Emanuele Gaetano Schilirò (1998) ha conseguito il diploma di liceo classico europeo in cotutela con la Francia (ESABAC: «Esame di Stato» italiano e «Baccalauréat» francese) nel 2015 con 100/100. Laurea in Lingue e Culture europee euroamericane ed orientali (specializzazione in Lingua e letteratura francese) nel 2021 con voti 110/110 e lode presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche - Università degli Studi di Catania, discutendo una tesi sperimentale e di ricerca dal titolo “Analisi linguistica sulla tradizione delle versioni francesi della Disciplina clericalis di Petrus Alfonsi”. Progetto in itinere su “Dialogus contra Iudaeos: mediazione culturale, ideologica e religiosa tra civiltà medievali contrapposte”. Esperto in digital Humanites, disciplina finalizzata all’integrazione di procedure computazionali e sistemi multimediali
Recensione a: C. Salvo, Dalla spada alla Fede. Storia di una famiglia feudale: gli Spatafora (secoli XIII-XVI), Bonanno Editore, Acireale 2010, pp. 256, € 22,00.
I tempi lunghi della storia, come insegnava Claude Lévi-Strauss, sono ben lontani da quelli brevissimi della cronaca. Il che significa che le considerazioni storiche, anche di brevissimo momento, hanno bisogno di riflessioni ponderate, di confronti tra periodi cronologici diversi e sviluppi geograficamente anche assai vasti. Così si comprende come il vasto saggio di Carmen Salvo, che qui segnaliamo, per competenza primaria, agli studiosi dell’antropologia diacronica nell’ambito dell’Italia meridionale, possa essere oggetto di attenzione anche da parte di quanti si occupino delle interferenze linguistiche, delle sovrapposizioni politiche, del divenire religioso, delle transizioni governative che si succedettero nell’Italia meridionale e precipuamente tra il Duecento e il Cinquecento nella Sicilia che fu il centro propulsore di un sistema autonomo sul piano politico, di tentativi rivoluzionari, di contese tra dinastie di diversa origine, sulla base di mescolanze etniche che coinvolgevano potenze teoricamente contrapposte come quella degli ebrei, dei musulmani, degli ortodossi greci, dei cattolici delle più variegate confessioni.
Il saggio ha un titolo malioso (Dalla spada alla fede) e un sottotitolo suggestivo (Storia di una famiglia feudale: gli Spatafora – secoli XIII-XVI). Curato con puntuale attenzione ai minimi risvolti della tematica principale dall’Autrice[1] è corredato di una densa appendice documentaria (pp. 177-190) e di otto tavole genealogiche relative ai principali rami della famiglia Spadafora: Randazzo-Roccella (1337-1470), Palermo (1337-1400ca.), Caltavuturo (1361-1450), Venetico e Mazzarrà, più noto come ramo di Messina-Venezia (1409-1556, tuttora esistente). Va altresì segnalata la vasta ed approfondita nota bibliografica (pp. 203-236), che supera le trenta pagine; il repertorio dei nomi citati supera le seicento unità e si tratta sempre di volumi fondamentali per la conoscenza delle vicende storiche, dei movimenti religiosi, delle sovrapposizioni di scuole filosofiche dal Medio Evo ai Moderni: sempre scelti con scrupolosa attenzione e nel rispetto di tutti i contributi fondamentali, sia quelli firmati da specialisti italiani, che quelli dovuti alle scuole di pensiero europeo (che lungamente sono state dissidenti sul piano religioso oltre che su quello politico e amministrativo), con contributi dirompenti da parte delle scuole eterodosse di ebrei (specialmente ashkenaziti), di cristiani riformati, in un intreccio fittissimo di presenze, di contrasti, di tradizioni che per secoli hanno trovato illustrazione negli studi specialistici dalla Sicilia fridericiana alla Germania luterana.
Il volume scritto currenti calamo, e con sicura conoscenza delle tematiche e dei loro intrichi problematici, può dunque essere studiato anche da chi ha da poco iniziato la ricerca storica su basi non semplicemente manualistiche, ma in vista di una ricognizione informata, ponderata, sicura. Tre cospicue appendici documentarie mettono a disposizione anche dello studioso più esigente i riferimenti testuali che sarebbe defatigante attingere alle loro originarie fontes. Per la natura principalmente informativa della presente segnalazione mi limiterò a un solo, ma cospicuo esempio: il problema della Adoha che ha impegnato nei secoli trascorsi parecchi acuti osservatori nell’Impero germanico, nelle libere università dei Paesi Bassi, nel Regno delle due Sicilie, per non citare che solo alcuni dei pensatori dei paesi menzionati si impegnarono nell’analisi giuridica con grande acume filologico sostenuto da vastissima competenza linguistica[2]. Nel saggio che qui ci occupa la trattazione si concentra su tale tematica specialmente a pagina 24 e seguenti, ma il sistema amministrativo è il motivo conduttore della indagine giuridica.
Ovviamente il lettore moderno saprà tener conto della evoluzione della sensibilità dei chierici (e delle religiose) di stretta osservanza contrapposta alle transazioni che erano sempre possibili in vista della coesistenza tra popoli vicini se pur aderenti a fedi contrapposte. E in questo intreccio di dottrine si troverà il filo conduttore che avrebbe lentamente sostituito la politica militarista con quella sempre più disponibile al dialogo e alle trattative come si sono venute articolando in modo sempre più apprezzabile a partire dal Novecento. Le guerre continuarono, ma il dialogo tra popoli anche di fedi e confessioni diverse è documentato sempre di più. Un esempio assai significativo di tali procedure a metà tra mercantilismo e feudalesimo, si verificò attorno al 1395 in quel di Randazzo (pp. 46 ss). Qui i diritti del feudatario erano stati trascurati dai sudditi che tentarono di profittare dei contrasti feudali per sfuggire alle opprimenti gabelle: «ma la girandola di rivolte, perdoni, paci precarie, nuove sommosse, era destinata a protrarsi ancora a lungo. La tensione causata da un equilibrio politico instabile e ancora tutto da definire determinò l’insorgere di una nuova sollevazione del barone di Roccella il quale, usando le proprie capacità di controllo sulla terra, indusse anche i randazzesi a prendere le armi contro il sovrano» (p. 46) (i disordini furono superati con transazione monetaria). É evidente che non doveva trattarsi di un atto di clemenza da parte del sovrano, ma di una sostanziale resa davanti alle pressioni dei potentati (della nobiltà locale o dei popolani facoltosi): e tutte queste vicende sono seguite con puntuale attenzione dalla studiosa le cui pagine propongono un quadro policromo dei rapporti di forza sostanziale e delle pressioni sempre più risolute di quello che a Firenze veniva chiamato il popolo grasso e che evidentemente, anche in un regime feudale, era in grado di far valere le proprie esigenze. Non si tratta di ordinarie ondate di populismo contro il fiscalismo della Corona. Ne è prova la circostanza che il medesimo Re dovette scendere a patti con i maggiorenti del popolo. Ma non erano in gioco solo interessi economici assai forti e pressioni militari sempre più attenuate.
Anche nel campo religioso si produssero insubordinazioni e fratture sempre più vistose. Particolarmente significativa la vicenda di Bartolomea Spatafora (1495-1563), la quale pronunciò i voti monacali nel 1507, e dal 1518 fu abbadessa: apparteneva a una nobilissima casata ma essendo stata educata in convento ne aveva ricevuto un temperamento profondamente religioso con cui fece del suo convento il luogo di irradiazione del suo impegno politico riuscendo a prevalere nelle contese contro il fiscalismo statale e trasformando il monastero di Santa Maria dell’ Alto di Messina in un centro propulsore della autonomia contro le pretese dello stato centrale e persino contro il dirigismo della Curia romana. La sua personalità di notevole rilievo riuscì a fare prevalere le proprie argomentate ragioni contro il dirigismo delle autorità pontificie alle quali doveva obbedienza ma di cui sapeva smascherare le mire prevalentemente economiche. La sua religiosità era talmente cristallina che le fece ripetutamente richiedere il sostegno dei predicatori cappuccini per consolidare il proprio apostolato autentico in decenni lacerati da lassismo morale e avventurismo economico come quelli messi in luce dal romanzo manzoniano. In questo contesto storico si mescolavano con conseguenze non sempre edificanti le tendenze accentratrici della Curia romana e delle istituzioni monastiche, come attestato dalle difficoltà incontrate per ottenere un ciclo di esercizi spirituali per il cenobio diretto dalla Spatafora (p.148 ss). La memoria corre al Fra Cristoforo manzoniano, ma le attestazioni raccolte sul contrasto tra interpretazioni religiose negli anni del Concilio tridentino dimostrano che i pareri in materia erano tutt’altro che unanimi.
La documentazione puntuale, l’abbondanza del corredo di note che precisano gli aspetti più rilevanti delle fonti disponibili, consigliano lo studio di questo volume come riferimento di base per accertare i caratteri della amministrazione locale in Sicilia nell’ambito generale del diritto feudale intrecciato con i richiami della giurisprudenza latina e variamente adattato alle diverse esigenze di una società che si stava rapidamente evolvendo dalla eredità classica e dalle consuetudini feudali, ma che ancora avrebbe dovuto attendere la spallata dell’Illuminismo, La raccolta delle attestazioni è vastissima e i rimandi testuali sono precisi ed esaurienti. Le tabelle cronologiche e il regesto documentario sono disposti con chiarezza di rimandi: dunque il volume si propone come una messa a punto basilare per qualsiasi studio sul divenire del sistema politico nel bacino mediterraneo agli albori della società moderna. Vi si rinvengono chiaramente le tracce di strutture arcaiche che erano in procinto di crollare definitivamente, ma vi si trovano anche le attestazioni inconfondibili di quelle interpretazioni religiose che tra poco avrebbero interessato gran parte degli Stati europei con un riformismo di cui ancora risentiamo le conseguenze e che caratterizza tuttora il pensiero politico dell’Europa moderna: tra cambiamento risoluto e conservazione delle concezioni classiche del diritto. Questo per quanto riguarda lo scritto esemplare sugli Spatafora. Ma la sua natura di ricerca storica attenta e puntigliosa impone che si continui sulle tracce dei maestri individuando, almeno, qualche possibile e ulteriore indagine che sembri promettente di nuovi risultati.
Già nell’Ottocento il cammino era stato tracciato da Bartolomeo Capasso (1815-1900) studiando (e pubblicando) i Diurnali di Matteo da Giovenazzo[3], che fa riferimento esplicito al pagamento[4] di “adoha unciarum 5, tt. 2”. È evidente, dunque che il “risarcimento” monetario per quanti non aderivano alla religione di Stato, era di modesta entità e che probabilmente veniva avvertito come una composizione benevola per una infrazione agli ordinamenti generali dello Stato. Il testo è attribuito a un Matteo Spinelli da Giovenazzo che lo avrebbe composto verso la metà del Duecento. Il prezioso manoscritto fu studiato dal professor Capasso, che ne spostò la datazione molto più avanti nel tempo e tuttavia ne riteneva attendibili le informazioni. Senza entrare qui nei termini sincronici della questione è facile riconoscere che il problema della composizione bonaria della questione conferma comunque la acquisizione del termine arabo gisia (relativo a questioni di eterodossia orientale) anche nelle regioni di consolidata fede cristiana. La commistione delle fedi è la prova indubitabile della affermazione, nel Mediterraneo cristiano, come nell’Oriente islamizzato, di una politica tollerante tra gli aderenti a fedi diverse. E questo poteva valere come monito per quelle scandalose guerre di religione che, ancora più avanti nel corso della storia europea, avrebbero insanguinato ferocemente gli albori della età moderna. Infatti Henricus Cocceius (1644-1719) – il quale nel 1738 dette alle stampe un intero trattato sulla adoha[5] – partendo da considerazioni di carattere militare, ritiene che la adoha sia l’equivalente delle hostenditias, le quali, come suggerito dalle denominazione latina «indicant illud adiutorium quod vasalli in pecunia praestant» (p. 7) per giungere alla definizione finale che la adoha è la «portio fructuum feudi seu eorum aestimatio quae loco servitiorum feudalium domino feudi praestanda est» (p. 8). E qui la parabola semantica si chiude passando dalla pena che gli eterodossi devono pagare per essere tollerati dalla religione ufficiale dello Stato, per giungere alla irrogazione di una pena monetaria per continuare la propria vita senza sottostare alle prescrizioni della religione ufficiale. Sono considerazioni delle quali l’Autrice fa parca menzione, ma che si potrebbero utilmente continuare sui modi come la sovrapposizione di ideologie contrapposte si possa appianare passando dal piano militare a quello più benevolo di natura fiscale. Di tali indizi esistono altri numerosi spunti nel volume in esame che analizzati singolarmente potrebbero spiegare lo scatenarsi delle crisi belliche della storia moderna e di quella contemporanea.
[1] Particolarmente rilevante, tra i rimandi a studi su aspetti più specialistici, quello a H. Grundmann (1902-1970), Die Frauen und die Literatur in Mittelalter, in «Archiv für Kulturgeschichte», XXVI, 1936, pp.129-161.
[2] La componente neolatina si intreccia con la documentazione di area mitteleuropea (anche germanica) che sono state analizzate nei saggi di B. Capasso e di H. Grundmann: per quanto mi risulta mancano tuttora escursioni, anche non specialistiche, sulla componente arabofona che sopravvisse in qualche misura anche alla dominazione araba in Sicilia, grazie alla persistente presenza dell’elemento ebraico che aveva pratica plurisecolare della lingua ufficiale dei musulmani.
[3] B. Capasso, Sui diurnali di Matteo da Giovenazzo, Sansoni, Firenze 1895. Il brano rilevante per la nostra indagine ricorre a p. 85.
[4] Onza ponderis generalis: moneta di conto, in peso d’oro. Si divide in 30 tarì. Un tarì, a sua volta, si divide in 20 grana, e un granum in 6 denari (R. M. Dentici Buccellato, Fisco e società nella Sicilia aragonese. Le pandette delle gabelle regie del XIV secolo, Palermo, 1983, p. 29).
[5] H. Cocceii, De Adoha, apud Stopfelium, Lipsiae, 1738.