali e nell’amore è posto l’apice dell’agire umano credente. Ravasi paragona le virtù ad un caleidoscopio il quale i colori al minimo tocco mutano: nell’epoca classica vigoria e limpidità interiore si intrecciano e coincidono. L’uomo virtuoso compie azioni nobili ma è anche forte fisicamente. Per il “maestro di color che sanno” Aristotele la saggezza (phronesis) costituisce il principio guida dell’agire morale dell’uomo. Nell’opera postuma Etica Nicomachea nel secondo dei dieci libri vi è un’intera sezione dedicata alle virtù.

Dagli scritti dello Stagirita si evince che le virtù sono degli habitus, delle predisposizioni  naturali  dell’uomo ma vanno coltivate e per esplicarsi è necessario che si ricorra all’educazione (paideia) perché si possa conseguire la rettitudine morale che consiste nel ricercare e nel ritrovare il “giusto mezzo”, poiché in medio stat virtus. Successivamente, particolarmente suggestiva sarà l’idea virtù nell’epicureismo: la virtù è il contrio della passione e l’uomo tramite un’ascesi è esortato ad un esercizio costante dell’apatia che procura, appunto, l’assenza delle passioni e ci aiuta a raggiungere la serenità e la pace dello spirito. Ancora – prosegue – l’excursus di Ravasi con lo stoicismo corrente di pensiero in cui la virtù diventa un dea e l’uomo consegue la felicità nella misura in cui si lascia guidare dalla virtù e consegue l’assenza delle preoccupazioni: il male è dovuto dal modo in cui noi ‘valutiamo’ quanto concerne la nostra vita. Pertanto, occorre cambiare il nostro modo di approcciarci alla realtà per non soffrire più e raggiungere la serenità e le virtù costituiscono delle vere e proprie armi in tal senso. Tale concezione della virtù troverà uno strenuo sostenitore in Baruch Spinoza che aggiungendo qualche variante all’idea stoica di virtù sosterrà che essa coincide con la beatitudine stessa.

In ambito cristiano ci viene presentato il contributo magistrale di san Tommaso d’Aquino (1224/5-1274), in merito alla questione delle virtù. L’Aquinate nella sua opera monumentale la Summa Theologiae all’interno della seconda parte nella prima sezione inquadra le virtù nell’ampia trattazione dell’antropologia teologica e in riferimento al rapporto tra natura e grazia e tra libertà umana e azione salvifica di Dio. In Tommaso l’uomo è costantemente in divenire ed è sospinto dalla sua libertà a perseguire l’infinito, ha un’aspirazione all’eterno. In tale percorso, tuttavia, rischia e, non poche volte, di perdersi nelle paludi del male, del peccato. In virtù del peccato primordiale l’essere umano porta dentro di sé una ‘lacerazione’ profonda che lo distoglie dalla via del bene e lo attira sui sentieri del male. Tale tensione insita in ogni persona è descritta in maniera sapiente e sublime dal capitolo 7 della Lettera ai Cristiani di Roma:

Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto. Ora, se faccio quello che non voglio, io riconosco che la legge è buona;  quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me.  Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio (Cfr. Rm 7,15-19).

Per l’Aquinate la virtù consiste nell’habitus (abitudine) a compiere il bene e fuggire il male. Inoltre, è possibile – ci avvisa l’autore – ricavare dagli scritti di Tommaso un vero e proprio corteo delle virtù che procedono nel modo seguente: Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza. Esse sono le virtù morali naturali che aiutano l’uomo a conseguire il suo fine ultimo che in Tommaso coincide con il Bene e, dunque, con Dio stesso. Oltre ciò, Tommaso pone all’apice della sua riflessione le tre virtù infuse (teologali): Amore, Fede e Speranza. L’amore guida la persona umana sui sentieri della fede e la speranza lo sorregge e gli infonde la forza necessaria per attuare il bene. Degno di nota a tal proposito quanto asserisce Confucio (VI-V secolo a.C.) il maestro della spiritualità Cinese: «Belle parole e un aspetto insinuante sono raramente associati con l’autentica virtù». Sì, perché la virtù non è apparenza, ma scelta radicale che, quasi con pudore, effonde attorno a sé il bene irradiando il mondo in cui si svela.

Il testo poi ci presenta anche il pensiero di Immanuel Kant (1724-1804) circa le virtù : “il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”. Tale principio ben esprime l’imperativo categorico che caratterizza l’etica kantiana. L’uomo ha dentro di sé la coscienza che lo orienta a compiere il bene a patto che egli vinca, con la libera volontà, le pulsioni negative che lo attraggono a compiere atti nocivi. La virtù in tale contesto diventa sacrificio di sé per il bene della collettività e la sua pratica si colloca all’interno dell’autonoma libertà dell’uomo. In Machiavelli, invece, la virtù è la capacità di dominare gli eventi, le situazioni e le circostanze in funzione dei propri progetti; in Nietzsche la virtù coincide con la volontà di potenza e consiste nel liberarsi dai postulati morali dell’etica cristiana. Inoltre, dopo un periodo di appannamento riguardo il tema delle virtù un nuovo interesse intorno a questo tema sorse nel secolo scorso con Max Scheler (1874-1928) il quale asserì, nel suo noto saggio Riabilitazione della virtù, che i valori assoluti ed eterni costituiscono il contenuto della virtù e l’uomo può accedervi non già attraverso la sua facoltà razionale ma grazie alla sua facoltà intuitiva e aderendo ad essa con la propria interiorità.

Dopo aver posto in evidenza gli sviluppi che il tema delle virtù ha avuto all’interno della storia del pensiero il nostro autore, in maniera magistrale, passa in rassegna il classico settenario tradizionale delle virtù. Esso ci è presentato nel modo seguente: Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza, Fede Speranza e Carità. Ravasi, pertanto, con metodo scientifico e sistematico sviscera intorno alle virtù le ricchezze più recondite. Egli segue tale procedimento: per prima cosa inquadra i fondamenti biblici della virtù in oggetto, rileva  poi i contributi che in tal senso ci offre la tradizione filosofica e teologica e, infine, conclude con un suo commento che attualizza i contenuti adeguandoli al nostro attuale contesto socio-culturale. Ciò ovviamente per ciascuna delle sette stelle che illuminano l’universo dell’agire morale umano. Risulta particolarmente suggestivo scoprire come in queste pagine la sapienza biblica si intreccia e si incontra con il pensiero filosofico dando vita così ad una fioritura sublime di riflessioni poetiche, storiche e letterarie di alto spessore culturale. Un esempio in tal senso lo ricaviamo dalle considerazioni sulla virtù della prudenza.

L’idea biblica della persona prudente ci è presentata in diversi passi della Sacra Scrittura e, in particolar modo, possiamo rintracciare nell’insegnamento di Gesù delle perle preziose in tale direzione. Ad esempio, nella parabola delle dieci vergini nel vangelo secondo Matteo al capitolo 25, versetti: 1-13; nella parabola del costruttore saggio nel vangelo secondo Luca capitolo 14, versetti:  28-32. Si veda anche Mt 7,24-25: il termine chiave utilizzato dal Nuovo Testamento per indicare un atteggiamento prudente/sapiente è frònimos/prudente. Da tali acquisizioni si comprende come la virtù della prudenza debba essere posta alla base delle nostre scelte, delle nostre decisioni e delle nostre azioni perché il nostro agire sia sorretto sempre da basi solide e consistenti. In definitiva, Ravasi ci presenta in san Tommaso d’Aquino la virtù della prudenza e rileva quanto, interpretando in chiave cristiana gli insegnamenti filosofici platonici e aristotelici, ci offre riguardo la fronésis/ prudenza, tanto da commentare il Fedro di Platone come segue:

Per il celebre filosofo greco la biga è l’anima, la ragione il cocchiere, i cavalli sono rispettivamente le passioni nobili e i desideri carnali, le prime da favorire nel loro trotto, i secondi da dominare nelle loro bizze. Per Tommaso, invece, il cocchio è la virtù nella sua realtà globale, i cavalli ne sono l’articolazione secondo le varie virtù cardinali, ma è proprio la prudenza l’auriga che regge col suo equilibrio l’insieme, così da avanzare in modo armonico.

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