Federico Leonardi (1973) ha svolto attività di ricerca e insegnamento a Milano, Firenze e Londra ed è docente ordinario di Filosofia e Storia nei Licei. Oltre a vari saggi in italiano e in inglese, ha scritto le seguenti monografie: Tragedia e Storia (Aracne, 2014); World History (con Luca Maggioni; Rubbettino, 2015), Aristotele: sapere storico e scienza politica, saggio introduttivo ad Aristotele, Scritti politici (Rubbettino, 2020), prima edizione italiana integrale degli scritti politici dello Stagirita, di cui è anche il curatore; Nel cuore dell'Eurasia. Storia di Russia e Ucraina (Aracne, 2022); Le pietre di Roma (Ensemble, 2024). Collabora con RAI Cultura-Filosofia.

La Bosnia è l’Europa, la Bosnia è vicina a una guerra, l’Europa è vicina a una guerra.

Sì, la Bosnia è l’Europa. Non riusciamo a riconoscerlo perché preferiamo rimuovere quello che siamo per rincorrere ciò che non siamo. Difatti per noi europei l’Europa è diventata un mistero.  Sappiamo che la Bosnia è stata teatro dello scoppio della prima guerra mondiale (1914) e dell’ultima guerra in Europa (1992-95), ma per il resto la ignoriamo.

Gli accordi di Dayton (1995), che decretarono la vera nascita della Bosnia, furono una pace insufficiente ma furono una pace. Poiché finiva la Guerra Fredda e la divisione dell’Europa in due blocchi, si riprendeva il processo di integrazione e finalmente si fondava l’Unione Europea, magnificando il superamento dei nazionalismi, ma si lasciava smembrare nel sangue non soltanto il più grande esperimento di convivenza di diverse etnie e religioni su suolo europeo, ma anche l’unico che dalla Guerra Fredda era riuscito a rimanere libero, la Jugoslavia. Guardata con le lenti ideologiche era soltanto una dittatura comunista e come tale doveva morire, ma è noto che Tito riuscì a farne il capofila di coloro che già guardavano oltre gli steccati, ovvero i Paesi non-allineati.

Sotto la superficie era una realtà grandiosa: Sloveni, Croati, Serbi, Kosovari, Macedoni, Montenegrini, Bosniaci vivevano insieme, così come professavano la loro religione cattolici, ortodossi, musulmani. Quei musulmani avrebbero dovuto far notizia perché erano europei, ma si sa che per la nostra ideologia cieca l’Europa e l’Islam non hanno niente a che vedere e per i nostri media gli unici islamici sono arabi. Eppure la Bosnia è un Paese in cui la metà della popolazione è europea e musulmana da secoli. Così i musulmani bosniaci furono assediati per tre anni a Sarajevo, città di minareti e moschee. Furono aggrediti dai serbi bosniaci, spinti e appoggiati dalla nascente Serbia, che si arrogava il diritto di rappresentare l’intera Jugoslavia. Invece, a Mostar a sferrare l’attacco furono i croati, sospinti e sussidiati dalla neonata Croazia, appena dichiaratasi indipendente dalla Jugoslavia. Uno potrebbe chiedersi: nessuno appoggiò la Bosnia? No, perché aveva la sfortuna di ospitare più etnie e religioni. La Bosnia era ed è mescolanza, era ed è uno Stato non nazionale.

L’Europa rivide campi di concentramento e genocidi. Soltanto gli Usa seppero fermare il conflitto, ma per rispettare gli equilibri esistenti si fecero garanti di accordi miopi. Aggressori e aggrediti furono equiparati. E poi chi avrebbe riconosciuto lo statuto di gruppo aggredito a dei musulmani europei? Inoltre serbi e croati godevano dell’appoggio rispettivamente delle chiese ortodossa e cattolica, i musulmani bosniaci di nessuno (e questo vuoto sarebbe stato colmato, per fortuna parzialmente, da Stati radicali, come Pakistan o Arabia Saudita). Si scelse di fare della Bosnia una federazione di tre aree con confini precisi: la Federazione Serba per i Serbi, la Federazione di Bosnia ed Erzegovina per croati e musulmani insieme, più una terza area minuscola, il distretto di Brčko, che si trova a ospitare tutti e tre i gruppi. A rigor di termini, si sarebbero dovute creare quattro aree: che senso aveva tenere insieme croati e bosniaci musulmani? Eppure, lungimiranza e coraggio avrebbero dovuto suggerire una soluzione diversa: si sarebbe dovuto obbligare serbi e croati a rinunciare alle loro pretese nazionalistiche. Invece, li si è incoraggiati creando per loro dei confini precisi. Tuttavia, li si è costretti al rispetto delle minoranze e su questo vigila un Alto Commissario.

Non è sorprendente che ora la tensione cresca, perché le premesse delle guerra sono state congelate, non cancellate. La parte serba del Paese schiera l’esercito per esercitazioni ufficiali, che per molti rappresentano soltanto dei modi per fare pressione sul governo centrale e sulle istituzioni internazionali allo scopo di ottenere più autonomia. Insomma, minacciare la guerra serve a ottenere più potere negoziale. Le premesse però sono nel non avere tolto ai serbi le pretese nazionalistiche.

Pochi temono che la guerra possa scoppiare davvero. Ma se la storia insegna qualcosa, basta che la miccia delle passioni s’infiammi perché lo scenario muti dalla sera alla mattina. Anche agli inizi della terribile guerra degli Anni Novanta andò in questa maniera: persone che fino al giorno prima era amiche, si ritrovarono nemiche. Le passioni identitarie presero il sopravvento e accecarono ogni altro sentimento di appartenenza. La ragione ci direbbe che non ci sono le condizioni per una guerra, le passioni sì, specialmente quando sono aizzate ad arte dalla politica.

Purtroppo, in Bosnia non esiste nemmeno un Ministero della Cultura unico. Ognuna delle parti ha un suo parlamento e un suo governo e, inoltre, i suoi rappresentanti al governo centrale. Non esiste nessuna narrazione condivisa della storia del Paese, semplicemente perché ciascuna parte coltiva la propria, in cui gli altri rappresentano ancora il nemico. I movimenti culturali che hanno cercato la conciliazione sono stati lasciati spegnere, gli intellettuali che denunciavano i nazionalismi non più ascoltati. Basti citare il caso di Predrag Matvejevic che dovette addirittura migrare all’estero.  I talebani non sono soltanto in Afghanistan, sono in Bosnia. Ma a nessuno conviene dirlo. Anche perché quelli bosniaci spesso non sono musulmani ma cristiani. Non erano cristiani i vari Tudjman, Milosević o Mladić, condannati per crimini contro l’umanità?

Le retoriche nazionaliste attecchiscono perché nessuno ha voluto far seguire ai, pur insufficienti, accordi di Dayton un vero e profondo lavoro culturale che agisse sulla mentalità. La Bosnia è rimasta impigliata in una palese contraddizione: i partiti che dovrebbero distinguersi per le diverse concezioni della società e della giustizia sono ancora legati all’ideologia nazionalistica, così se sei serbo voti il partito serbo, musulmano il partito musulmano, croato il partito croato. Oppure, come la maggioranza fa, non voti più, perché non ti basta la rappresentanza etnica o religiosa. Oppure, migri come la maggior parte dei giovani.

Da luglio è cominciata la presidenza slovena del Consiglio dell’UE ed è stata depositata una carta non ufficiale per ridefinire i confini nei Balcani e in Bosnia. Questo atto sembra andare nella direzione voluta dai leader bosniaci che mirano a smembrare il Paese secondo i confini già esistenti. Non ci rimane che difendere gli accordi di Dayton e da lì continuare a costruire, ma ora bisogna agire contro la disgregazione cieca, che si staglia nell’ignoranza e nell’indifferenza delle opinioni pubbliche europee, convinte che i fondamentalisti siano lontani, in Afghanistan o in Arabia Saudita. No, sono in Europa.

L’Europa sembra avere problemi sui confini, in realtà li ha con se stessa, perché l’Europa è un confine. Ne cerchiamo le radici e la storia ma senza comprenderla più. L’Europa nasce sul confine con l’Asia: lì si trova la Grecia che è la nostra culla. Roma fu un impero su tre continenti e dall’Asia assunse il cristianesimo. Stati e imperi europei furono figli delle migrazioni asiatiche di germani e slavi. L’Islam nacque in Medio Oriente, si diffuse in Europa. Insomma, basta rendersi conto che l’Europa è l’unico continente al mondo che non è isolato dagli altri dal mare ma costituisce un tutt’uno con l’Asia. Perciò la sua essenza è il confine, la sua essenza è emergere dall’Asia.

I conflitti sono scoppiati e rischiano di scoppiare nell’immediato futuro proprio nelle aree miste, in cui l’Europa diventa Asia e l’Asia Europa. La Bosnia si trova proprio al centro di una queste aree, i Balcani. Il fatto che ospiti due gruppi nazionali e tre religioni come cristianesimo ortodosso, cattolico e Islam la rende l’area più rappresentativa. Difatti la sua origine si colloca proprio alla fine dell’unione romana, quando ormai si presentivano gli scricchiolii e gli imperatori, per meglio governare, crearono delle divisioni. La più importante fu tra Oriente e Occidente: come confine scelsero il fiume Drina, che ancora oggi segna il confine tra Bosnia e Serbia e che il Nobel Ivo Andrić rese protagonista del proprio romanzo più famoso, Il ponte sulla Drina. Con questa chiave si capisce la storia successiva della Bosnia. Non è un caso che ospiti cristiani di cultura orientale come gli ortodossi e occidentale come i cattolici, che purtroppo nella ricerca identitaria sono diventati rispettivamente croati e serbi. Proprio per liberarsi dalle mire interessate di Roma e Costantinopoli, quando quell’area di confine tra Oriente e Occidente, tra grecità e latinità, divenne la Bosnia, la maggior parte dei suoi abitanti aderì a un cristianesimo meno connotato politicamente, più semplice. Il bogomilismo è privo di dogmi e rappresenta un’altra chiave della storia europea e bosniaca. Fu la ragione più probabile dell’accettazione dell’Islam per una parte consistente dei bosniaci, che non trovarono differenze così radicali con la loro fede, già meno dogmatica.

Per questo la Bosnia è Europa, perché nasce sul confine, perché non nasce da idee nazionalistiche, perché è mescolanza. Croati e serbi dovrebbero farsene una ragione ma anche il resto dell’Europa. Oggi quel che manca non è l’Unione Europea sono soprattutto gli europei, che ignari della propria storia e incapaci di guardare all’attualità si sono ritratti in se stessi e non sanno più pensare davvero in senso europeo. I migranti, la Turchia e la Grecia, la Libia e l’Egitto, la Palestina, la Siria e lo Yemen riguardano l’Europa. Non sono problemi al di là dei nostri confini ma sono dentro l’Europa perché è un confine. Perciò lasciare decadere la Bosnia, Stato non nazionale, vuol dire far decadere l’Europa che si vuole non nazionale.

Auguri Bosnia, auguri Europa.

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