Lorenzo Paudice (1975) si è laureato in Filosofia presso l’Ateneo fiorentino nel 2002, discutendo la tesi La questione del valore in bioetica. Dal luglio 2004 al settembre 2010 ha collaborato con la SISMEL – FEF (Società Internazionale per lo Studio del Medio Evo Latino – Fondazione Ezio Franceschini) alla redazione centrale per la realizzazione di Medioevo latino. Bollettino bibliografico della cultura europea da Boezio a Erasmo (sec. VI-VII). Nell’a.a. 2015-2016 è stato Docente Incaricato di Storia della Filosofia Antica presso la Facoltà Teologica “San Gregorio Magno” del Monastero Ortodosso di San Serafino di Sarov presso la facoltà di Filosofia dell’Università degli Studi di Firenze. Attualmente è impegnato in un personale lavoro di ricerca e approfondimento storico-teorico del pensiero di L. Wittgenstein e dei maggiori esponenti novecenteschi dell’ordinary language philosophy (in particolare G. Ryle e J.L. Austin).
Teologia politica e hybris del potere: «Il primo re» di Matteo Rovere
In principio fu Remo. O perlomeno è lui – dei due mitici gemelli fondatori di Roma – il vero protagonista del quinto lungometraggio di Rovere (nato nel 1982), scritto a sei mani dal regista con Filippo Gravino e Francesca Manieri, coprodotto da Rai Cinema e costato circa 8 milioni di euro. Una reinvenzione della nota leggenda, liberissima quanto plausibile sotto il profilo storico, alla luce delle attuali conoscenze archeologiche ed antropologiche sulla civiltà italica dell’VIII sec. a. c.: i dialoghi sono in protolatino sottotitolato, il realismo della ricostruzione impressionante, la violenza brutale ed insistita (ma mai gratuita e fine a se stessa). Nulla del genere si era visto sinora in Italia; i critici hanno azzardato paragoni – pertinenti – con ‘Apocalypto’ di Gibson e ‘Valhalla Rising’ di Refn, cui aggiungerei anche ‘La guerra del fuoco’ di Annaud (cfr. il tema della sacralità del fuoco che non deve spengersi mai). Né sono mancate le polemiche ideologiche – sin troppo prevedibili – per l’esaltazione finale del futuro imperialista di Roma, certo un po’ enfatica ma del tutto coerente con il tono generale del film e con la psicologia dei suoi personaggi. Contributi tecnici di prim’ordine: straordinaria la fotografia in formato anamorfico – e con sola luce naturale – di Daniele Ciprì, certosino il lavoro di scenografi e costumisti, nonché quello dei semiologi dell’Università “La Sapienza” per l’aspetto linguistico. Musiche di Andrea Farri. Ben quattordici i mesi richiesti dalla post-produzione, anche per gli effetti visivi necessari alla sbalorditiva sequenza iniziale.
Veniamo alla trama. Sopravvissuti a un’esondazione del Tevere in cui hanno perso i loro armenti, i gemelli pastori Romolo (Alessio Lapice) e Remo (Alessandro Borghi) finiscono nelle mani dei crudeli abitanti di Alba Longa, che usano immolare i propri schiavi tra le fiamme dopo averli obbligati a sanguinosi duelli corpo a corpo; riescono quindi a liberarsi guidando alla rivolta anche gli altri prigionieri e prendendo in ostaggio la sacerdotessa Satnei (Daria Garibba), portatrice del sacro fuoco, ma nel corso della lotta Romolo – il minore – rimane gravemente ferito. Il capo latino Tefarie (Massimiliano Rossi) propone di abbandonarlo al suo destino suscitando la pronta reazione di Remo, che lo uccide divenendo di fatto il leader della nuova tribù. Forte del proprio carisma e contro ogni timore superstizioso, egli induce il gruppo ad attraversare il territorio dei Veienti e a tendere loro un agguato vittorioso nella foresta, poi lo guida al loro villaggio – ormai popolato solo di vecchi e bambini – proclamandosi re. A questo punto Satnei, mediante l’arte aruspicina, profetizza che uno dei due gemelli fonderà il più grande impero del mondo, ma per far ciò dovrà uccidere il proprio fratello: non accettando l’idea di divenire fratricida, Remo sfida allora apertamente gli dèi, fa mettere il villaggio a ferro e a fuoco e incatena Satnei nella foresta affinché sia sbranata dalle fiere; alle proteste di Romolo ormai convalescente, ribatte di voler dominare col terrore perché è appunto quest’ultimo a rendere gli uomini obbedienti al volere divino. Proprio trasformandosi in tiranno, però, Remo – inutile dirlo – innescherà gli eventi che condurranno ad avverare la profezia, sia pure nel modo opposto a come lui e gli altri si sarebbero aspettati.
Nelle cadenze di una tragedia arcaica, ‘Il primo re’ drammatizza dunque con grande efficacia spettacolare due temi centrali della riflessione politica: la fondazione divina del potere, da un lato, e dall’altro la hybris che sempre s’accompagna al suo esercizio monocratico, in quanto superiores non recognoscens. Remo ha conquistato il potere con la forza (in virtù del suo valore guerriero) e cerca in un secondo momento di legittimarlo teologicamente (l’oracolo divino rivelato da Satnei, che lo crede un essere soprannaturale), ma quando pensa che gli dèi pretendano da lui il fratricidio, ricorre di nuovo alla violenza per affermare la propria libertà anche nei loro confronti. Al pari di Macbeth, egli si sforza di sottrarsi ad un destino ingrato conosciuto in anticipo, non facendo altro – così – che promuoverne l’adempimento; tanto più tragicamente, in quanto la sua condotta appare motivata anzitutto dall’amore sincero per il fratello minore, affidatogli dalla madre sin dall’infanzia. Quando comprenderà la verità – ossia che sarà lui a dover soccombere per mano di Romolo, e non il contrario – non esiterà ad andar incontro alla spada del recalcitrante gemello, che proprio sulle sue ceneri (ed in suo onore) fonderà la Città Eterna.
Interrogandosi nientemeno che sul mistero dei rapporti tra predestinazione e libero arbitrio, Matteo Rovere cala il mito nella storia senza smarrirne il pathos e lo spessore epico-tragico; e si conferma – dopo il già notevole ‘Veloce come il vento’, ambientato nel mondo delle corse automobilistiche – uno dei più originali cineasti italiani di oggi, capace di coniugare con mano sicura intrattenimento e ambizioni d’autore, rinnovando i generi codificati. Scusate se è poco. Tre Nastri d’Argento 2019 e quindici candidature ai David di Donatello 2020.
Pistoia, 7 Maggio 2020